E' che è l'ultimo, credo. Basta che non lo si prenda troppo sul serio, altrimenti sono cavoli amari.
Le mie personali convinzioni sono.
1. I bilanci, questi sconosciuti. Se ti guardi indietro, inevitabilmente con gli occhiali umani vedrai più meno che più, a meno che sia accaduti eventi eccezionali. Ma la vita non vibra di eventi eccezionali, penso, bensì acquisisce calore e valore con i momenti, le abitudini spontanee o volute, i legami. Quindi, il bilancio lasciamolo ai politici, che li cannano pure.
2. Festeggiare per forze. E che cosa? Che qualcosa se ne sta andando. A parte che il tempo non esiste, asserisce la Kabbalah, e quindi non dovremmo nemmeno caricare di significato l'anno nuovo, figurarsi il vecchio.
Ognuno non può semplicemente fare ciò che desidera? Se ama festeggiare l'ultimo giorno, si accomodi. Se non gliene frega niente, lasciatelo in pace.
3. C'è la vita. Non è fatta di anni, neanche di giorni. Di momenti appunto, diceva la buona Virginia.
Viviamoli, tutti, come possiamo, come sentiamo. La buona notizia vera forse sarà questa.
Appunti di Viaggio di Marilena Lualdi Tra natura, dubbi e musica (Nature, music and doubts) (Questo sito si serve dei cookie per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'uso dei cookie)
sabato 31 dicembre 2011
venerdì 30 dicembre 2011
La canzone per finire e ricominciare
Ogni tanto bisogna rinnegarsi, anche per gioco. E io oggi mi gioco la faccia metallara. So che concludere l'anno e via sono tutte baggianate, ma lasciatemi fare la ragazzina. Un pochino.
Spulcio tra le mie canzoni per trovare quella giusta. Stamattina avrei dovuto ricevere una solenne benedizione con Jim Morrison che istruiva dall'altoparlante del bar. Se fossi una brava rockettara, pescherei a occhi chiusi dal repertorio degli Aerosmith. O magari dai Led. Mi infliggerei una scossa con gli Ac Dc, grandissimi.
No, la perversione abita qui. Chissà se mi perdoneranno alcuni amici, Franci in testa. Ma Steven Tyler non ammonisce: imparare dai folli e dai saggi?
Dai che voglio mettere The Dark Side of the Sun. Mi perdonino pure i Pink Floyd, e facciamola finita. Scelgo i Tokio Hotel. Non è che per togliermi qualche anno, impertinenti che non siete altro. Giusto perché mi piace il messaggio. Tutto è finito, perché tutto deve ricominciare. La fine è vicina... il futuro è appena cominciato.
Soprattutto, siamo qui ancora in piedi. Alive and kicking, cantava qualcun altro.
Ma la vostra canzone? fuori dal cassetto.
Spulcio tra le mie canzoni per trovare quella giusta. Stamattina avrei dovuto ricevere una solenne benedizione con Jim Morrison che istruiva dall'altoparlante del bar. Se fossi una brava rockettara, pescherei a occhi chiusi dal repertorio degli Aerosmith. O magari dai Led. Mi infliggerei una scossa con gli Ac Dc, grandissimi.
No, la perversione abita qui. Chissà se mi perdoneranno alcuni amici, Franci in testa. Ma Steven Tyler non ammonisce: imparare dai folli e dai saggi?
Dai che voglio mettere The Dark Side of the Sun. Mi perdonino pure i Pink Floyd, e facciamola finita. Scelgo i Tokio Hotel. Non è che per togliermi qualche anno, impertinenti che non siete altro. Giusto perché mi piace il messaggio. Tutto è finito, perché tutto deve ricominciare. La fine è vicina... il futuro è appena cominciato.
Soprattutto, siamo qui ancora in piedi. Alive and kicking, cantava qualcun altro.
Ma la vostra canzone? fuori dal cassetto.
mercoledì 28 dicembre 2011
Perdonami, Indro, ma 40 anni fa...
Per consolarmi guardo RaiStoria. Mi assale la nostalgia di Pertini, se non altro perché ero ragazzina e andavo matta per i suoi modi. Ma il 1981 non fu buon anno, poi ne parlerò.
Allora, indietro al 1971. Tra poco comparirà il rassicurante volto di Indro Montanelli, in un dibattito sulla società violenta. Un déjà vu, in direzione contraria: di diverso, c'è la classe, mista a prudenza.
Poi una giornalista intervista uno dei "mostri" (di già') dell'epoca, già sospettato e pochi giorni dopo arrestato per rapimento e omicidio. Lui allora nega e sorride, davanti ai microfoni.
Domanda della giornalista: ma se fosse stato lei il rapitore, come avrebbe pensato di sequestrare la ragazza? Con quale tecnica e via?
Persino il "mostro" sorride. Poi posa e risponde, al secondo tentativo, perché la domanda non viene deposta.
Quarant'anni dopo siamo sempre qui, Indro. A chiedere: cosa si prova in questo momento? Che cosa, preciserebbe Antonio prima di darmi una tappata in testa per la domanda.
Che pazienza, dovevate avere già allora.
Allora, indietro al 1971. Tra poco comparirà il rassicurante volto di Indro Montanelli, in un dibattito sulla società violenta. Un déjà vu, in direzione contraria: di diverso, c'è la classe, mista a prudenza.
Poi una giornalista intervista uno dei "mostri" (di già') dell'epoca, già sospettato e pochi giorni dopo arrestato per rapimento e omicidio. Lui allora nega e sorride, davanti ai microfoni.
Domanda della giornalista: ma se fosse stato lei il rapitore, come avrebbe pensato di sequestrare la ragazza? Con quale tecnica e via?
Persino il "mostro" sorride. Poi posa e risponde, al secondo tentativo, perché la domanda non viene deposta.
Quarant'anni dopo siamo sempre qui, Indro. A chiedere: cosa si prova in questo momento? Che cosa, preciserebbe Antonio prima di darmi una tappata in testa per la domanda.
Che pazienza, dovevate avere già allora.
lunedì 26 dicembre 2011
Giorgio, Indro e l'ora implacabile di Fighettilandia
Riesplorando la vita e l'impegno di Bocca, mi sono venuti in mente tutti i maestri: quelli che mi hanno guidato giorno dopo giorno, quelli che ho incontrato per caso. Molti di loro non ci sono più. Dalla memoria è affiorato anche un incontro straordinario, anche per come era accaduto: quello con Indro Montanelli, ricoverato nell'ospedale della città dove lavoravo per un intervento all'occhio. Ci mandò - il mio impagabile maestro Antonio Porro - con l'ordine perentorio: tornare con un'intervista. Il fotografo (con il quale ho ancora la fortuna di lavorare!) e io naturalmente fummo cacciati dal reparto. Siccome con Porro c'era poco da rientrare a mani vuote, escogitammo vari modi per perforare quella barriera.
So che sembriamo sciacalli: da una parte lo pensavo e lo penso sempre di più invecchiando. Ma era il nostro lavoro e credo che l'importante sia cercare di farlo con rispetto, fermandosi a un no della persona ed evitando domande idiote. Noi in fondo lo sapevamo: Indro non aveva pronunciato quel no, bisognava tentare. Non appaia come un alibi. Difatti, eravamo lì a studiare un pronto rientro, quando apparve un medico: il direttore ha detto di farvi entrare. Aveva saputo, Montanelli, che c'erano una giornalista e un fotografo e disse: scherziamo, è il loro lavoro, fateli entrare, io sto bene.
Aveva una benda all'occhio e l'unico niet fu per la foto, un dolce peccato di vanità che costò una reprimenda al povero Dani. Ma non solo ci parlò per l'intervista: ci trattenne, volle sapere di noi, ci diede consigli.
Così era un Maestro. Come Bocca. Gente che voleva stare con la gente, per capirla e scrivere.
Oggi troppi provengono da Fighettilandia, e l'unico ambiente che frequentano sono le stanze dei bottoni. Mentre - come diceva il mio maestro Mino Durand - è meglio ascoltare il più umile: difatti, tutti comprendevano e apprezzavano i suoi editoriali.
E fosse l'unico problema, quello di apparire maestri perché si frequentano i potenti, perché si fa i fighetti, o perché si hanno i numeri di telefono dei vip da sventolare davanti ai superiori o a chi ci casca. Ora tutti si mettono a fare i maestri, a ogni età, forti solo di cellulari e mail.
Che sono il presente e il futuro, certo. Ma quando cammino tra la gente e ne contemplo i volti, quando mi fermo a un bar, parlo con una persona che la vita se la suda, io sono più felice. E penso ai miei maestri, a ciò che lasciano in barba a Fighettilandia che prima o poi si autodistruggerà,
So che sembriamo sciacalli: da una parte lo pensavo e lo penso sempre di più invecchiando. Ma era il nostro lavoro e credo che l'importante sia cercare di farlo con rispetto, fermandosi a un no della persona ed evitando domande idiote. Noi in fondo lo sapevamo: Indro non aveva pronunciato quel no, bisognava tentare. Non appaia come un alibi. Difatti, eravamo lì a studiare un pronto rientro, quando apparve un medico: il direttore ha detto di farvi entrare. Aveva saputo, Montanelli, che c'erano una giornalista e un fotografo e disse: scherziamo, è il loro lavoro, fateli entrare, io sto bene.
Aveva una benda all'occhio e l'unico niet fu per la foto, un dolce peccato di vanità che costò una reprimenda al povero Dani. Ma non solo ci parlò per l'intervista: ci trattenne, volle sapere di noi, ci diede consigli.
Così era un Maestro. Come Bocca. Gente che voleva stare con la gente, per capirla e scrivere.
Oggi troppi provengono da Fighettilandia, e l'unico ambiente che frequentano sono le stanze dei bottoni. Mentre - come diceva il mio maestro Mino Durand - è meglio ascoltare il più umile: difatti, tutti comprendevano e apprezzavano i suoi editoriali.
E fosse l'unico problema, quello di apparire maestri perché si frequentano i potenti, perché si fa i fighetti, o perché si hanno i numeri di telefono dei vip da sventolare davanti ai superiori o a chi ci casca. Ora tutti si mettono a fare i maestri, a ogni età, forti solo di cellulari e mail.
Che sono il presente e il futuro, certo. Ma quando cammino tra la gente e ne contemplo i volti, quando mi fermo a un bar, parlo con una persona che la vita se la suda, io sono più felice. E penso ai miei maestri, a ciò che lasciano in barba a Fighettilandia che prima o poi si autodistruggerà,
venerdì 23 dicembre 2011
Il mondo dentro di noi: buon Natale
Questa mattina ho cercato di dare uno sguardo alla posta, dopo un piccolo stop. Mi sono persa e ritrovata.
C'è tutto un mondo in quei messaggi, e vorrei riuscire ad abbracciarlo intensamente, ma le braccia sono piccole e anche le forze mi hanno un po' tradito.
Sfogliando i messaggi, penso a quanto sia fortunata. A quanti incontri sulla nostra strada, e anche se a volte ti sembra di smarrirli, c'è un filo che ci lega a loro. Si può ripresentare, a sorpresa, può essere tenacemente coltivato oppure prendere un'altra via. Eppure siamo legati.
A tutti coloro che mi hanno scritto e mi scriveranno, a quelli che non lo faranno, a chi ho amato e ferito (a volte entrambe le cose), a coloro ai quali riuscirò tempestivamente a rispondere oppure no, vorrei dire centomila cose, racchiuse poi in una parola, perché a Natale secondo me bisogna anche "risparmiare" per concentrarsi su ciò che avvertiamo come essenziale: grazie.
Grazie se vi ho incontrati un'ora, un istante, una vita, se state camminando con me, oppure no. Se state camminando, semplicemente, perché state così compiendo un'opera mirabile per tante altre persone.
Grazie di aver speso anche un pensiero per la piccola Malu. E naturalmente, cosparso di sorrisi riscaldanti: buon Natale.
C'è tutto un mondo in quei messaggi, e vorrei riuscire ad abbracciarlo intensamente, ma le braccia sono piccole e anche le forze mi hanno un po' tradito.
Sfogliando i messaggi, penso a quanto sia fortunata. A quanti incontri sulla nostra strada, e anche se a volte ti sembra di smarrirli, c'è un filo che ci lega a loro. Si può ripresentare, a sorpresa, può essere tenacemente coltivato oppure prendere un'altra via. Eppure siamo legati.
A tutti coloro che mi hanno scritto e mi scriveranno, a quelli che non lo faranno, a chi ho amato e ferito (a volte entrambe le cose), a coloro ai quali riuscirò tempestivamente a rispondere oppure no, vorrei dire centomila cose, racchiuse poi in una parola, perché a Natale secondo me bisogna anche "risparmiare" per concentrarsi su ciò che avvertiamo come essenziale: grazie.
Grazie se vi ho incontrati un'ora, un istante, una vita, se state camminando con me, oppure no. Se state camminando, semplicemente, perché state così compiendo un'opera mirabile per tante altre persone.
Grazie di aver speso anche un pensiero per la piccola Malu. E naturalmente, cosparso di sorrisi riscaldanti: buon Natale.
La Luce, probabilmente
C'è un posto perfetto in cui incontrarsi. Sai qual è? Proprio vicino al pino Bruno, lui ti può appena lambire. E di fronte al bosco che si spalanca in un abbraccio.
Il Natale forse è incontrare Te, e tutti quelli che già vi hanno raggiunto lassù in un'eterna festa che è donarsi. Il sole mi ha incatenato lo sguardo, filtrato dai rami ormai spogli eppure così ricchi. E quando lo alzavo ancora di più incontravo un cielo immerso nel blu, che doveva tenermi avvinta. Così non è stato... non c'è nulla di più incantevole della Luce, che insegue gioiosa tutte le creature. Anche quelle piccoline come Malu.
Buon anticipo di Natale
Il Natale forse è incontrare Te, e tutti quelli che già vi hanno raggiunto lassù in un'eterna festa che è donarsi. Il sole mi ha incatenato lo sguardo, filtrato dai rami ormai spogli eppure così ricchi. E quando lo alzavo ancora di più incontravo un cielo immerso nel blu, che doveva tenermi avvinta. Così non è stato... non c'è nulla di più incantevole della Luce, che insegue gioiosa tutte le creature. Anche quelle piccoline come Malu.
Buon anticipo di Natale
giovedì 22 dicembre 2011
Vorrei una canzone per il Natale (non basta la parola)
Vorrei una canzone per il Natale, che non spalmi come melassa la parola Natale su fette di pane raffermo, o peggio ai mille profumi.
Mi tappo le orecchie, bombardata da musichette in cui basta la parola, e via... Avanti, alla carica sotto le luci e il tintinnio delle carte di credito. Su Last Christmas sapete già come la penso. Ma anche altre canzoncine di casa nostra, stop please!
Non basta la parola. Quei motivetti mi rincoglioniscono, ma mi tengono lontana dalla nuda terra su cui brilla una tenue luce. Sì, leggera come la brezza che annunciò Dio nel deserto.
Vorrei una canzone lieve, che in questi giorni mi riportasse alla fatica di vivere, sparigliata da una Speranza. Magari del Natale non deve parlare affatto, perché il Natale è qualcosa di indescrivibile, che si può solo cercare dii vivere. Una canzone che non sia troppo dolce, né faccia balenare unicamente il freddo il gelo.
Ma che mi faccia sentire una donna in cammino, verso una stella.
Perché ognuno di noi credo che guardi una Stella. E attenda una Canzone.
Mi tappo le orecchie, bombardata da musichette in cui basta la parola, e via... Avanti, alla carica sotto le luci e il tintinnio delle carte di credito. Su Last Christmas sapete già come la penso. Ma anche altre canzoncine di casa nostra, stop please!
Non basta la parola. Quei motivetti mi rincoglioniscono, ma mi tengono lontana dalla nuda terra su cui brilla una tenue luce. Sì, leggera come la brezza che annunciò Dio nel deserto.
Vorrei una canzone lieve, che in questi giorni mi riportasse alla fatica di vivere, sparigliata da una Speranza. Magari del Natale non deve parlare affatto, perché il Natale è qualcosa di indescrivibile, che si può solo cercare dii vivere. Una canzone che non sia troppo dolce, né faccia balenare unicamente il freddo il gelo.
Ma che mi faccia sentire una donna in cammino, verso una stella.
Perché ognuno di noi credo che guardi una Stella. E attenda una Canzone.
martedì 20 dicembre 2011
I miracoli di Brera
Da anni non ci mettevo piede, fuggendo più spesso verso vari impegni o verso il bagliore del Duomo e delle meraviglie attorno. Ma lo stupore si può trovare veramente, se si torna a Brera.
Ha ragione un mio amico, da Milano si può stare lontano tranquillamente, se si abita in Insubria. Siamo incredibilmente autarchici. Anzi, giova starle lontano, diradare le visite... a patto di tornarci ed essere pronti ad accogliere lo stupore.
Di solito, ci si meraviglia per ciò che cambia. Ieri contemplavo Brera con la gioia di vederla così simile a se stessa, pur accogliendo il presente. Per un istante, mi è parso di cogliere flash di artisti che si incamminavano seri con le loro tele, forse persino lo zio Angelo, che sarebbe diventato un grande pittore e già lo sapeva, con la sua grinta preveggente. Mischiava nella mente colori e i sentimenti per la nostra Antonietta, capolavoro del Signore tra i capolavori che lui avrebbe tracciato.
Realisticamente, oggi loro a trovarsi lì quegli artisti potrebbero sobbalzare. Ma a me sembra tutto così piacevolmente rimasto ancorato alla propria identità. Certi negozi, tenaci e gloriosi nella loro miniatura, mi pare di vederli solo lì. E come una turista svampita, ho scattato la fotografia al ristorante cantato da un libro che l'anno scorso un amico aveva avuto l'accortezza di donarmi.
Respiravo l'umanità. Vero che con il mio topo e la mia amica, tutto è magico. Tuttavia, Brera lo è di suo. E via verso lo storico panificio che è diventato modernissimo, dentro, ma sfoggia il suo volto profumato e severo fuori. Guardando con tenerezza le turiste russe che si regalano foto davanti alla vetrina luccicante di torte, i loro cappelli di pelliccia biglietto da visita in una calorosa città.
Ha ragione un mio amico, da Milano si può stare lontano tranquillamente, se si abita in Insubria. Siamo incredibilmente autarchici. Anzi, giova starle lontano, diradare le visite... a patto di tornarci ed essere pronti ad accogliere lo stupore.
Di solito, ci si meraviglia per ciò che cambia. Ieri contemplavo Brera con la gioia di vederla così simile a se stessa, pur accogliendo il presente. Per un istante, mi è parso di cogliere flash di artisti che si incamminavano seri con le loro tele, forse persino lo zio Angelo, che sarebbe diventato un grande pittore e già lo sapeva, con la sua grinta preveggente. Mischiava nella mente colori e i sentimenti per la nostra Antonietta, capolavoro del Signore tra i capolavori che lui avrebbe tracciato.
Realisticamente, oggi loro a trovarsi lì quegli artisti potrebbero sobbalzare. Ma a me sembra tutto così piacevolmente rimasto ancorato alla propria identità. Certi negozi, tenaci e gloriosi nella loro miniatura, mi pare di vederli solo lì. E come una turista svampita, ho scattato la fotografia al ristorante cantato da un libro che l'anno scorso un amico aveva avuto l'accortezza di donarmi.
Respiravo l'umanità. Vero che con il mio topo e la mia amica, tutto è magico. Tuttavia, Brera lo è di suo. E via verso lo storico panificio che è diventato modernissimo, dentro, ma sfoggia il suo volto profumato e severo fuori. Guardando con tenerezza le turiste russe che si regalano foto davanti alla vetrina luccicante di torte, i loro cappelli di pelliccia biglietto da visita in una calorosa città.
lunedì 19 dicembre 2011
La tolleranza pericolosa
Il sapore è brechtiano. If you tolerate this, then your children will be next.
Risento la canzone dei Manic Street Preachers e mi chiedo se io abbia provocato più danni da tollerante o da intransigente. Detesto la tolleranza, anche se le radici sono meravigliose e mi portano a Voltaire.
Quella che piacerebbe a me, è amore, carità o chiamatelo come volete. Ciò che non riesco a praticare, se non ai minimi termini. Più facile salire di qualche gradino e osservare tutti rabbiosi. Più facile in apparenza, solo che poi non ti trovi più il fegato, né il sorriso.
Vorrei amare il mondo intero, l'umanità e le altre creature che a volte sono superiori. Mica tollerarlo. Quello si chiama limitare i danni, e comunque rimanere abbarbicato al gradino.
Guarda cos'abbiamo combinato nel nostro Paese a tollerare. Noi stessi e quelli che, in un modo o nell'altro, abbiamo messo a guidare il Paese: troppi ci hanno delusi, perché troppi hanno rispecchiato noi stessi. Le nostre furberie da quattro soldi, la nostra brama di apparenze, la corsa verso il nulla, verso briciole di potere che siano un posticino in prima fila a una povera manifestazione o una sedia dorata nella stanza più importante.
Abbiamo tollerato questo, e dove siamo andati a finire? Tolleriamo ancora... che distruggano, che distruggiamo quello che abbiamo saputo costruire in questi anni. Perché c'è anche un'Italia meravigliosa, creativa e caritatevole.
Tolleriamo che distruggano e facciano del male a un numero crescente di persone, i signori mica tanto occulti della finanza. Tolleriamolo e i nostri figli saranno i prossimi.
Risento la canzone dei Manic Street Preachers e mi chiedo se io abbia provocato più danni da tollerante o da intransigente. Detesto la tolleranza, anche se le radici sono meravigliose e mi portano a Voltaire.
Quella che piacerebbe a me, è amore, carità o chiamatelo come volete. Ciò che non riesco a praticare, se non ai minimi termini. Più facile salire di qualche gradino e osservare tutti rabbiosi. Più facile in apparenza, solo che poi non ti trovi più il fegato, né il sorriso.
Vorrei amare il mondo intero, l'umanità e le altre creature che a volte sono superiori. Mica tollerarlo. Quello si chiama limitare i danni, e comunque rimanere abbarbicato al gradino.
Guarda cos'abbiamo combinato nel nostro Paese a tollerare. Noi stessi e quelli che, in un modo o nell'altro, abbiamo messo a guidare il Paese: troppi ci hanno delusi, perché troppi hanno rispecchiato noi stessi. Le nostre furberie da quattro soldi, la nostra brama di apparenze, la corsa verso il nulla, verso briciole di potere che siano un posticino in prima fila a una povera manifestazione o una sedia dorata nella stanza più importante.
Abbiamo tollerato questo, e dove siamo andati a finire? Tolleriamo ancora... che distruggano, che distruggiamo quello che abbiamo saputo costruire in questi anni. Perché c'è anche un'Italia meravigliosa, creativa e caritatevole.
Tolleriamo che distruggano e facciano del male a un numero crescente di persone, i signori mica tanto occulti della finanza. Tolleriamolo e i nostri figli saranno i prossimi.
venerdì 16 dicembre 2011
L'insostituibile leggerezza di una lettera
Arriva con i suoi colori carichi di calore, puntuale da 30 anni. Prima di aprirla, sai già tutto con gioia perché c'è un bollino dorato con l'indirizzo prestampato: lo stesso da 30 anni.
Il mio penfriend norvegese! Leif non ha mai interrotto il suo dialogo con me, via lettera, da quando i nostri indirizzi si sono incrociati per indicazione didattica: bisognava avere degli amici di penna con i quali scrivere in inglese. A dire il vero, gioia nella gioia, me ne sono rimasti due. Lui e Rajeev. Con quest'ultimo Facebook ci ha fatti ritrovare, grazie!
Ma ammetto che è insostituibile una lettera. Tanto più a Natale. Io guardo con ammirazione Leif, la sua costanza, la sua precisione, il suo attraversare le fasi della Vita con dolce eleganza. Con sua figlia, anche lei penfriend, sono rimasta legata sempre tramite Facebook. Con lui, appena ricevo la lettera, vorrei prendere e scrivergli a mia volta. Invece, so già che scriverò una mail, e me ne duole. Altrimenti rischio di non rispondergli affatto. Un anno è accaduto, e lui non mi ha mai rimproverato. Leif è un signore garbato, che capisce prima che tu stessa lo faccia.
Sì, Leif, ti scriverò una mail e perdonami. A parte la diffidenza cronica sui tempi postali, non voglio costringerti a decifrare la mia calligrafia che negli anni - anche se sembra impossibile - è peggiorata. Mi ricordo che una decina di anni fa scrissi a un mio amico in Francia, con tutta la buona volontà. Lui telefonò a ringraziarmi, e aggiunse: adesso mi spieghi cos'hai scritto che non capisco?
Il mio penfriend norvegese! Leif non ha mai interrotto il suo dialogo con me, via lettera, da quando i nostri indirizzi si sono incrociati per indicazione didattica: bisognava avere degli amici di penna con i quali scrivere in inglese. A dire il vero, gioia nella gioia, me ne sono rimasti due. Lui e Rajeev. Con quest'ultimo Facebook ci ha fatti ritrovare, grazie!
Ma ammetto che è insostituibile una lettera. Tanto più a Natale. Io guardo con ammirazione Leif, la sua costanza, la sua precisione, il suo attraversare le fasi della Vita con dolce eleganza. Con sua figlia, anche lei penfriend, sono rimasta legata sempre tramite Facebook. Con lui, appena ricevo la lettera, vorrei prendere e scrivergli a mia volta. Invece, so già che scriverò una mail, e me ne duole. Altrimenti rischio di non rispondergli affatto. Un anno è accaduto, e lui non mi ha mai rimproverato. Leif è un signore garbato, che capisce prima che tu stessa lo faccia.
Sì, Leif, ti scriverò una mail e perdonami. A parte la diffidenza cronica sui tempi postali, non voglio costringerti a decifrare la mia calligrafia che negli anni - anche se sembra impossibile - è peggiorata. Mi ricordo che una decina di anni fa scrissi a un mio amico in Francia, con tutta la buona volontà. Lui telefonò a ringraziarmi, e aggiunse: adesso mi spieghi cos'hai scritto che non capisco?
mercoledì 14 dicembre 2011
La danza e la tempesta: Ultra-tuffo
L'ansia vola via o cambia forma, mentre al centro commerciale passando capto "Dancing with tears in my eyes".
Ultravox. Ultratuffo nel passato. Così simbolica della vita, questa immagine. Quante danze quotidiane, portate avanti con apparente grazia, e le lacrime che scorrono o vengono nascoste.
Mi ha riportato -ancora una volta - anche alle paure di una volta. Come sono cambiate. Questa canzone, questo video ci gridavano di un giorno che era l'ultimo, con il "coming storm". Sullo schermo era il disastro nucleare che allora tutti ci gridavano come imminente. L'isteria di cui cantava Sting.
Ora le tempeste cambiano. Le lacrime restano. Come le nostre danze quotidiane.
Ultravox. Ultratuffo nel passato. Così simbolica della vita, questa immagine. Quante danze quotidiane, portate avanti con apparente grazia, e le lacrime che scorrono o vengono nascoste.
Mi ha riportato -ancora una volta - anche alle paure di una volta. Come sono cambiate. Questa canzone, questo video ci gridavano di un giorno che era l'ultimo, con il "coming storm". Sullo schermo era il disastro nucleare che allora tutti ci gridavano come imminente. L'isteria di cui cantava Sting.
Ora le tempeste cambiano. Le lacrime restano. Come le nostre danze quotidiane.
martedì 13 dicembre 2011
Anatomia di una canzone (si stava peggio...)
C'era un tempo in cui il mio angelo del rock mi teneva lontano dalle tentazioni, dalle derive pop. Difatti, sono rimasta immune da tante deviazioni: il cielo sia lodato.
Ma la fregatura è che quando metti su qualche anno - oltre che qualche chilo, ma questo non c'entra, allora - abbassi le difese. E tanta musica che non entrava in casa a quei bei tempi, ora si infila come un serpentello. Così ho accettato ad anni di distanza i Duran Duran, ad esempio, che paragonati a certe band d'oggi, mi sembrano quasi dei geni.
George Michael oltretutto mi era quasi simpatico, e mi piaceva il nome Wham. Poi viene Natale e ti sparano a ogni pié sospinto il tormentone Last Chrismas. Metto le note da parte e ragiono sul testo.
"Lo scorso Natale ti ho dato il mio cuore, ma il giorno dopo tu l'hai dato via. Quest'anno per salvarmi dalle lacrime, lo darò a qualcuno di speciale".
Questo scambio di cuori è peggio del gioco lanciato in tempo di crisi: la pepatencia dei regali. E poi giù con i piagnistei.
Ma dai, George è Natale...
E pensare che ritengo il 1984 il mio anno superfortunato. Si stava peggio quando si stava meglio.
Ma la fregatura è che quando metti su qualche anno - oltre che qualche chilo, ma questo non c'entra, allora - abbassi le difese. E tanta musica che non entrava in casa a quei bei tempi, ora si infila come un serpentello. Così ho accettato ad anni di distanza i Duran Duran, ad esempio, che paragonati a certe band d'oggi, mi sembrano quasi dei geni.
George Michael oltretutto mi era quasi simpatico, e mi piaceva il nome Wham. Poi viene Natale e ti sparano a ogni pié sospinto il tormentone Last Chrismas. Metto le note da parte e ragiono sul testo.
"Lo scorso Natale ti ho dato il mio cuore, ma il giorno dopo tu l'hai dato via. Quest'anno per salvarmi dalle lacrime, lo darò a qualcuno di speciale".
Questo scambio di cuori è peggio del gioco lanciato in tempo di crisi: la pepatencia dei regali. E poi giù con i piagnistei.
Ma dai, George è Natale...
E pensare che ritengo il 1984 il mio anno superfortunato. Si stava peggio quando si stava meglio.
lunedì 12 dicembre 2011
La rivoluzione francese e l'impero
Vuoi vedere che ora hanno paura? Ci sono due fiumi che scorrono paralleli: la rabbia e la paura. I cittadini e i politici.
Cittadini, riecheggia citoyens... Sarà per questo che sento qualche politico parlare di rivoluzione francese, con vago tremore?
Sì, è vero siamo incavolati neri. Ne vedo tanta di rabbia, alternata o intrisa di amarezza. Anch'io mi sento incavolata nera. Con quelli che si siedono così non alto da dimenticare noi umani. Con noi stessi che siamo rimasti a guardare e non sappiamo che fare.
Non ci sono forconi, figurarsi ghigliottine. Sedete su troni assurdi nella loro distanza. Ma anche quelli vengono giù. E soprattutto, come diceva Montaigne, su quei troni appoggiate comunque tutti la stessa parte.
Venite giù, che la rivoluzione francese c'è già stata. Ma anche l'Impero è passato.
Cittadini, riecheggia citoyens... Sarà per questo che sento qualche politico parlare di rivoluzione francese, con vago tremore?
Sì, è vero siamo incavolati neri. Ne vedo tanta di rabbia, alternata o intrisa di amarezza. Anch'io mi sento incavolata nera. Con quelli che si siedono così non alto da dimenticare noi umani. Con noi stessi che siamo rimasti a guardare e non sappiamo che fare.
Non ci sono forconi, figurarsi ghigliottine. Sedete su troni assurdi nella loro distanza. Ma anche quelli vengono giù. E soprattutto, come diceva Montaigne, su quei troni appoggiate comunque tutti la stessa parte.
Venite giù, che la rivoluzione francese c'è già stata. Ma anche l'Impero è passato.
domenica 11 dicembre 2011
Quelli che hanno tutto da perdere e se ne fregano
Il conte Agostino Guerrieri probabilmente non apprezzerebbe il titolo del post e gli chiedo scusa. Ma la sua storia - catturata in un fiammeggiare di tv notturno - mi ha catturata.
Premessa, il bene che tutti hanno, di uguale valore, si chiama vita. Ma certo fa impressione che un giovane nobile, che potrebbe vivere tra gli agi e i riconoscimenti, si trasformi in uno scatenato patriota e metta a rischio tutto: casata, beni, possibilità di una discendenza stessa... Incarcerato e condannato dagli Austriaci, liberato infine, ancora in prima linea senza alcun riguardo per se stesso. Il tutto partendo da Verona... insomma, un veneto sostenitore dell'Italia nonostante ogni legge di convenienza lo mettesse in guardia. Convenienza, can you see? Purtroppo la prima, o più agghindata fede dei nostri tempi italiani.
Sono queste le storie di Risorgimento che mi attirano, che sfuggono al magma dei libri di storia.
Se fosse un titolo da tv, direi proprio così: quelli che hanno tutto da perdere e se ne fregano. Con una piccola aggiunta: ma non di tutto.
Premessa, il bene che tutti hanno, di uguale valore, si chiama vita. Ma certo fa impressione che un giovane nobile, che potrebbe vivere tra gli agi e i riconoscimenti, si trasformi in uno scatenato patriota e metta a rischio tutto: casata, beni, possibilità di una discendenza stessa... Incarcerato e condannato dagli Austriaci, liberato infine, ancora in prima linea senza alcun riguardo per se stesso. Il tutto partendo da Verona... insomma, un veneto sostenitore dell'Italia nonostante ogni legge di convenienza lo mettesse in guardia. Convenienza, can you see? Purtroppo la prima, o più agghindata fede dei nostri tempi italiani.
Sono queste le storie di Risorgimento che mi attirano, che sfuggono al magma dei libri di storia.
Se fosse un titolo da tv, direi proprio così: quelli che hanno tutto da perdere e se ne fregano. Con una piccola aggiunta: ma non di tutto.
sabato 10 dicembre 2011
L'anello di Marilyn
Marilyn Monroe’s platinum and diamond eternity wedding band given to her by Joe DiMaggio after their 1954 wedding.
Lo sapevo che doveva esserci anche qualcosa appartenuto a quella bellissima bambina, all'asta delle icone di Hollywood. Del divano arancione di Friends francamente me ne infischio. Ma in ogni angolo del mondo c'è qualcosa di Marilyn Monroe. E siccome oggi mi sento particolarmente romantica, penso che questa volta c'è pure qualcosa di speciale, come speciale era DiMaggio. L'uomo che l'ha amata, sostenuta anche quando altri erano stati nella sua vita.
La bellissima bambina cantata da Truman Capote in un giorno di lutto che voleva riscattarsi con lo champagne e invece tra i gabbiani e i biscottini della fortuna, un nuovo lutto stava annunciando.
Lei ritorna nelle immagini, negli eventi, nei pensieri.
C'è sempre un frammento di Marilyn, e della fragilità della vita, in ogni scampolo di eternità.
Lo sapevo che doveva esserci anche qualcosa appartenuto a quella bellissima bambina, all'asta delle icone di Hollywood. Del divano arancione di Friends francamente me ne infischio. Ma in ogni angolo del mondo c'è qualcosa di Marilyn Monroe. E siccome oggi mi sento particolarmente romantica, penso che questa volta c'è pure qualcosa di speciale, come speciale era DiMaggio. L'uomo che l'ha amata, sostenuta anche quando altri erano stati nella sua vita.
La bellissima bambina cantata da Truman Capote in un giorno di lutto che voleva riscattarsi con lo champagne e invece tra i gabbiani e i biscottini della fortuna, un nuovo lutto stava annunciando.
Lei ritorna nelle immagini, negli eventi, nei pensieri.
C'è sempre un frammento di Marilyn, e della fragilità della vita, in ogni scampolo di eternità.
venerdì 9 dicembre 2011
Da Ponte, Mozart e quel che rimane
Ho conservato lo speciale "Don Giovanni" del Corriere, perché credevo di nutrirmi di Mozart. Invece, mi sono calata a sorpresa soprattutto nella storia di Lorenzo Da Ponte. Mi sono resa conto di come sia ignorante nei confronti dei librettisti. Di chi è stato non meno fondamentale nel trasmettere la potenza della lirica.
Mi ha colpito (anche) il divario di vita, tra lui e Mozart. Wolfgang, troppo geniale per rimanere a lungo su questa terra. E Da Ponte invece che cavalca anche i mari, va a New York, muore a 89 anni e non prima di aver cercato di seminare l'amore per l'italiano e la lirica nel nuovo continente. Ancora nuovissimo, allora...
Un'esistenza straordinaria, quella di Da Ponte, e mi assale la voglia di leggere le sue Memorie. Alla fine, i fili si riavvolgono. Mozart lo chiama e lui lo raggiunge. Neanche di Da Ponte - leggo - si sa dove sia sepolto. A New York, sì, ma i suoi resti si mescolarono con quelli di altri in un trasferimento.
Quel che rimane è Altro.
Mi ha colpito (anche) il divario di vita, tra lui e Mozart. Wolfgang, troppo geniale per rimanere a lungo su questa terra. E Da Ponte invece che cavalca anche i mari, va a New York, muore a 89 anni e non prima di aver cercato di seminare l'amore per l'italiano e la lirica nel nuovo continente. Ancora nuovissimo, allora...
Un'esistenza straordinaria, quella di Da Ponte, e mi assale la voglia di leggere le sue Memorie. Alla fine, i fili si riavvolgono. Mozart lo chiama e lui lo raggiunge. Neanche di Da Ponte - leggo - si sa dove sia sepolto. A New York, sì, ma i suoi resti si mescolarono con quelli di altri in un trasferimento.
Quel che rimane è Altro.
giovedì 8 dicembre 2011
Una canzone per Jim Morrison. E per me
Questa sera mentre scorre l'intera giornata, avrei solo voglia di un valzer. Uno di quelli che mi faceva ballare il nonno in Valle, prima di fermarsi ridendo perché girava troppo la testa. Allora si aggrappava al tavolo di marmo e tutte le forze si sprigionavano nella nostra complice risata.
Allora pesco il valzer dell'inverno. Wintertime Love. Neanche riesco a suonarla bene, a parte che massacro tutte le tue canzoni, Jim, con la tastiera: diciamocelo.
Però, a mia attenuante, abbasso il volume.
Tutto sussurrato come la tempesta che stiamo attraversando. E dalla quale tu sei al riparo, da tempo, tra note che non finiscono mai.
Buon compleanno, Jim.
Allora pesco il valzer dell'inverno. Wintertime Love. Neanche riesco a suonarla bene, a parte che massacro tutte le tue canzoni, Jim, con la tastiera: diciamocelo.
Però, a mia attenuante, abbasso il volume.
Tutto sussurrato come la tempesta che stiamo attraversando. E dalla quale tu sei al riparo, da tempo, tra note che non finiscono mai.
Buon compleanno, Jim.
mercoledì 7 dicembre 2011
Le donne e la contrada dell'Oca
Qualche amico perfido avrà già scritto il suo blog immaginario partendo dal titolo.
Ma siamo seri: anche se al Palio di Siena tifo da sempre per il Montone (Valdimontone, specifichiamo così spazzo via altre tentazioni di battute sciocchine), applaudo alla contrada dell'Oca che finalmente ha concesso il diritto di voto alle donne nelle assemblee.
Chi la dura la vince. Ora, sfogatevi uomini sulle oche... Ma secondo me era particolarmente doveroso far votare le signore in questa contrada. Difatti, è quella di Santa Caterina, patrona d'Italia e dottore della Chiesa. Una donna che sapeva all'occasione dare una svegliata ai maschietti, specialmente ai posti di potere.
Cara patrona, continua a vegliare tu. Ben oltre la bellissima Siena.
Ma siamo seri: anche se al Palio di Siena tifo da sempre per il Montone (Valdimontone, specifichiamo così spazzo via altre tentazioni di battute sciocchine), applaudo alla contrada dell'Oca che finalmente ha concesso il diritto di voto alle donne nelle assemblee.
Chi la dura la vince. Ora, sfogatevi uomini sulle oche... Ma secondo me era particolarmente doveroso far votare le signore in questa contrada. Difatti, è quella di Santa Caterina, patrona d'Italia e dottore della Chiesa. Una donna che sapeva all'occasione dare una svegliata ai maschietti, specialmente ai posti di potere.
Cara patrona, continua a vegliare tu. Ben oltre la bellissima Siena.
lunedì 5 dicembre 2011
Super Furry Animals
Chissà perché questa notte si sono insinuati nei miei pensieri girandole di nomi. Vorticose come i sogni, che generalmente riesco a memorizzare, o almeno a trattenere un poco fino ad affidarli al vento della giornata, che tutto porta via.
Forse tutto è nato da un mega sondaggio interno: qual è il nome più bello di un gruppo, rock ma non solo? Allora mi sono venuti in mente loro, nome assurdo e per questo delizioso, che ho conosciuto per un lampo di stagione o forse due. A dire il vero, scopro da Wikipedia che sono ancora in attività, addirittura hanno pubblicato un cd nel 2009. Ma dove sono finiti i Super Furry Animals? apprendo anche che sono gallesi - e adesso mi sembra il minimo. Ne fui attirata da una canzone poco plasmabile dal titolo Demons. Ora prendo una strofa a caso e vorrei che fosse la realtà in questo mondo sottosopra.
When there's northerners in southerners
And westenders in eastenders
And sunny days in January
Left spaces in my diary
E poi torno ai loro demoni.
But the demons never need to know
What the demons never got to see
Dei Super Furry Animals possiedo anche un delizioso cd donato dall'Inghilterra. Non lo voglio risentire stamattina, mi accontento del finale di Demons oggi.
Sai che sappiamo che non sanno che sta accadendo.
Socrate, avresti mai pensato...?
Forse tutto è nato da un mega sondaggio interno: qual è il nome più bello di un gruppo, rock ma non solo? Allora mi sono venuti in mente loro, nome assurdo e per questo delizioso, che ho conosciuto per un lampo di stagione o forse due. A dire il vero, scopro da Wikipedia che sono ancora in attività, addirittura hanno pubblicato un cd nel 2009. Ma dove sono finiti i Super Furry Animals? apprendo anche che sono gallesi - e adesso mi sembra il minimo. Ne fui attirata da una canzone poco plasmabile dal titolo Demons. Ora prendo una strofa a caso e vorrei che fosse la realtà in questo mondo sottosopra.
When there's northerners in southerners
And westenders in eastenders
And sunny days in January
Left spaces in my diary
E poi torno ai loro demoni.
But the demons never need to know
What the demons never got to see
Dei Super Furry Animals possiedo anche un delizioso cd donato dall'Inghilterra. Non lo voglio risentire stamattina, mi accontento del finale di Demons oggi.
Sai che sappiamo che non sanno che sta accadendo.
Socrate, avresti mai pensato...?
venerdì 2 dicembre 2011
Giannino, Jim e la crisi (che non c'è)
Ho voglia di essere perfettamente demagogica. Guardo le immagini di Oscar Giannino bersagliato da uova e pomodori e penso: visto Oscar che ti sbagliavi? La crisi non esiste...
A me stai irrimediabilmente simpatico, anche se da settimane annunci - come un frate trappista, se non fosse per quel tono brillante - l'apocalisse. Ti adoro, Oscar, perché per chiarire le idee sei arrivato a chiudere le tue puntata con "The end" di Jim Morrison. Della serie: se non capite con i discorsi, ci proviamo con le canzoni.
Ma per te, caro Giannino, siamo messi così male? In fin dei conti gli studenti - che io credo debbano contestare, in altri modi possibilmente, perché così è quando ci si trova in quella fase della vita - hanno lanciato uova e pomodori. Alimenti. Spero almeno che fossero scaduti o deteriorati (non per le tue impeccabili giacche e il tuo buon gusto, si intende), perché altrimenti mi metterebbe un pelino di tristezza. Non bisogna più arrivare fino in Paesi lontani per vedere persone che quegli alimenti se li sognano. Basterebbe guardare nel frigo di non pochi pensionati, tanto per fare un esempio. Solo che loro, non contestano.
A me stai irrimediabilmente simpatico, anche se da settimane annunci - come un frate trappista, se non fosse per quel tono brillante - l'apocalisse. Ti adoro, Oscar, perché per chiarire le idee sei arrivato a chiudere le tue puntata con "The end" di Jim Morrison. Della serie: se non capite con i discorsi, ci proviamo con le canzoni.
Ma per te, caro Giannino, siamo messi così male? In fin dei conti gli studenti - che io credo debbano contestare, in altri modi possibilmente, perché così è quando ci si trova in quella fase della vita - hanno lanciato uova e pomodori. Alimenti. Spero almeno che fossero scaduti o deteriorati (non per le tue impeccabili giacche e il tuo buon gusto, si intende), perché altrimenti mi metterebbe un pelino di tristezza. Non bisogna più arrivare fino in Paesi lontani per vedere persone che quegli alimenti se li sognano. Basterebbe guardare nel frigo di non pochi pensionati, tanto per fare un esempio. Solo che loro, non contestano.