Rabbie, ti ho tra le mani. Grazie alla mia sorellina Robbie. Nulla mi esalta di più che bere una birra così, e ci stiamo pregustando la serata giusta.
Meravigliosa la bottiglia made in Scotland, dedicata a Braveheart, ci mancherebbe. Ma che emozione quella dedicata a Robbie Burns. IL poeta. Scots Wha Hae... Con la tua lirica scorreva il coraggio infuso da Robert Bruce (non il ragazzo indeciso e traditore del film di Gibson) prima della battaglia di Bannockburn.
Quando dall'Inghilterra ci mettevamo in viaggio verso la Scozia... ricordo che pronunciavamo quelle parole varcando il confine. Scots Wha Hae. Liberty's in every blow. Alla gloria, o alla morte.
Sì, appena superata l'invisibile barriera e respirata l'aria di Scozia, bisognava urlare quei versi. Ricordi Robbie (sorellina)?
La mia birra Burns. Brucio anch'io! ti adoro, caro poeta, anche perché mi consoli della solitudine in cui mi trovo in cui propongo di mangiare l'haggis, re dei pasticci. Tu, che sei un vero scozzese e intenditore, gli hai dedicato una fantastica ode.
Ora avanti: plachiamo questa sete. Scots Wha Hae
Appunti di Viaggio di Marilena Lualdi Tra natura, dubbi e musica (Nature, music and doubts) (Questo sito si serve dei cookie per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'uso dei cookie)
mercoledì 29 febbraio 2012
Seduta sul fiume con la chitarra
Non mi avete creduto, ma sono uscita verso il fiume. Quello vero, mai silenzioso a differenza del mio amato lago. Un ruscello cresciuto troppo in fretta, alla cui riva mi siedo.
Ho la chitarra e osservo con stupore l'acqua.
Forse ha ragione Paul Stanley (lui è uno degli uomini più sensibili del mondo, osserva l'adolescente in me), è composto dalle lacrime delle persone che si lamentano sempre, mentre il tempo scorre più violentemente. C'è gente che piange un fiume, e non vede mai l'altra riva - canta lui -, incollata ai propri problemi, reali o ingigantiti. Gente che poi finisce piegata e ingoiata dalla marea.
Mi allontano dal fiume. Potrei coltivare altre bizzarre idee, alla Patti Smith. Ma sono una rocker cresciuta troppo in fretta, e mi sa che stanotte abbandono la chitarra, tanto non la so suonare, dai. Forse riafferro persino l'uncinetto. Vuoi vedere che sono più rivoluzionaria, con l'uncinetto?
martedì 28 febbraio 2012
Playing away
Devo zittire tutto il tweet rimasto dalla notte o fuggo. Abbiamo già concluso la registrazione del disco dei Kiss, ora sono sotto i Motley Crue.
Nikki Sixx, che per me è uno degli uomini più intelligenti del mondo (ragiono da adolescente, lo so), aggiorna implacabile. Forse perché sono un orso, e di quelli selvaggi che in cattività danno fuori di matto o muoiono, spingo il muso fuori e annuso l'aria. Il sangue rock è in ebollizione.
Lo sapete già. In certi istanti, fosse per me, piglierei la tastiera e andrei in giro a suonare. Su un palco improvvisato, o per strada, o sotto il fatidico ponte. La chitarra no, non sono mai stata portata nonostante gli innumerevoli tentativi. Non che sia una pianista d'eccezione, già non lo ero prima e le dita si sono arrugginite.
Ma vuoi mettere una tastiera fracassona, rispetto ad altre?
Fermami, caro, o fuggo a suonare lontano. Playing. Suonare. Giocare. Come ho fatto a diventare così seria, o meglio seriosa? Ahi, ho visto che stai staccando la spina: non importa, infilerò le batterie.
Ci sono momenti in cui nessuno può fermarti, quando vuoi suonare lontano. Hey buddies, I'm comin'.
Nikki Sixx, che per me è uno degli uomini più intelligenti del mondo (ragiono da adolescente, lo so), aggiorna implacabile. Forse perché sono un orso, e di quelli selvaggi che in cattività danno fuori di matto o muoiono, spingo il muso fuori e annuso l'aria. Il sangue rock è in ebollizione.
Lo sapete già. In certi istanti, fosse per me, piglierei la tastiera e andrei in giro a suonare. Su un palco improvvisato, o per strada, o sotto il fatidico ponte. La chitarra no, non sono mai stata portata nonostante gli innumerevoli tentativi. Non che sia una pianista d'eccezione, già non lo ero prima e le dita si sono arrugginite.
Ma vuoi mettere una tastiera fracassona, rispetto ad altre?
Fermami, caro, o fuggo a suonare lontano. Playing. Suonare. Giocare. Come ho fatto a diventare così seria, o meglio seriosa? Ahi, ho visto che stai staccando la spina: non importa, infilerò le batterie.
Ci sono momenti in cui nessuno può fermarti, quando vuoi suonare lontano. Hey buddies, I'm comin'.
Scuri e Chiari in noi
A papà piacevi, e papà raramente ne sbagliava una. Forse anche lui si sarebbe commosso, nonostante il tuo appello "amici, non piangete. È solo sonno arretrato".
Ma mi commuovo, cavolo, adorabile Walter Chiari. Penso a tuo figlio, con la tua carica di simpatia. Tua e sua. Ci penso spesso in questo periodo: lui è mio coscritto e ha avuto un grande padre. Anch'io. Com'è dura poi rincorrervi, e voi stessi ci raccomandate di non farlo.
Onore anche ad Alessio Boni. Che si sa calare, interrogare, impegnato in metamorfosi di ogni tipo. La tua, meravigliosa.
Questi Chiari, antidoto ai mille scuri dei nostri giorni. Riposa, Walter.
Ma mi commuovo, cavolo, adorabile Walter Chiari. Penso a tuo figlio, con la tua carica di simpatia. Tua e sua. Ci penso spesso in questo periodo: lui è mio coscritto e ha avuto un grande padre. Anch'io. Com'è dura poi rincorrervi, e voi stessi ci raccomandate di non farlo.
Onore anche ad Alessio Boni. Che si sa calare, interrogare, impegnato in metamorfosi di ogni tipo. La tua, meravigliosa.
Questi Chiari, antidoto ai mille scuri dei nostri giorni. Riposa, Walter.
lunedì 27 febbraio 2012
Semplicemente Anna
Ho incontrato Andrea Riscassi, grazie a una grande donna. Che gioia ricevere la notizia dal suo blog: il suo impegno per ricordare un'altra grande donna ha raggiunto il traguardo.
Il consiglio comunale di Milano ha approvato la mozione per dedicare una via ad Anna Politkovskaja, scrive il giornalista del quale ammiro profondamente lo stile e l'impegno civile. "Una bellissima notizia alla vigilia delle elezioni-plebiscito di domenica" scrive Andrea.
Lui e l'associazione Annaviva sono felici e ringraziano. Un gesto di rispetto e di civiltà. Curioso, proprio in un momento in cui è apparso come in Italia vie dedicate alle donne non abbondano. Questa, appunto, era, è una grande donna. Ma oggi, più che mai, semplicemente Anna.
Seguite Andrea nel suo blog, perché ne vale la pena. Sempre. Grazie Andrea.
http://andreariscassi.wordpress.com
Il consiglio comunale di Milano ha approvato la mozione per dedicare una via ad Anna Politkovskaja, scrive il giornalista del quale ammiro profondamente lo stile e l'impegno civile. "Una bellissima notizia alla vigilia delle elezioni-plebiscito di domenica" scrive Andrea.
Lui e l'associazione Annaviva sono felici e ringraziano. Un gesto di rispetto e di civiltà. Curioso, proprio in un momento in cui è apparso come in Italia vie dedicate alle donne non abbondano. Questa, appunto, era, è una grande donna. Ma oggi, più che mai, semplicemente Anna.
Seguite Andrea nel suo blog, perché ne vale la pena. Sempre. Grazie Andrea.
http://andreariscassi.wordpress.com
Margherita curiosa
Non so se sia la più coraggiosa, o semplicemente curiosa. Ma è lei la prima a essere comparsa nel mio giardino.
Minuscola e con una vaga ombra di stupore. Fosse per la neve in ritirata sotto il sole, o perché riusciva a sbirciare un lavo reso terribilmente blu dal vento: non so nemmeno questo.
Ho solo sentito gridare il delizioso bambino: è la prima margherita, coraggio che farai i cuccioli.
Una frase rimasta sospesa nell'aria, come l'emozione della prima margherita. Aspettami. Oggi potrei persino essere ottimista. O curiosa.
domenica 26 febbraio 2012
Gli incazzosi
Un tribunale. Un campo di calcio. Un programma che è gara di chef.
Siamo tutti incazzosi. Peggio dei ringhi sfoggiati dai personaggi dei Soliti Idioti, forti del tesoro che ciascuno di noi possiede: la verità.
Volevo scherzare su questa partita, ma è una vicenda troppo seria. Mi viene in mente un augusto personaggio - augusto si ritiene lui - che definisce tutti gli uomini ladri e le donne puttane.
Non mi metto a giocare, mica di innescare un dramma.
Allora, semplicemente mi dedico a volerti bene. Questo è serio.
Siamo tutti incazzosi. Peggio dei ringhi sfoggiati dai personaggi dei Soliti Idioti, forti del tesoro che ciascuno di noi possiede: la verità.
Volevo scherzare su questa partita, ma è una vicenda troppo seria. Mi viene in mente un augusto personaggio - augusto si ritiene lui - che definisce tutti gli uomini ladri e le donne puttane.
Non mi metto a giocare, mica di innescare un dramma.
Allora, semplicemente mi dedico a volerti bene. Questo è serio.
sabato 25 febbraio 2012
Cure antiansia: il telecomando
Controllo, prego. Ha ragione, dottore, sfuggirò anche da me stessa e da questa irrefrenabile tendenza al controllo.
Mi sono messa in moto, cinque minuti mancano al traguardo. Istintivamente, la mano si dirige verso la borsa: dove avrò il telecomando? Ma dove l'hai messo sempre, zio canarino, no? No, perché la stessa, dolcissima Giuly ieri sera ha aderito al gruppo "La mia borsa è un oceano". Quindi per l'intero tragitto devo cercare il telecomando. Le chiavi. L'altro telecomando. Quando guido io, è più imbarazzante.
Invece no. Questa sera non lo cerco. Il telecomando sarà dove sarà. Quando mi serve? Quando sono davanti al cancello. Ecco, lo cercherò allora. Guarda che sballo questa strada, ma quelle luci colorate ci sono sempre state? Sembra un panorama da vacanza. Tieni duro, Malu. Non occorre cercalo adesso. Anche a costo di inchiodarmi un'ora al cancello.
Arriva il traguardo, immerso nella sera. Infilo senza esitazioni la mano nella borsa. Il telecomando è lì, dove doveva essere. E se non ci fosse stato, amen.
Ha ragione, dottore. Non bisogna per forza controllare tutto. Un giorno, magari il telecomando mi afferrerà lui. E allora saranno dolori. Oppure no?
Mi sono messa in moto, cinque minuti mancano al traguardo. Istintivamente, la mano si dirige verso la borsa: dove avrò il telecomando? Ma dove l'hai messo sempre, zio canarino, no? No, perché la stessa, dolcissima Giuly ieri sera ha aderito al gruppo "La mia borsa è un oceano". Quindi per l'intero tragitto devo cercare il telecomando. Le chiavi. L'altro telecomando. Quando guido io, è più imbarazzante.
Invece no. Questa sera non lo cerco. Il telecomando sarà dove sarà. Quando mi serve? Quando sono davanti al cancello. Ecco, lo cercherò allora. Guarda che sballo questa strada, ma quelle luci colorate ci sono sempre state? Sembra un panorama da vacanza. Tieni duro, Malu. Non occorre cercalo adesso. Anche a costo di inchiodarmi un'ora al cancello.
Arriva il traguardo, immerso nella sera. Infilo senza esitazioni la mano nella borsa. Il telecomando è lì, dove doveva essere. E se non ci fosse stato, amen.
Ha ragione, dottore. Non bisogna per forza controllare tutto. Un giorno, magari il telecomando mi afferrerà lui. E allora saranno dolori. Oppure no?
mercoledì 22 febbraio 2012
Marie, la Siria e le tremila parole
Marie, collana di perle e benda sull'occhio. Oggi tutti la ricordano così, la corrispondente del Sunday Times uccisa in Siria.
Marie non al calduccio dell'indifferenza, sempre in prima linea: l'occhio l'aveva perso in Sri Lanka, durante la guerra civile, nella zona Tamil, undici anni fa.
Ferita e fiera, pochi giorni dopo, aveva mandato al giornale una storia di tremila parole.
Per la Siria finora quante parole sono state spese? Poche, nonostante ci siano molti giornalisti coraggiosi che stanno documentando ciò che accade. Ma a noi interessa altro, e il bollettino dei morti si infila tra resoconti di Sanremo e anatemi sulla crisi.
Marie, solo un'altra persona che è scomparsa sotto una crudeltà, sotto una violenza che non interessa a nessuno al di là delle urla di sdegno a intermittenza.
Ci saranno ancora tremila parole, o forse una sola, in grado di risvegliarci?
Marie non al calduccio dell'indifferenza, sempre in prima linea: l'occhio l'aveva perso in Sri Lanka, durante la guerra civile, nella zona Tamil, undici anni fa.
Ferita e fiera, pochi giorni dopo, aveva mandato al giornale una storia di tremila parole.
Per la Siria finora quante parole sono state spese? Poche, nonostante ci siano molti giornalisti coraggiosi che stanno documentando ciò che accade. Ma a noi interessa altro, e il bollettino dei morti si infila tra resoconti di Sanremo e anatemi sulla crisi.
Marie, solo un'altra persona che è scomparsa sotto una crudeltà, sotto una violenza che non interessa a nessuno al di là delle urla di sdegno a intermittenza.
Ci saranno ancora tremila parole, o forse una sola, in grado di risvegliarci?
martedì 21 febbraio 2012
La capra che si piglia
Anche le capre parlano il dialetto. Ringrazio i britannici per la nuova rivelazione in campo animale e mi consolo del fatto che le caprette impegnate a divorare le mie piantine, procedano emettendo uguale intonazione.
Chi si piglia, si assomiglia: mi pare questo il concetto sul fronte caprino, visto si sono riscontrati accenti differenti in differenti gruppi, a seconda di come e dove si è allevati. Riporto il verdetto degli studiosi: «Nonostante il ridotto repertorio vocale, i richiami dei capretti fratellastri sono diventati più simili se allevati insieme nell'ambito dello stesso gruppo sociale».
Non so cosa ne pensino le capre - perché con quegli occhi furbetti, pensano eccome, non credete? - ma per un attimo vorrei avere la bacchetta magica e trasportare loro in qualche università o centro di ricerca, per esaminare ciò che facciamo noi ufficiali umani.
Mi illuderò, sarà sempre quel lampo birichino nei loro occhi a deviarmi o quella loro propensione per le stoffe di buon sapore, ma penso che del nostro accento o del nostro colore, o di come siamo vestiti, se ne fregherebbero. Cancello l'ultima opzione: certe stoffe che indossiamo, interessano alle capre, le sputerebbero al primo colpo.
Magari svolgerebbero sì una ricerca, ma per capire perché facciamo tante cavolate. Per niente buone, quelle: molto meglio i cavoli.
Chi si piglia, si assomiglia: mi pare questo il concetto sul fronte caprino, visto si sono riscontrati accenti differenti in differenti gruppi, a seconda di come e dove si è allevati. Riporto il verdetto degli studiosi: «Nonostante il ridotto repertorio vocale, i richiami dei capretti fratellastri sono diventati più simili se allevati insieme nell'ambito dello stesso gruppo sociale».
Non so cosa ne pensino le capre - perché con quegli occhi furbetti, pensano eccome, non credete? - ma per un attimo vorrei avere la bacchetta magica e trasportare loro in qualche università o centro di ricerca, per esaminare ciò che facciamo noi ufficiali umani.
Mi illuderò, sarà sempre quel lampo birichino nei loro occhi a deviarmi o quella loro propensione per le stoffe di buon sapore, ma penso che del nostro accento o del nostro colore, o di come siamo vestiti, se ne fregherebbero. Cancello l'ultima opzione: certe stoffe che indossiamo, interessano alle capre, le sputerebbero al primo colpo.
Magari svolgerebbero sì una ricerca, ma per capire perché facciamo tante cavolate. Per niente buone, quelle: molto meglio i cavoli.
lunedì 20 febbraio 2012
Sotto la porta dei leoni
Sotto la porta dei leoni passai, mi sedetti e piansi. Avevo l'infantile sensazione che quella foto accarezzata sui libri d'arte non potesse corrispondere ad alcunché di reale al mondo.
Tirava un'aria silenziosa a Micene, e ogni angolo mi parlava di gloria e sogni infranti. Ho attraversato la Grecia, ma quel luogo è sempre rimasto in un cassetto speciale, come la storia che tramanda. Aspro e senza più illusioni, eppure capace di una magia irresistibile.
Sotto la porta dei leoni tornerei, mentre tutti mi parlano di disperazione nella terra sorella. Non riesco a convincermi, neanche quando parlo con voci amiche ad Atene, perché nel dolore respiro un'antica saggezza; dovrà pur servire a qualcosa in questo contesto utilitaristico.
Mi sposto con il pensiero a Sounion e aspetto il passaggio del giorno. Si stendono due cieli, immensi come i sogni, e sanno disputarsi con armonia diversi i colori. Vorrà pur dire qualcosa quel mare che invita ad attendere e a non lasciarsi fermare da un cielo spezzato a metà.
Così torno a Micene, più guerriera. Tutto è possibile, sotto la porta dei leoni.
Tirava un'aria silenziosa a Micene, e ogni angolo mi parlava di gloria e sogni infranti. Ho attraversato la Grecia, ma quel luogo è sempre rimasto in un cassetto speciale, come la storia che tramanda. Aspro e senza più illusioni, eppure capace di una magia irresistibile.
Sotto la porta dei leoni tornerei, mentre tutti mi parlano di disperazione nella terra sorella. Non riesco a convincermi, neanche quando parlo con voci amiche ad Atene, perché nel dolore respiro un'antica saggezza; dovrà pur servire a qualcosa in questo contesto utilitaristico.
Mi sposto con il pensiero a Sounion e aspetto il passaggio del giorno. Si stendono due cieli, immensi come i sogni, e sanno disputarsi con armonia diversi i colori. Vorrà pur dire qualcosa quel mare che invita ad attendere e a non lasciarsi fermare da un cielo spezzato a metà.
Così torno a Micene, più guerriera. Tutto è possibile, sotto la porta dei leoni.
domenica 19 febbraio 2012
La rabbia e l'affetto
E' trascorso un anno da quando te ne sei andata, e la rabbia continua a scorrere. Oggi mi rivolgo a te con lo stesso affetto, e un'implorazione: perdonami e chiedi perdono per me.
E' trascorso un anno durante il quale ho perso un fratello, la mia seconda mamma (ora unita all'oceano) e altre persone preziose nella mia piccola vita. Ho sofferto molto, per ciascuno di loro, ma per nessuno ho avvertito questa profonda e pericolosa rabbia.
Pericolosa, perché so che mi allontana da molto, spero non da te. Ti ho conosciuta tardi, nell'anno in cui entrambe avevamo perso una persona fondamentale della nostra esistenza. Abbiamo condiviso nemmeno tre anni di amicizia, ma ogni nostro incontro, ogni parola, ogni tuo gesto d'affetto... sono tutti riposti nel mio cuore.
Eppure non posso accettare che tu te ne sia andata, a riposare con chi amavi, perché qui hai ancora una persona preziosissima, e altri che ti vogliono bene e ti cercano. Qui hai degli angeli da aiutare, nella loro missione quotidiana. La tua scomparsa è quella che ha fatto traballare con più potenza ciò che in cui credevo, la dolcezza di una Provvidenza che comunque sa sempre accompagnarci.
Oggi capisco meglio: sono arrabbiata perché ragiono dal nostro punto di vista, da chi è qui e senza di te. Dovrei accettare che della tua dolcezza aveva bisogno il cielo, e che tu avevi bisogno della sua. Che tu hai camminato in questi anni di immenso dolore, badando solo agli altri e tacendo, come potevi, la tua sofferenza. Come potevi.
Quel giorno, che arrivai per caso al cimitero, e invece tu eri lì con tuo marito... Mi vedesti e corresti incontro a me, buttandomi le braccia al collo. Basta. Io ti chiedo di perdonare la mia rabbia; il compito più importante, sono sicura che già lo stai portando avanti, perché incontro ogni giorno un esempio di coraggio incredibile.
Senza rabbia, senza questa ribellione all'ingiustizia conclamata, posso lasciar fluire solo l'affetto. E avere il coraggio di rivedere il tuo sorriso, mentre ti giri per un istante appena nel dvd di quel tuo viaggio. Il penultimo, quello che già apriva le porte della pace e non lo sapevamo.
E' trascorso un anno durante il quale ho perso un fratello, la mia seconda mamma (ora unita all'oceano) e altre persone preziose nella mia piccola vita. Ho sofferto molto, per ciascuno di loro, ma per nessuno ho avvertito questa profonda e pericolosa rabbia.
Pericolosa, perché so che mi allontana da molto, spero non da te. Ti ho conosciuta tardi, nell'anno in cui entrambe avevamo perso una persona fondamentale della nostra esistenza. Abbiamo condiviso nemmeno tre anni di amicizia, ma ogni nostro incontro, ogni parola, ogni tuo gesto d'affetto... sono tutti riposti nel mio cuore.
Eppure non posso accettare che tu te ne sia andata, a riposare con chi amavi, perché qui hai ancora una persona preziosissima, e altri che ti vogliono bene e ti cercano. Qui hai degli angeli da aiutare, nella loro missione quotidiana. La tua scomparsa è quella che ha fatto traballare con più potenza ciò che in cui credevo, la dolcezza di una Provvidenza che comunque sa sempre accompagnarci.
Oggi capisco meglio: sono arrabbiata perché ragiono dal nostro punto di vista, da chi è qui e senza di te. Dovrei accettare che della tua dolcezza aveva bisogno il cielo, e che tu avevi bisogno della sua. Che tu hai camminato in questi anni di immenso dolore, badando solo agli altri e tacendo, come potevi, la tua sofferenza. Come potevi.
Quel giorno, che arrivai per caso al cimitero, e invece tu eri lì con tuo marito... Mi vedesti e corresti incontro a me, buttandomi le braccia al collo. Basta. Io ti chiedo di perdonare la mia rabbia; il compito più importante, sono sicura che già lo stai portando avanti, perché incontro ogni giorno un esempio di coraggio incredibile.
Senza rabbia, senza questa ribellione all'ingiustizia conclamata, posso lasciar fluire solo l'affetto. E avere il coraggio di rivedere il tuo sorriso, mentre ti giri per un istante appena nel dvd di quel tuo viaggio. Il penultimo, quello che già apriva le porte della pace e non lo sapevamo.
sabato 18 febbraio 2012
L'ultima sfilata e lo champagne
Quando senti storie come quella di Zelda Kaplan, ti inchini alla vita e alle donne che l'attraversano con garbo. Lei che a 95 anni ha assistito alla sua ultima sfilata, in prima fila come ogni volta, ed è come se avesse deciso di congedarsi così con la vita, in un luogo che l'aveva attesa e accolta per decenni.
Quando senti storie come quella di Zelda Kaplan, ti viene voglia di sorridere al destino. Che a volte appare capriccioso e crudele, a volte sembra lasciarsi convincere a diventare umano e riconoscere così le umane peculiarità.
Non la conoscevamo, questa vecchia signora, che ci sembra tanto più giovane di noi, visto che - leggiamo - usciva tre volte alla settimana, beveva fiumi di champagne, tornava alle 4 di notte e si alzava alle 2 di pomeriggio.
Ci appare come una creatura leggiadra, senza essere leggera, ossia superficiale. Amava la moda, il che non è un peccato, e si batteva per i diritti delle donne.
Ci spiace non averla conosciuta, questa donna dal nome così fantastico, che ha obbligato anche il destino a inchinarsi. E questa sera, vorremmo aprire una bottiglia di champagne e alzare il calice per un brindisi dedicato a lei.
Quando senti storie come quella di Zelda Kaplan, ti viene voglia di sorridere al destino. Che a volte appare capriccioso e crudele, a volte sembra lasciarsi convincere a diventare umano e riconoscere così le umane peculiarità.
Non la conoscevamo, questa vecchia signora, che ci sembra tanto più giovane di noi, visto che - leggiamo - usciva tre volte alla settimana, beveva fiumi di champagne, tornava alle 4 di notte e si alzava alle 2 di pomeriggio.
Ci appare come una creatura leggiadra, senza essere leggera, ossia superficiale. Amava la moda, il che non è un peccato, e si batteva per i diritti delle donne.
Ci spiace non averla conosciuta, questa donna dal nome così fantastico, che ha obbligato anche il destino a inchinarsi. E questa sera, vorremmo aprire una bottiglia di champagne e alzare il calice per un brindisi dedicato a lei.
venerdì 17 febbraio 2012
Gatto è bello, quando è litigarello
Il mio primo gatto sfiorato fu Tigre: in omaggio al pelo, ma chissà se il nonno pensava anche alla Pro Patria, visto che ne andava matto. Poi c'era Pomodoro, il re del cortile di zia Angelica. Immenso e rosso, mi permetteva di accarezzarlo dopo vari sguardi sospetti.
Ci sono due schieramenti, e raramente si trova un mondo bipartisan: pro cane e pro gatto. Io, essendo un'insicura, lo ammetto, preferisco il cane, più accondiscendente verso l'uomo. Ma nutro una sana ammirazione per i gatti. In montagna ho conosciuti quelli selvatici, all'inizio adorabili e poi sdegnati cronici; forse mi hanno aiutata loro ad apprezzare e temere nello stesso tempo la loro indipendenza.
Una volta, la contadina aveva due gattini malati, neri e bianchi. Siccome aveva poco tempo per curarsene e uno se ne stava andando, li portai su con me. Ma era tardi e il più tremolante morì ugualmente: l'avevo chiamato Nuvola e piansi molto, anche se non era il mio micetto. Continuai ad andare a trovare il fratellino, che adorava soprattutto le sottilette Tigre (non è cannibalismo, dai) che gli portavo di nascosto da papà. Un gatto però non si può comprare: una volta cresciuto, mi dava solenni artigliate e le sottilette, veniva a prendersele dopo.
Possiamo discutere, persino litigare per ore: i due partiti non si incontreranno mai. Contemplo con affetto le persone che riescono ad amare contemporaneamente cane e gatto: sono un universo raro. Io spero un giorno di raggiungerle e di avere ancora, oltre a un adorabile cagnolone, un fiero gatto.
Ho anche già i nomi pronti. Tigre, se deciderà la mia parte di sangue materno, Nocciolo se vince quello paterno.
Buona giornata, mici del mondo.
Ci sono due schieramenti, e raramente si trova un mondo bipartisan: pro cane e pro gatto. Io, essendo un'insicura, lo ammetto, preferisco il cane, più accondiscendente verso l'uomo. Ma nutro una sana ammirazione per i gatti. In montagna ho conosciuti quelli selvatici, all'inizio adorabili e poi sdegnati cronici; forse mi hanno aiutata loro ad apprezzare e temere nello stesso tempo la loro indipendenza.
Una volta, la contadina aveva due gattini malati, neri e bianchi. Siccome aveva poco tempo per curarsene e uno se ne stava andando, li portai su con me. Ma era tardi e il più tremolante morì ugualmente: l'avevo chiamato Nuvola e piansi molto, anche se non era il mio micetto. Continuai ad andare a trovare il fratellino, che adorava soprattutto le sottilette Tigre (non è cannibalismo, dai) che gli portavo di nascosto da papà. Un gatto però non si può comprare: una volta cresciuto, mi dava solenni artigliate e le sottilette, veniva a prendersele dopo.
Possiamo discutere, persino litigare per ore: i due partiti non si incontreranno mai. Contemplo con affetto le persone che riescono ad amare contemporaneamente cane e gatto: sono un universo raro. Io spero un giorno di raggiungerle e di avere ancora, oltre a un adorabile cagnolone, un fiero gatto.
Ho anche già i nomi pronti. Tigre, se deciderà la mia parte di sangue materno, Nocciolo se vince quello paterno.
Buona giornata, mici del mondo.
giovedì 16 febbraio 2012
Il colore delle lire
Non mi sono mai emozionata per i soldi, in vita mia, accidenti. Be', se vincessi quel dannato superenalotto (se mi decidessi anche a giocare), immagino mi commuoverei un pochino. Anche perché tutti noi abbiamo progetti e a me ne scorrono un paio nelle vene.
Ma, lo confessavo agli amici di Facebook, ieri sera ho avvertito bizzarre palpitazioni, scorgendo una scena di un film dove spuntavano banconote. Lire, wow... da quanto non le vedevo. Non le ho mai trovate nelle vecchie tasche, come qualcuno rivela che sia accaduto.
Dimenticate, se non nell'immaginario aritmetico quando sto spendendo troppo, e mi viene spontaneo ricordarmelo compiendo la fatidica operazione euro/lire.
Saranno questi tempi controversi e poco esaltanti, in cui ogni emozione di avere la stessa moneta in gran parte delle nazioni europee è svanita. Viva le sterline, meglio se scozzesi, mi dico, con il broncio verso i conti.
Tuttavia, ciò che mi è rimasto negli occhi, nulla a che fare con gelide cifre e rapporti di equilibrio. Lo sguardo si è appiccicato un attimo alle banconote da cinquantamila lire: che bei colori avevano! E il fatidico mille, che un tempo riempiva giornate, anzi un mese, per dirla con la canzone? Il cipiglio di Verdi?
Via via, possibile che non abbia una banconota da alcuna parte? Non tornerete mai, vero? Ed è meglio così, dicono. Però il vostro colore aveva il sapore dell'autunno, quello vivace e tormentato.
Ma, lo confessavo agli amici di Facebook, ieri sera ho avvertito bizzarre palpitazioni, scorgendo una scena di un film dove spuntavano banconote. Lire, wow... da quanto non le vedevo. Non le ho mai trovate nelle vecchie tasche, come qualcuno rivela che sia accaduto.
Dimenticate, se non nell'immaginario aritmetico quando sto spendendo troppo, e mi viene spontaneo ricordarmelo compiendo la fatidica operazione euro/lire.
Saranno questi tempi controversi e poco esaltanti, in cui ogni emozione di avere la stessa moneta in gran parte delle nazioni europee è svanita. Viva le sterline, meglio se scozzesi, mi dico, con il broncio verso i conti.
Tuttavia, ciò che mi è rimasto negli occhi, nulla a che fare con gelide cifre e rapporti di equilibrio. Lo sguardo si è appiccicato un attimo alle banconote da cinquantamila lire: che bei colori avevano! E il fatidico mille, che un tempo riempiva giornate, anzi un mese, per dirla con la canzone? Il cipiglio di Verdi?
Via via, possibile che non abbia una banconota da alcuna parte? Non tornerete mai, vero? Ed è meglio così, dicono. Però il vostro colore aveva il sapore dell'autunno, quello vivace e tormentato.
mercoledì 15 febbraio 2012
Sanremo, purché se ne parli
Non ho avuto modo di guardare la prima serata di Sanremo, non so se avrò la volontà o la possibilità di seguirne le altre. Non per snobismo, quest'anno mi sarebbe piaciuto anche andare almeno una sera: vorrei provare l'esperienza dal vivo, ma sarà per un'altra volta.
Con il festival ho sempre avuto un rapporto conflittuale, anche perché sono una rockettara. Inutile nasconderlo, ho sempre tifato per gli sfigati rumorosi, anche se poi magari qualcuno è diventato importante: difatti, in seguito non mi è piaciuto più.
Ho avuto pochi brividi negli anni, uno fortissimo negli anni Ottanta, quando i Kiss (ancora loro, che devo fare) annunciarono il loro arrivo in pompa magna. Poi (pare per amore) non ci misero piede, in Italia, e ci fu un improbabile e un po' inguardabile collegamento americano.
Ma tutti ne parleremo in questi giorni, che ci piaccia o no, che lo guardiamo o no. Niente di male, anzi forse una relativa certezza in questi tempi miseri.
Sento dire che sarà Twitter a salvare il festival. Io penso che saremo noi, volenti o nolenti, così richiamati dalle tradizioni anche quando ostentiamo freddezza. Poi, finché c'è Gianni...
Con il festival ho sempre avuto un rapporto conflittuale, anche perché sono una rockettara. Inutile nasconderlo, ho sempre tifato per gli sfigati rumorosi, anche se poi magari qualcuno è diventato importante: difatti, in seguito non mi è piaciuto più.
Ho avuto pochi brividi negli anni, uno fortissimo negli anni Ottanta, quando i Kiss (ancora loro, che devo fare) annunciarono il loro arrivo in pompa magna. Poi (pare per amore) non ci misero piede, in Italia, e ci fu un improbabile e un po' inguardabile collegamento americano.
Ma tutti ne parleremo in questi giorni, che ci piaccia o no, che lo guardiamo o no. Niente di male, anzi forse una relativa certezza in questi tempi miseri.
Sento dire che sarà Twitter a salvare il festival. Io penso che saremo noi, volenti o nolenti, così richiamati dalle tradizioni anche quando ostentiamo freddezza. Poi, finché c'è Gianni...
lunedì 13 febbraio 2012
L'amore in ritardo
Alla soglia dei vent'anni (moltiplicati per due) ho maturato questa convinzione.
Amare è constatare che tu sia sempre in ritardo, persino molto più di me che vivo senza orologio e non conosco bene il fenomeno tempo. Aver imparato a calcolare dalla tua voce, da un particolare, che se annunci un orario sarà inesorabilmente quindici, venti, trenta minuti in più.
A volte riderci su, a volte avere la tentazione di incavolarsi. Arrivare a mettermi lo smalto per le unghie, il che richiede inequivocabilmente tempo, perché dovevo, ma anche per mostrarti senza ombra di dubbio che sei in ritardo e ho avuto persino il tempo di compiere questa mirabile impresa.
E al tuo squillo, essere pronta a sfoggiare le mie unghie scintillanti oppure a obbligarti a telefonare tu al ristorante dove dobbiamo andare per annunciare il ritardo, o a riscaldare il caffè. o altro ancora. Ma basta che arrivi e mi offri quel sorriso un po' colpevole, anche se non lo ammetterai mai (Fonzie ti fa un baffo); basta che metti insieme quell'aria buffa e consapevole, basta che i tuoi occhi brillino come solo loro sanno fare, e mi dimentico tutto.
Andiamo. Acci, quest'unghia non era totalmente asciugata, però.
Buon San Valentino
Amare è constatare che tu sia sempre in ritardo, persino molto più di me che vivo senza orologio e non conosco bene il fenomeno tempo. Aver imparato a calcolare dalla tua voce, da un particolare, che se annunci un orario sarà inesorabilmente quindici, venti, trenta minuti in più.
A volte riderci su, a volte avere la tentazione di incavolarsi. Arrivare a mettermi lo smalto per le unghie, il che richiede inequivocabilmente tempo, perché dovevo, ma anche per mostrarti senza ombra di dubbio che sei in ritardo e ho avuto persino il tempo di compiere questa mirabile impresa.
E al tuo squillo, essere pronta a sfoggiare le mie unghie scintillanti oppure a obbligarti a telefonare tu al ristorante dove dobbiamo andare per annunciare il ritardo, o a riscaldare il caffè. o altro ancora. Ma basta che arrivi e mi offri quel sorriso un po' colpevole, anche se non lo ammetterai mai (Fonzie ti fa un baffo); basta che metti insieme quell'aria buffa e consapevole, basta che i tuoi occhi brillino come solo loro sanno fare, e mi dimentico tutto.
Andiamo. Acci, quest'unghia non era totalmente asciugata, però.
Buon San Valentino
Una faccia una razza
Ondeggio tra i media ufficiali e twitter. Non so più cosa pensare delle fiamme in Grecia e mi ricordo dello sguardo affranto di mio padre quando bruciava un altro Paese, un tempo dorato: il Libano.
Lui rivedeva dentro di sé i tempi trascorsi lì e non riusciva a capacitarsi di quelle immagini devastanti di guerra. In Grecia non c'è la guerra, ma forse bisogna trovarsi d'accordo sulla definizione di quest'ultimo termine.
Io mi sento affranta per il popolo greco, dipinto troppo spesso come un insieme di cicale. Non è così, e mi spiace la mancanza di rispetto per un popolo al quale dobbiamo tanto. Al quale tanto dovremmo, se non avessimo la memoria irrimediabilmente corta.
Oh sì, è in atto una guerra, e disperatamente globale. Si tratta solo di contare le vittime, una dopo l'altra.
Oggi gli smemorati guardano la Grecia, forse più preoccupati per le loro vacanze. Quante vacanze sì, tra gli amici. Ricordo una signora, che sapeva poche parole di italiano, ma amava ripetermi: una faccia, una razza. E ridevamo, di una felicità complice.
Una faccia, una razza. Ricordo di un'estate folle da sedicenne, quando fui ospitata per un weekend in una casa di sconosciuti. Sì, nel senso che non ci conoscevamo affatto, ma loro erano legati alla mia amica, la mia sorellina greca. E quindi le porte si spalancarono per me: mi diedero il loro letto, i capifamiglia, e loro andarono a dormire in cantina. Non avevo niente da portare, ero agli ultimi giorni di vacanza e mi sentivo affranta. La mamma degli amici - dei nostri amici, ormai - mi riempì di doni per tornare in Italia. Come se la mia presenza fosse un regalo in sé.
Cicale, no? Un popolo che ha diritto di scegliere, nonostante i banchieri e i fantasmi del passato che cambiano armi.
Una faccia, una razza. Se stiamo zitti, è vero, toccherà anche a noi. Ma intanto è già toccato a nostro fratello ed è già abbastanza doloroso.
Lui rivedeva dentro di sé i tempi trascorsi lì e non riusciva a capacitarsi di quelle immagini devastanti di guerra. In Grecia non c'è la guerra, ma forse bisogna trovarsi d'accordo sulla definizione di quest'ultimo termine.
Io mi sento affranta per il popolo greco, dipinto troppo spesso come un insieme di cicale. Non è così, e mi spiace la mancanza di rispetto per un popolo al quale dobbiamo tanto. Al quale tanto dovremmo, se non avessimo la memoria irrimediabilmente corta.
Oh sì, è in atto una guerra, e disperatamente globale. Si tratta solo di contare le vittime, una dopo l'altra.
Oggi gli smemorati guardano la Grecia, forse più preoccupati per le loro vacanze. Quante vacanze sì, tra gli amici. Ricordo una signora, che sapeva poche parole di italiano, ma amava ripetermi: una faccia, una razza. E ridevamo, di una felicità complice.
Una faccia, una razza. Ricordo di un'estate folle da sedicenne, quando fui ospitata per un weekend in una casa di sconosciuti. Sì, nel senso che non ci conoscevamo affatto, ma loro erano legati alla mia amica, la mia sorellina greca. E quindi le porte si spalancarono per me: mi diedero il loro letto, i capifamiglia, e loro andarono a dormire in cantina. Non avevo niente da portare, ero agli ultimi giorni di vacanza e mi sentivo affranta. La mamma degli amici - dei nostri amici, ormai - mi riempì di doni per tornare in Italia. Come se la mia presenza fosse un regalo in sé.
Cicale, no? Un popolo che ha diritto di scegliere, nonostante i banchieri e i fantasmi del passato che cambiano armi.
Una faccia, una razza. Se stiamo zitti, è vero, toccherà anche a noi. Ma intanto è già toccato a nostro fratello ed è già abbastanza doloroso.
domenica 12 febbraio 2012
Our beautiful child
Ciao, bellissima bambina. Rubo le parole di Truman Capote, gridate nella disperazione del vento, alle fuggevoli occhiate finali rivolte a Marilyn Monroe.
Ieri sera ho visto un lampo di video dei Doors, era "Hello I love you" e ho colto un sorriso, raro, di Jim Morrison. Le vite, le disperazioni, i talenti si rincorrono in maniera così differente, ma quella luce improvvisa poteva sembrare un presagio.
Una voce come la tua, Whitney, era un grande dono, per tutti noi: lo resterà. E tu, i tuoi sorrisi li hai regalati a tutti, chissà se anche a te stessa. Non leggerò una riga in più su cosa sia accaduto e non voglio neanche ascoltare il vacuo dissertare, le solite storie del destino segnato.
Te ne sei andata, perché gli angeli sanno dove e quando cantare. Se n'è andata un'altra bellissima bambina, che sapeva offrire gioia con la sua voce: "la luce andava scemando. lei sembrava dissolversi con essa, fondersi col cielo e le nubi, svanire al di là dell'orizzonte" (Capote, Una bellissima bambina).
Il vento le gonfiava i capelli e stava già preparando l'orchestra.
Ieri sera ho visto un lampo di video dei Doors, era "Hello I love you" e ho colto un sorriso, raro, di Jim Morrison. Le vite, le disperazioni, i talenti si rincorrono in maniera così differente, ma quella luce improvvisa poteva sembrare un presagio.
Una voce come la tua, Whitney, era un grande dono, per tutti noi: lo resterà. E tu, i tuoi sorrisi li hai regalati a tutti, chissà se anche a te stessa. Non leggerò una riga in più su cosa sia accaduto e non voglio neanche ascoltare il vacuo dissertare, le solite storie del destino segnato.
Te ne sei andata, perché gli angeli sanno dove e quando cantare. Se n'è andata un'altra bellissima bambina, che sapeva offrire gioia con la sua voce: "la luce andava scemando. lei sembrava dissolversi con essa, fondersi col cielo e le nubi, svanire al di là dell'orizzonte" (Capote, Una bellissima bambina).
Il vento le gonfiava i capelli e stava già preparando l'orchestra.
sabato 11 febbraio 2012
Forgive me, Fred: you are the best
Dio benedica Rai Storia e, in seconda battuta, youtube su cui mi ha sospinta la prima. Perché mi sono imbattuta nel re delle sceneggiature musicali e me n'ero dimenticata.
Sto parlando di Fred Buscaglione, of course. "Noi duri" sappiamo come ostentare la nostra maschera da guerriero verso il mondo, ma anche essere teneri, guardare la luna, commuoverci e poi incazzarci sull'evoluzione del nostro amore (Eri piccola...).
Ma la regina delle sceneggiature è "Teresa, non sparare". Cavoli, c'è davvero tutto un film in quei pochi minuti di musica rampante, scanzonata e deliziosamente cronachistica. Sì. una via di mezzo tra il servizio giornalistico e il film noir dal tocco maccheronico. Perché il fedifrago deve implorare, ingannare, scherzare fino alla constatazine finale, per nulla amichevole: Teresa, mi hai sparato.
Certo, che il tocco italiano è evidente. Da Jimi Hendrix a Steven Tyler, da Hey Joe a Hangman Jury, il maschio sofferente più spesso prende ed elimina senza esitazioni la donna traditrice nel mondo canoro anglosassone. Non importa se poi fugga o venga catturato.
Fred è più un cavaliere, si intende. Soccombe e non se ne vergogna. Il maschio fa il furbetto, la donna colpisce. Lui non fa il supermacho, ma si limita all'arma più diffusa: parlare, immaginare, difendersi con buffe elucubrazioni.
Finisce male, finisce quasi sempre male. Ma siamo ancora qui a cantare con un grande Buscaglione: Teresa, non sparare. Senza perdere il sorriso. La classe non è acqua, tanto più se minerale.
Sto parlando di Fred Buscaglione, of course. "Noi duri" sappiamo come ostentare la nostra maschera da guerriero verso il mondo, ma anche essere teneri, guardare la luna, commuoverci e poi incazzarci sull'evoluzione del nostro amore (Eri piccola...).
Ma la regina delle sceneggiature è "Teresa, non sparare". Cavoli, c'è davvero tutto un film in quei pochi minuti di musica rampante, scanzonata e deliziosamente cronachistica. Sì. una via di mezzo tra il servizio giornalistico e il film noir dal tocco maccheronico. Perché il fedifrago deve implorare, ingannare, scherzare fino alla constatazine finale, per nulla amichevole: Teresa, mi hai sparato.
Certo, che il tocco italiano è evidente. Da Jimi Hendrix a Steven Tyler, da Hey Joe a Hangman Jury, il maschio sofferente più spesso prende ed elimina senza esitazioni la donna traditrice nel mondo canoro anglosassone. Non importa se poi fugga o venga catturato.
Fred è più un cavaliere, si intende. Soccombe e non se ne vergogna. Il maschio fa il furbetto, la donna colpisce. Lui non fa il supermacho, ma si limita all'arma più diffusa: parlare, immaginare, difendersi con buffe elucubrazioni.
Finisce male, finisce quasi sempre male. Ma siamo ancora qui a cantare con un grande Buscaglione: Teresa, non sparare. Senza perdere il sorriso. La classe non è acqua, tanto più se minerale.
venerdì 10 febbraio 2012
I pensieri del mio camino
Mi manca il mio cammino, mi mancano le fiamme sincere che puoi contemplare. E se le contempli con un bicchiere di vino, è pura meditazione.
Mi mancano talmente che ieri sera stavo appiccicata con gli occhi e la mente al cammino del locale, e studiavamo la ragazza che con maestria - coltivata da 14 anni, assicurava - disponeva i legni.
Il ghiaccio prima o poi si scioglierà, e potrò tornare dal mio camino. Papà lo domava come solo lui sapeva fare, e lo curava come un bambino quando si spegneva; io sono un'adorabile pasticciona, ma non mollo, anche quando fa i capricci. Mi sono autonominata la regina del camino, e guai a chi me lo tocca. Va bene, un aiutino... ma fermo lì.
Lo adoro anche se una notte il ghiro mi tirò un brutto scherzo e ci fece vedere i sorci verdi, fino all'intervento provvidenziale che pur qualcuno mi rinfaccia ancora.
Lo amo, perché da quelle fiamme escono pensieri genuini, mormorii simili a chiacchiericci dai legni che si vanno a immolare, la pioggia che si affaccia e bisogna mandarla al suo posto: tutto attorno tace per restare ad ascoltare.
Mi mancano talmente che ieri sera stavo appiccicata con gli occhi e la mente al cammino del locale, e studiavamo la ragazza che con maestria - coltivata da 14 anni, assicurava - disponeva i legni.
Il ghiaccio prima o poi si scioglierà, e potrò tornare dal mio camino. Papà lo domava come solo lui sapeva fare, e lo curava come un bambino quando si spegneva; io sono un'adorabile pasticciona, ma non mollo, anche quando fa i capricci. Mi sono autonominata la regina del camino, e guai a chi me lo tocca. Va bene, un aiutino... ma fermo lì.
Lo adoro anche se una notte il ghiro mi tirò un brutto scherzo e ci fece vedere i sorci verdi, fino all'intervento provvidenziale che pur qualcuno mi rinfaccia ancora.
Lo amo, perché da quelle fiamme escono pensieri genuini, mormorii simili a chiacchiericci dai legni che si vanno a immolare, la pioggia che si affaccia e bisogna mandarla al suo posto: tutto attorno tace per restare ad ascoltare.
giovedì 9 febbraio 2012
Marsiglia e il vero profumo
Non esiste nulla di più irresistibile dei porti. Me lo ripeto, mentre mi allontano e li contemplo dal mare. Posso anche isolarmi al Castello di If, e scrutare da oltre le sbarre la giustizia frantumata. Posso camminare sulle orme di Dumas e Montecristo. E presto, come il Conte, devo uscire all'aria aperta, mentre il mare danza.
Marsiglia, sullo sfondo. Come mi piacciono i porti, che non conoscono mistificazioni. Nel cuore, Portree e i suoi voraci gabbiani. E altri minuscoli sparsi per il mondo.
Ma lei, Marsiglia, è enorme e battagliera. Tentacolare di giorno e di notte. La osservo mentre la puliscono continuamente e invano. Quell'odore di porto non evapora: è questo, per me, il vero profumo di Marsiglia.
Ho respirato di tutto, a Marsiglia, prima di tutto la realtà. Ho lottato febbrile con l'orologio e la zuppa di pesce, perché un cameriere ciarliero mi stava facendo perdere l'ultimo metrò. E difatti la dovetti percorrere a piedi, al buio, indossando un'espressione da guerriero per scoraggiare approcci che già di giorno avevamo dribblato in qualche modo.
Ho attraversato per sbaglio il quartiere islamico, per raggiungere la cattedrale, che era stata ficcata in mezzo a un'autostrada o simile arteria, e quel giorno era pure chiusa. Sguardi perplessi mi inseguivano, di ogni età.
Ho assistito a un tentativo di linciaggio, con vago stupore, non vergato da paura. Alla fermata del bus, un ragazzo aveva scippato una donna algerina, ma si era dovuto rifugiare su un pullman alla reazione dei passanti. Lo vedevo oltre i vetri implorare l'autista di chiamare la polizia e mi meravigliava che in quel fermento di folla in rivolta l'aria fosse immobile.
Ho trovato un mare sincero, che lambiva spiagge immacolate e poi si infilava una sigaretta tra le labbra e tornava al porto, con aria da furfante.
Dio mio, come amo i porti. Sicuri o no, sono una certezza.
Marsiglia, sullo sfondo. Come mi piacciono i porti, che non conoscono mistificazioni. Nel cuore, Portree e i suoi voraci gabbiani. E altri minuscoli sparsi per il mondo.
Ma lei, Marsiglia, è enorme e battagliera. Tentacolare di giorno e di notte. La osservo mentre la puliscono continuamente e invano. Quell'odore di porto non evapora: è questo, per me, il vero profumo di Marsiglia.
Ho respirato di tutto, a Marsiglia, prima di tutto la realtà. Ho lottato febbrile con l'orologio e la zuppa di pesce, perché un cameriere ciarliero mi stava facendo perdere l'ultimo metrò. E difatti la dovetti percorrere a piedi, al buio, indossando un'espressione da guerriero per scoraggiare approcci che già di giorno avevamo dribblato in qualche modo.
Ho attraversato per sbaglio il quartiere islamico, per raggiungere la cattedrale, che era stata ficcata in mezzo a un'autostrada o simile arteria, e quel giorno era pure chiusa. Sguardi perplessi mi inseguivano, di ogni età.
Ho assistito a un tentativo di linciaggio, con vago stupore, non vergato da paura. Alla fermata del bus, un ragazzo aveva scippato una donna algerina, ma si era dovuto rifugiare su un pullman alla reazione dei passanti. Lo vedevo oltre i vetri implorare l'autista di chiamare la polizia e mi meravigliava che in quel fermento di folla in rivolta l'aria fosse immobile.
Ho trovato un mare sincero, che lambiva spiagge immacolate e poi si infilava una sigaretta tra le labbra e tornava al porto, con aria da furfante.
Dio mio, come amo i porti. Sicuri o no, sono una certezza.
mercoledì 8 febbraio 2012
La casa e i compleanni
Sfoglio il mio "compleannometro", ma oggi non c'era bisogno e vi spiego presto perché.
L'8 febbraio compie (51 anni) un ragazzaccio di nome Vince Neil, ma spesso sono i ragazzacci del rock a tirar fuori le ballate più belle. Difatti, nella mente si innesta il ritmo di "Home sweet home".
Il potere della casa mi afferra. La casa dove stiamo, dove siamo stati, dove andremo. Forse è vero che ne esiste una vera soltanto, che ci attende e dove già si sono incontrati sorrisi speciali: oggi penso a quello della mamma di una contessa, che della figlia può andare fiera.
Io sogno spesso le case. Quelle della mia infanzia, dei miei nonni, o altre che ho incrociato, altre che incontrerò o che non vedrò mai. Abbandono i Motley Crue, e ripenso a quella frase dolcissima che mormora Beth nella canzone al marito, Peter Criss dei Kiss: our house just ain't no home.
Vorrei che anche in italiano ci fossero due parole capaci di esprimere la differenza tra l'edificio e il luogo dell'anima. Eppure forse il potere della nostra unica espressione è quella di racchiudere.
Oggi grido auguri a un ragazzaccio che magari metterà la testa a posto, magari no. E lo sussurro dolcemente a chi celebra un compleanno diverso, verso il quale siamo ancora combattuti, perché l'amore è così, ti trattiene e poi ti slancia: un compleanno in cielo.
"A volte non riesco a stare nelle mie cuciture". Il cuore non tace, anzi batte più forte e corre verso una "Home sweet home". Forse sarà così. Comunque sarà una casa piena di luce.
L'8 febbraio compie (51 anni) un ragazzaccio di nome Vince Neil, ma spesso sono i ragazzacci del rock a tirar fuori le ballate più belle. Difatti, nella mente si innesta il ritmo di "Home sweet home".
Il potere della casa mi afferra. La casa dove stiamo, dove siamo stati, dove andremo. Forse è vero che ne esiste una vera soltanto, che ci attende e dove già si sono incontrati sorrisi speciali: oggi penso a quello della mamma di una contessa, che della figlia può andare fiera.
Io sogno spesso le case. Quelle della mia infanzia, dei miei nonni, o altre che ho incrociato, altre che incontrerò o che non vedrò mai. Abbandono i Motley Crue, e ripenso a quella frase dolcissima che mormora Beth nella canzone al marito, Peter Criss dei Kiss: our house just ain't no home.
Vorrei che anche in italiano ci fossero due parole capaci di esprimere la differenza tra l'edificio e il luogo dell'anima. Eppure forse il potere della nostra unica espressione è quella di racchiudere.
Oggi grido auguri a un ragazzaccio che magari metterà la testa a posto, magari no. E lo sussurro dolcemente a chi celebra un compleanno diverso, verso il quale siamo ancora combattuti, perché l'amore è così, ti trattiene e poi ti slancia: un compleanno in cielo.
"A volte non riesco a stare nelle mie cuciture". Il cuore non tace, anzi batte più forte e corre verso una "Home sweet home". Forse sarà così. Comunque sarà una casa piena di luce.
martedì 7 febbraio 2012
Jimi e le sceneggiature perfette (auguri, amico)
Sapete quando vi risvegliate con un motivo nella testa, e ci sarà pure una ragione. Non è solo che ieri me la sono sentita e meditata più volte: altre canzoni si alternavano.
E' che "Hey Joe" di Jimi Hendrix mi ha fatto pensare a una sceneggiatura perfetta. L'onda perfetta è quella che cercano i surfer (della vita), io che sono una esploratrice mai sazia delle parole, consapevolmente o meno, adoro le sceneggiature perfette, che le canzoni sanno dare al meglio. Hey Joe può sembrare truculenta, ma a me piace proprio il dialogo che si innesta sul (o dal) ritmo: un incontro casuale, una passeggiata che si interrompe e che riprende, un tono disincantato quasi parlasse del tempo o di una birra da bere poi insieme, non il gesto tremendo e la fuga che sta mettendo a punto Joe e che con naturalezza disarmante viene accettato.
Lo stesso respiro che colgo in "Ancora tu" di Battisti, altra sceneggiatura perfetta. Dovrebbe essere un incontro ostile, un reincrociarsi per cui maledirsi subito, invece il sorriso si insinua. Una sceneggiatura perfetta per me è anche "Dimmi di no": mi perdonerà il mio destinatario se gli cito il mio compagno di efelidi Tozzi, ma rievoca anche Bigazzi. Un dialogo perfetto, in cui si insinua anche un terzo incomodo, subito redarguito "Tu stai zitto non suggerire...".
Sì, oggi penso alle sceneggiature perfette. Non costruite, non senza graffi e deviazioni dal tema principale, perché principale è una parola che varia per ciascuno di noi. Non da applauso, ma da meditarle (con un sorriso, dai).
Allora, riascoltando queste canzoni incalzanti, rivolgo gli auguri di uno splendido compleanno e di una splendida sceneggiatura a Renato. Una sceneggiatura, come piace a lui, sincera e in cerca di incontri, lontano dai formalismi. Magari con una pennellata di Coelho.
E' che "Hey Joe" di Jimi Hendrix mi ha fatto pensare a una sceneggiatura perfetta. L'onda perfetta è quella che cercano i surfer (della vita), io che sono una esploratrice mai sazia delle parole, consapevolmente o meno, adoro le sceneggiature perfette, che le canzoni sanno dare al meglio. Hey Joe può sembrare truculenta, ma a me piace proprio il dialogo che si innesta sul (o dal) ritmo: un incontro casuale, una passeggiata che si interrompe e che riprende, un tono disincantato quasi parlasse del tempo o di una birra da bere poi insieme, non il gesto tremendo e la fuga che sta mettendo a punto Joe e che con naturalezza disarmante viene accettato.
Lo stesso respiro che colgo in "Ancora tu" di Battisti, altra sceneggiatura perfetta. Dovrebbe essere un incontro ostile, un reincrociarsi per cui maledirsi subito, invece il sorriso si insinua. Una sceneggiatura perfetta per me è anche "Dimmi di no": mi perdonerà il mio destinatario se gli cito il mio compagno di efelidi Tozzi, ma rievoca anche Bigazzi. Un dialogo perfetto, in cui si insinua anche un terzo incomodo, subito redarguito "Tu stai zitto non suggerire...".
Sì, oggi penso alle sceneggiature perfette. Non costruite, non senza graffi e deviazioni dal tema principale, perché principale è una parola che varia per ciascuno di noi. Non da applauso, ma da meditarle (con un sorriso, dai).
Allora, riascoltando queste canzoni incalzanti, rivolgo gli auguri di uno splendido compleanno e di una splendida sceneggiatura a Renato. Una sceneggiatura, come piace a lui, sincera e in cerca di incontri, lontano dai formalismi. Magari con una pennellata di Coelho.
lunedì 6 febbraio 2012
La senzatetto che era viva
Si scannano, a Roma, sulla neve. E il bollettino del gelo prosegue a raffica anche a lì. Mi fermo su un dramma: quello di un'anziana (chi dice 76, chi dice 78 anni) senzatetto morta alla stazione.
Si scannano, e il gelo uccide, a maggior ragione i più deboli. Che quell'anziana sia morta è una tragedia. L'altra, precedente e snobbata, era che una donna, di quell'età, vivesse alla stazione. Una donna di oltre 70 anni: potrebbe essere la nostra mamma, la nostra nonna. Viveva lì e nessuno ha pensato, nessuno ha potuto, nessano ha voluto trovarle un'altra sistemazione, freddo a parte.
Anche quest'anno la pietà è stata la prima vittima del gelo, mentre le istituzioni litigavano. Ma era già stata ferita pesantemente dalla nostra indifferenza. Roma è soltanto la capitale di un mondo chiuso e ostinato, dove per fortuna ci sono degli angeli che cercano di lenire le sofferenze.
E io continuo a pensare a quella mamma, a quella nonna, a quella signora che con la sua povertà e dignità cercava di sopravvivere sotto il tetto di una stazione. Finché ha potuto.
Si scannano, e il gelo uccide, a maggior ragione i più deboli. Che quell'anziana sia morta è una tragedia. L'altra, precedente e snobbata, era che una donna, di quell'età, vivesse alla stazione. Una donna di oltre 70 anni: potrebbe essere la nostra mamma, la nostra nonna. Viveva lì e nessuno ha pensato, nessuno ha potuto, nessano ha voluto trovarle un'altra sistemazione, freddo a parte.
Anche quest'anno la pietà è stata la prima vittima del gelo, mentre le istituzioni litigavano. Ma era già stata ferita pesantemente dalla nostra indifferenza. Roma è soltanto la capitale di un mondo chiuso e ostinato, dove per fortuna ci sono degli angeli che cercano di lenire le sofferenze.
E io continuo a pensare a quella mamma, a quella nonna, a quella signora che con la sua povertà e dignità cercava di sopravvivere sotto il tetto di una stazione. Finché ha potuto.
domenica 5 febbraio 2012
Mi piace smontare (non me ne devo vergognare)
Una delle manovre che adoro è smontare. Qualsiasi cosa. L'obiettivo principale è aggiustare o rimontare, ma non è obbligatorio.
In fondo, è piacevole anche così: smontare (per giusta causa) e osservare tutte le parti, studiandone la natura. Una tentazione che coltivo fin da piccola, tant'è che meditavo di intraprendere il mestiere di meccanico. Mi sono arenata presto, grazie a Dio, per il bene delle macchine. Però che sballo sarebbe stato, mi dico.
Quando ho un cacciavite in mano, potrei smontare il mondo. Fermi, dove scappate. Sono pacifica, io. Ma che meraviglia tutti quei calibri - si dirà così, o sto acquisendo una natura violenta e mi confondo? - tra cui scegliere. Mi illumino che il sole impallidisce, in confronto. Come ammettevo, non è garanzia di ricostruzione corretta. Ma ci provo, sempre. E fossi così brava su fronti meno "fisici", che differente esistenza condurrei!
Ma sono felice così, mi piace smontare (non me ne devo vergognare, devio la strofa di una nota canzone). Persino nell'inconscio. Una notte, nel culmine di un sogno, devo aver afferrato la sveglia sul comodino e me la sono stretta al cuore. La mattina, la poveretta ha compiuto il proprio dovere e si è messa a strillare; con tanto choc che l'ho scagliata a terra. L'ho rimontata tutta, amorevolmente. Non suonava più, ma era l'unico particolare stonato.
Vorrei saper smontare meglio, prima. In un altro senso. Dai carichi eccessivi, dalle responsabilità non dovute, dal tempo sottratto senza alcuna ragione. Vado a prendere il cacciavite, ho trovato la missione possibile per le prossime settimane.
Buono smontaggio a tutti.
In fondo, è piacevole anche così: smontare (per giusta causa) e osservare tutte le parti, studiandone la natura. Una tentazione che coltivo fin da piccola, tant'è che meditavo di intraprendere il mestiere di meccanico. Mi sono arenata presto, grazie a Dio, per il bene delle macchine. Però che sballo sarebbe stato, mi dico.
Quando ho un cacciavite in mano, potrei smontare il mondo. Fermi, dove scappate. Sono pacifica, io. Ma che meraviglia tutti quei calibri - si dirà così, o sto acquisendo una natura violenta e mi confondo? - tra cui scegliere. Mi illumino che il sole impallidisce, in confronto. Come ammettevo, non è garanzia di ricostruzione corretta. Ma ci provo, sempre. E fossi così brava su fronti meno "fisici", che differente esistenza condurrei!
Ma sono felice così, mi piace smontare (non me ne devo vergognare, devio la strofa di una nota canzone). Persino nell'inconscio. Una notte, nel culmine di un sogno, devo aver afferrato la sveglia sul comodino e me la sono stretta al cuore. La mattina, la poveretta ha compiuto il proprio dovere e si è messa a strillare; con tanto choc che l'ho scagliata a terra. L'ho rimontata tutta, amorevolmente. Non suonava più, ma era l'unico particolare stonato.
Vorrei saper smontare meglio, prima. In un altro senso. Dai carichi eccessivi, dalle responsabilità non dovute, dal tempo sottratto senza alcuna ragione. Vado a prendere il cacciavite, ho trovato la missione possibile per le prossime settimane.
Buono smontaggio a tutti.
sabato 4 febbraio 2012
Il nodo scorsoio della laurea
Ho ripreso in mano l'uncinetto e chi fa ironia, salta un turno, anzi un punto. Maglia bassissima, sciolgo tutto per ricominciare da capo. Perché io valgo.
Sarà che sono nervosa, sarà che mi innervosiscono, sarà che ho le dita freddine... insomma, mi incasino subito.
Calma, ragazza. Lezione di autostima. Porca miseria, ma la laurea - valore legale o meno - l'avrò presa con i sacchetti delle patatine? Come avrò imparato (poco importa se qualcosa si è disperso lungo la via, non è il momento di essere fiscali) tre simpatiche lingue al liceo? E via con l'elenco delle mie mirabili imprese.
Ma c'è poco da fare, è solo quando tu mi sorridi, che il nodo scorsoio arriva. Più o meno perfetto, ma chi se ne frega. Il nodo perfetto, e morbidissimo, sei tu.
Sotto con la maglia bassissima, in sintonia con le temperature. Vuoi un bel maglioncino?
Sarà che sono nervosa, sarà che mi innervosiscono, sarà che ho le dita freddine... insomma, mi incasino subito.
Calma, ragazza. Lezione di autostima. Porca miseria, ma la laurea - valore legale o meno - l'avrò presa con i sacchetti delle patatine? Come avrò imparato (poco importa se qualcosa si è disperso lungo la via, non è il momento di essere fiscali) tre simpatiche lingue al liceo? E via con l'elenco delle mie mirabili imprese.
Ma c'è poco da fare, è solo quando tu mi sorridi, che il nodo scorsoio arriva. Più o meno perfetto, ma chi se ne frega. Il nodo perfetto, e morbidissimo, sei tu.
Sotto con la maglia bassissima, in sintonia con le temperature. Vuoi un bel maglioncino?
venerdì 3 febbraio 2012
Io pentitissima di "Sex and the city"
Dopo anni mi è apparso sullo schermo televisivo un doppio incontro ravvicinato con "Sex and the city". Una sera si trattava di uno spezzone di film: ben presto mi è apparso assurdo e detestabile.
Uno o due giorni dopo, era invece il telefilm. La serie insomma, e mi sono fermata un attimo perché ho pensato: questi sì erano divertenti e di guizzante ironia, altro che il film, mi ricordo.
Un tubo. Nel giro di cinque minuti ero irrimediabilmente annoiata e me ne sono andata. Non trovavo più traccia di sorriso, anzi si insinuava in me un vago senso di pena. Non mi sono sottratta all'autocritica: ma come anni fa, eravamo qui tra amici a guardare, discutere e rintracciare gli amati posti di New York. Sto proprio diventando una vecchietta? Mi sto ammalando? Sono brontolona e basta?
Forse tutte e tre le cose insieme. Forse, era un altro periodo storico e di vita. Ripasso. Erano gli anni Novanta, il loro crepuscolo per la precisione, quando comparvero questi personaggi. Carrie e le altre ci meravigliavano, erano un mondo assolutamente nuovo. Era dall'alba degli anni Novanta che non seguivo una fiction americana, dai tempi irresistibili di Twin Peaks. Due universi opposti, ma confezionati con arte.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e forse abbiamo visto tanto orrore anche sul fronte dei costumi, che "Sex and the city" oggi mi pare vecchio e stantio. Mi suscita una sana compassione, davvero, questa corsa a se stesse, a legami, a non legami. Anche se salvo un aspetto, che forse è il vero protagonista: l'amicizia, quella sì. Forse più resistente di tante della realtà. Anzi, no, salvo qualcos'altro: New York, che in barba alla sua vastità ho trovato di volta in volta più umana.
Fine delle concessioni. Non sono pentita, ma pentissima. Vado a recuperare le cassette di "Twin Peaks".
Uno o due giorni dopo, era invece il telefilm. La serie insomma, e mi sono fermata un attimo perché ho pensato: questi sì erano divertenti e di guizzante ironia, altro che il film, mi ricordo.
Un tubo. Nel giro di cinque minuti ero irrimediabilmente annoiata e me ne sono andata. Non trovavo più traccia di sorriso, anzi si insinuava in me un vago senso di pena. Non mi sono sottratta all'autocritica: ma come anni fa, eravamo qui tra amici a guardare, discutere e rintracciare gli amati posti di New York. Sto proprio diventando una vecchietta? Mi sto ammalando? Sono brontolona e basta?
Forse tutte e tre le cose insieme. Forse, era un altro periodo storico e di vita. Ripasso. Erano gli anni Novanta, il loro crepuscolo per la precisione, quando comparvero questi personaggi. Carrie e le altre ci meravigliavano, erano un mondo assolutamente nuovo. Era dall'alba degli anni Novanta che non seguivo una fiction americana, dai tempi irresistibili di Twin Peaks. Due universi opposti, ma confezionati con arte.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e forse abbiamo visto tanto orrore anche sul fronte dei costumi, che "Sex and the city" oggi mi pare vecchio e stantio. Mi suscita una sana compassione, davvero, questa corsa a se stesse, a legami, a non legami. Anche se salvo un aspetto, che forse è il vero protagonista: l'amicizia, quella sì. Forse più resistente di tante della realtà. Anzi, no, salvo qualcos'altro: New York, che in barba alla sua vastità ho trovato di volta in volta più umana.
Fine delle concessioni. Non sono pentita, ma pentissima. Vado a recuperare le cassette di "Twin Peaks".
giovedì 2 febbraio 2012
Il cinismo e il sole tra la neve
La poesia parte dal cinismo, talvolta.
Spio la fermata dell'autobus per eventuale soluzione bis, ma si accumulano gli utenti (che pessima parola) e il bus non si vede. Finché avverto un lieve bussare. Timidissimo, ma anche un po' stupito, si affaccia il sole. Sbircia il parco innevato e attira anche il mio sguardo sulle cime di due alberi immensi: due coppie di uccelli si riposano, macchie nere che spiccano il volo contro il cielo bianco, quando qualcosa turba la loro quiete. Oppure, li rimette semplicemente in viaggio.
Il sole dietro la neve. Dentro la neve. Come se volesse scendere e giocare. Non ha quell'aria agguerrita così umana di chi vorrebbe strillare: ehi, fino a pochi giorni fa comandavo io.
E' il sole e sa stare al suo posto. Un ultimo sguardo, un'ultima dolce luce sui fiocchi birichini, e si ritrae. Forse anche il cinismo.
Spio la fermata dell'autobus per eventuale soluzione bis, ma si accumulano gli utenti (che pessima parola) e il bus non si vede. Finché avverto un lieve bussare. Timidissimo, ma anche un po' stupito, si affaccia il sole. Sbircia il parco innevato e attira anche il mio sguardo sulle cime di due alberi immensi: due coppie di uccelli si riposano, macchie nere che spiccano il volo contro il cielo bianco, quando qualcosa turba la loro quiete. Oppure, li rimette semplicemente in viaggio.
Il sole dietro la neve. Dentro la neve. Come se volesse scendere e giocare. Non ha quell'aria agguerrita così umana di chi vorrebbe strillare: ehi, fino a pochi giorni fa comandavo io.
E' il sole e sa stare al suo posto. Un ultimo sguardo, un'ultima dolce luce sui fiocchi birichini, e si ritrae. Forse anche il cinismo.
mercoledì 1 febbraio 2012
Gli albatros e la natura fai da te
Finalmente qualcuno contento del cambiamento di clima, ho scoperto. I deliziosi albatros, ha decretato un biologo milanese.
Una specie che adoro, anche se mi incute un po' di timore. La ballata del vecchio marinaio di Coleridge li faceva emergere nel loro impatto di simbolo: è per averne sacrificato uno, che tutto si sbriciola. E se gli istigatori muoiono, il sicario sarà condannato a vagare per tutta la vita a raccontare la sua storia.
Gli albatros ora trovano un inaspettato aiuto dal vento, che aumenta la loro zavorra. Sono più felici. Non è che ciò mi illuda sul fatto che non stiamo realmente distruggendo il nostro pianeta. Casomai, mi induce a un omaggio alla natura, sempre e rigorosamente fai da te. Noi guastiamo, lei aggiusta. Finché può. Forse finché vuole.
E finché gli albatros o altri animali, altre piante, saranno felici, potremo concederci una speranza lieve. Come il sorriso che ci suscita la loro visione.
Una specie che adoro, anche se mi incute un po' di timore. La ballata del vecchio marinaio di Coleridge li faceva emergere nel loro impatto di simbolo: è per averne sacrificato uno, che tutto si sbriciola. E se gli istigatori muoiono, il sicario sarà condannato a vagare per tutta la vita a raccontare la sua storia.
Gli albatros ora trovano un inaspettato aiuto dal vento, che aumenta la loro zavorra. Sono più felici. Non è che ciò mi illuda sul fatto che non stiamo realmente distruggendo il nostro pianeta. Casomai, mi induce a un omaggio alla natura, sempre e rigorosamente fai da te. Noi guastiamo, lei aggiusta. Finché può. Forse finché vuole.
E finché gli albatros o altri animali, altre piante, saranno felici, potremo concederci una speranza lieve. Come il sorriso che ci suscita la loro visione.