mercoledì 30 settembre 2015

Non so se ci credi (alla notte più dura)

Non so se ci credi, alla notte più dura. Io sì perché l'ho  attraversata. Né la polvere di buio mi si è spenta sulla pelle, è solo che l'hanno confusa i tuoi baci.

E nei momenti in cui sei con me, non so se crederci nemmeno io, alla notte più dura, anche se l'ho attraversata.

Willy e la magia delle persone

Quanto abbiamo parlato di animali, eppure "Chi ha bisogno di Willy" apre a tutte le creature la propria strada.

E ci siamo dentro anche noi persone. Martedì sera alla partenza del mio libro ho guardato i volti e riflettuto. Alcuni venivano da vicino, altri da lontano: distanze che potremmo misurare nello spazio e nel tempo.

Ciascuno è stato prezioso per me.

In fondo, è questa la magia più straordinaria e ignorata: quella delle persone.

Incontri che ci cambiano, se lo vogliamo, a volte persino se ci opponiamo.
 (foto di Stefano D'Adamo)

Notte e se non puoi rendere felice

Fossi capace di essere felice. Raramente accade che io possa agire da angelo e quando accade non è merito mio.

Ciò dovrebbe rendermi triste. Che follia,  mi rende grata.

Quando non riesco a rendere felice, almeno trattengo parole stupide e cattive, che non hanno camminato nelle scarpe degli altri.

È poca cosa, i silenzi possono ferire.


Ma a me, spaventano le parole sparate senza cuore.

Notte e se non puoi rendere felice... Taci. (Il minore dei mali).

martedì 29 settembre 2015

Abituarsi, come una colla

Abituarsi a qualcosa, che colla lesta e senz'appello. Si appiccica sulle mani, intrappola la pelle e il respiro.

Ciò che era poesia, poesia pura, si smagnetizza d'anima. Una pagina di storia, diventa una lista della spesa. Lo spettacolo della natura, un solletico allo sbadiglio.

Quando senti la colla dell'abitudine, non basta scrollarla via. Può essere troppo tardi e servono gesti drastici, strapparla anche a costo di ferirsi.

A cosa è servito un articolo

Volevo scacciarti, cimice, e spingerti verso la libertà. Invece, ti ho schiacciata al tuo destino. E con che cosa, con un vecchio giornale.

Poi guardo e c'è un mio articolo. E penso: a cosa è servito, a uccidere un insetto. Specchio di una libertà soffocata, che è far del male agli altri.

Notte e quando hai una deliziosa voglia di dormire

Con le emozioni e i bicchieri che non si colmano mai, afferra una sensazione.

Un desiderio, meglio. Una deliziosa voglia di dormire, nel tepore affettuoso, e sognare tutto ciò che si può, anche a costo di non ricordarlo.

E, credo, quando hai una deliziosa voglia di dormire, sei felice.

Notte e quando hai...

Non sai mai come stanno le cose

Un messaggio sullo smartphone riempie di luce. Eppure pochi giorni fa il cuore era rannuvolato, pensando che forse non importavi un granché a una persona cara. Senza astio, perché quello non dovrebbe entrare in una persona, tanto più è fragile e consapevole di ciò.

Poi leggi il suo dolore, per non aver saputo, non esserci stata. In un attimo ti dice tante cose che ti rendono felice, con semplicità. Non torneremo mai bambine e spensierate, a farci proteggere dai grandi e da pini immensi. Ma possiamo essere ciò che siamo.

Sempre attenti a non inciampare in giudizi. Perché non sai mai come stanno le cose, cosa ci sia dietro a un silenzio, una risata, un pianto,  una parola maldestra o perfetta.

E chi giudica e sbraita, non lo vuole nemmeno sapere.

lunedì 28 settembre 2015

Battiti d'ali

Non li senti più o non li senti ancora. Battiti d'ali, che scivolano oltre il muro ostinato. Una canzone più forte di tutto, anche dell'Amore.

Ti sto proteggendo, che tu lo voglia o no. Sempre un passo avanti o un passo indietro, a meno che io non colga in te il bisogno acuto di un abbraccio.

E allora battiti d'ali, per riportarti un dubbio buono o un sorriso.

Buona festa degli arcangeli.

Notte e quasi farcela

Compilare tremolanti documenti diventa uno specchio di vita. Non arriva mai il tempo in cui deporre la penna e non pensarci più.

Tra le pieghe dell'intelletto si nasconde la voglia di ribellarsi. E saprà quando saltar fuori.

Ma intanto sei sempre lì, sul punto di farcela. Quando hai terminato, non ci puoi credere con troppa solerzia. Sempre separato da un quasi, che forse protegge pure.

Notte e quasi farcela.

Cosa sono le viole

Una persona ti chiede: ti piacciono le viole? Vuoi venire a conoscerle?

E tu sai cosa vuoi, cosa sei. Essere una creatura, tra le altre. Timida e fuggevole come le viole, tanto da cercarle senza gridare.

Cosa sono le viole, scoprirai.

Solo l'arte e la notte oscura

Solo l'arte forse può trasmetterti la forza della debolezza. Tra materiali forti e fragili allo stesso tempo, plasmati dal dolore e dalla creatività, attraverso la croce da cui cerco di fuggire.

Nella chiesa di Marnate dove tante volte ho contemplato la Natività, sento le sferzate del dolore, finché non si riversa nella luce. Ma nulla rinasce, se non è ferito.

In hoc signo, che mostra straordinaria. Ascolto le parole di Annibale Vanetti, che accompagnano gli interrogativi visivi alla Croce.  Alla soglia del buio, stiamo rinascendo. Sì, bisogna attraversare una notte oscura, prima.

Grazie.

Chi è Willy

Il libro di carta è stato più veloce, come la fuga della volpe apparsa sulla copertina della mia storia. Una copertina che immortala un momento per me magico, grazie all'amico Franco Castiglioni.

Domani (martedì 29 settembre ore 18.30, Galleria Boragno, Busto Arsizio) la facciamo nascere nella mia città. Nella libreria da dove è partito ogni mio lavoro, con un istante condiviso. A pochi metri dalle radici della mia famiglia e dalle campane della basilica, che si faranno sentire. Io non me la prenderò con loro come ha fatto (con arte) il mio prozio.

Chi ha bisogno di Willy. Questa volta non è una ricerca, non racconta vicende reali, non si avventura lontano. È una piccola storia inventata, con lo sguardo posato su un lago.

Tanti guardano la copertina e pensano che la volpe sia Willy. Scoprirete ogni identità, se lo vorrete.

O semplicemente starete su una collina magica per un po', dove si può imparare ad amare di più, a piangere o sorridere, anche solo a stare in silenzio e respirare la vita.

domenica 27 settembre 2015

Primi profumi

Primi profumi, che non hanno fretta di svegliarti, si aggirano per casa.

E ti abbracciano felici di averti ritrovata, dopo tanto tempo. 

Perché sì, ho scoperto di poterli respirare e di poterci leggere il mondo e me.

Primi profumi ed emozioni come prime.

Forse, naturalmente

In questo mondo duro come il diamante, e con luce meno eterna, sappiamo solo una cosa.

Che ce la faremo.

Forse.

Naturalmente.

Notte e Non ho pazienza

Un giorno la pazienza si è stufata di me e della mia incostanza. Mi ha detto: visto come sei, vado a fare un giro e non so quando tornerò.

Ritengo opportuno, quasi giusto, lasciarle un po' di libertà. Una tregua per non stancarci reciprocamente in maniera definitiva.

Così, vai pazienza, e ho voglia di dire un po' di cose.

Che a sentirsi migliori, si è solitamente degli emeriti imbecilli. E che a dare degli imbecilli agli altri, di solito si parla per esperienza personale.

Che se non si ha fede, non si diventa migliori solo a schernire chi in qualche modo ce l'ha o ci prova.

Ah, e che hai dimenticato da tre mesi il mio compleanno: ormai è tardi, ma non per chiedermi scusa. Guarda che se te lo dico, è perché ti voglio bene.

Tornerà la pazienza, dai.

Notte e non ho pazienza.

Vorrei dirti che ce la farai

Vorrei dirti che ce la farai. Che quel letto non sarà la tua gabbia. Che potrai camminare nel giardino con il tepore della primavera che tornerà.

Invece, riesco solo ad asciugare maldestramente una tua lacrima, cercando di nasconderla agli altri. Poi emetto una battuta maldestra, in cui non credo nemmeno io.

Eppure tu quasi ridi. E mi vengono in mente anni in cui tutto sembrava solo destinato a correre, nel giardino con il tepore della primavera che tornava.

Se non ci sono le formiche

Sotto lo stimolo delle testarde zanzare, il discorso esplora ogni insetto del mondo. E queste che bastarde sono, le mosche insistenti fino allo sfinimento, i grilli diventati giganti.

L'appello si smonta, con un quesito: ma quest'anno che fine hanno fatto le formiche?

- E' vero, non si sono viste.

Quegli assalti che segnavano l'avvio delle danze primaverili oppure l'esplosione dell'estate, non si sono fatti notare. E una donna sentenzia: non è un buon segno.

No, non lo è. Se non ci sono le formiche. Se manca qualcuno, uno qualsiasi, all'appello in questo universo ordinato, che ci piaccia o no.

La riconoscenza e il Baccalà

Mi arriva un messaggio felice di Enzo, che mi contagia. Purtroppo non ho avuto la possibilità di assistere al viaggio nel gusto e nella storia, dedicato al Baccalà del Visconte.

Ma leggendo, mi sembra di viverlo. Vedo più di 80 persone che accorrono, che assaporano l'impegno di Livio Cerini, che non perdono un istante. Ascolto la musica di Beethoven, che Wilma ha scelto per l'occasione e ogni intervento a Castellanza. Associazione ecomuseo della Valle, Liuc, Comune uniti per un incontro memorabile.

Mi commuove la gioia di Enzo Lo Scalzo, che  spesso trovate nei cassetti perché è solerte commentatore. E la sua visione di una Valle Olona, che a volte - posso dire spesso? - batte la città, nella fame di cultura e di radici. Perché sa che il futuro passa da lì.

E dalla riconoscenza. Mai sotterrare la riconoscenza. Deve unirsi, nell'aria, a un solenne profumo di polenta e baccalà.

Back to Shout at the devil

Il Motley Crue calendario mi rammenta che sono trascorsi 32 anni dall'uscita di Shout at the devil. Io, quel giorno, non lo comprai. Neanche degnavo di uno sguardo questo gruppo e il mio primo concerto doveva ancora venire, potente e con dei bravi ragazzi.

Fu colpa di Theatre of Pain, più tardi, se mi guardai indietro. E se chiesi questo album come regalo di Natale, esponendo mia zia alla vergogna, come mi sussurrò quel giorno prima di lasciarmi scartare il pacchetto.

Non è il mio album preferito dei Motley; del resto, non saprei indicarne uno con certezza.

Avevo però molti pregiudizi, che mi sono stati scardinati. I Motley Crue si possono accusare di tutto, ma non di scarsa chiarezza.

E quel grido mi ha sempre scosso con la sua  follia. Perché le forze negative ci sono, o così credo, le sento quasi quanto quelle di luce. Ma è troppo facile, troppo comodo ignorare che anche loro abitano dentro di noi.

Che possiamo urlare al diavolo, ma nostra è la scelta definitiva.

L'accendiamo.

Shout at the devil.

sabato 26 settembre 2015

E' vero che sono distratta

Mi trovi distratta, hai ragione. Eppure pensa che in alcuni momenti di quell'irrimediabile distrazione, è perché sono immersa nel pensiero di te.

Contro quel perbenista del silenzio

Tolleriamo volgari strombazzate e motori che urlano la loro imbarazzante verità.

Ma quando scorre il silenzio, c'è chi si indispone perché un cane abbaia.

Guarda un po', io l'ammiro. Perché sa dire ciò che pensa, contro questo artificiale silenzio, inesistente per chi ha fame di Verità.

Oh, quel perbenista silenzio ha finito di tacere.

Cos'è un giorno felice

Non consegno io il biscotto, frutto generoso della pasticceria, alla piccola. Perché osserva la nonna con lo sguardo dolcemente avido di amore.

Lo día lei, alla cucciola. E ogni pezzetto è un fremito, un bacio, un gridolino di gioia. Finché l'anziana si allontana e dice: grazie, è un giorno felice.

Che cos'è un giorno felice, far felice un creatura piccola e immensa.

Notte e sto cercando un'isola

E' sufficiente uno sguardo casuale a Ischia per perdermi e ritrovarmi. E se proprio voglio respirare senza illusioni, ho lo schiaffo morbido di Procida. Ma quando il cuore corre a Nord, in cerca di libertà, attraverso con una fretta divorante il ponte fino a trovarmi a Skye.

Chissà perché le isole, che potrebbero sembrare anche prigioni con i loro confini forzati, hanno il gusto dell'indipendenza conquistata con i denti.

Io sto cercando un'isola e ho l'intera notte per farlo.

Notte e sto cercando un'isola.

Spazi vuoti

Spazi affollati di persone gentili, progetti e buone intenzioni. Ma se non ci sei tu, tutto suona come vuoto.

Spazi vuoti, perché tu riempivi l'aria e facevi sentire ciascuno importante. In fondo, gli angeli ne hanno bisogno?

E chi sei tu per saperlo, sento la tua voce gentile.

Questi spazi vuoti,  rivivono così con te, per te.

All in the name of - canzone per la notte

Mi ha aiutato il rock, brutto, cattivo e falso. Ma più vero di tanti perbenismi nascosti.

A essere indifferente alle mode, a dimenticare il rossetto se non dichiaratamente per la scena, a ricordarmi la sobrietà della vita. Scarna e non addobbata secondo le tendenze.

Le poche parole dei Motley Crue mi scivolano via.

Tranne queste: tutto nel nome del rock. Questo rock che mi rende indifferenti i ricchi e potenti sulla carta o nelle vetrine, ma mi fa cercare chi ha un cuore spalancato sul mondo.

Non giudicare nessuno dal portafoglio, nel bene e nel male, e neanche da come si addobba per le feste finte.

All in the name of rock, Motley Crue, canzone per la notte.

venerdì 25 settembre 2015

Vietato sbagliare

Scriviamo "Vietato sbagliare".

Dovremmo avere il coraggio di scrivere: vietato provare.

C'è ancora tempo per sognare

So che è tardi, so che è dannatamente grigio, che troppi mi mancano.

Un'ora freddamente precisa, scandita su uno schermo.

Eppure, lo so, c'è ancora tempo per sognate

Qualcosa con le mani

Che poi vorrei strappare tutte le parole e saper fare qualcosa con le mani. Qualcosa di antico, ponte per il futuro.

Seminare, plasmare, tessere, riparare.

Qualcosa che non sia solo vano accompagnare le parole.

Notte e penso che sto arrivando

Una notizia, come una fucilata nel cuore. E tutto si annebbia, perché senti quel misto di dolore e senso di ingiustizia profonda: né sono consapevole di cosa io possa almeno tentare di combattere.

Poi, una mano amica viene tesa. Una proposta che io definisco folle, per combattere meglio le paure. Mi dannerà, mi salverà: probabilmente entrambe le cose.

Tu sei tra le cose che mi sanno salvare, portare così lontano da ritrovare me stessa. E forse sto arrivando te.

Sì, io penso che sto arrivando da te: plasmo maldestramente un indicativo, per non lasciare entrare i dubbi.

Notte e penso che sto arrivando.

Immensamente - canzone per la notte

Sembra che la notte si sia appena spenta, eppure non è mai finita davvero. Mi manchi già immensamente. Mi manchi dall'attimo prima, che hai smesso di respirare.

E guarda che recito bene, anche perché pochi vogliono stare ad ascoltare la verità. Rido adeguatamente e accumulo fatti, cose, azioni meritevoli e disdicevoli.

Ma mi manchi, immensamente. Dicono che ci sei, e lo so che è così. Quanto ci ho messo per amarti come sei: ora ho solo l'eternità.

Immensamente, Umberto Tozzi, canzone per la notte.

Le ultime immagini

Le ultime immagini di Yara. Le ultime foto con le lacrime del kamikaze lanciato verso la sua sorte. E quanti altri fotogrammi finali, non lo so.

Vorrei che fosse per empatia. E' così folle il sospetto che siamo degli irrecuperabili guardoni, a caccia degli ultimi istanti degli altri, per sfuggire ai fantasmi nostri?

giovedì 24 settembre 2015

Mai abbastanza lontani

Sfrontati tornano i giorni, specialmente quelli che ti hanno segnato. Si posano ancora un attimo sul davanzale come a ricordarti che ormai fanno parte di te.

L'autunno li trasporta più facilmente, forse solo perché è più gentile. Ma è convinto che gli basti un raggio improvviso e tenero a metterti al riparo.

Così i giorni sfrontati fingono di fuggire, mai abbastanza lontani.

Notte e i guanciali della luna

Come scorre la notte, quando mi precipito da te. E nient'altro dovrebbe distogliere l'attenzione.

Ma la luna, ne escogita di tutti i colori. Così ecco che spunta sopra il vetro, tra due sfumati guanciali. Come sbuffi di pensieri, che non si staccano più.  I miei, i tuoi, che si confondono con la luna.

Notte e i guanciali della luna.

Dancin' on glass - canzone per la notte

Vai troppo veloce e sai che la vita può schiantarsi: con quei piedi feriti da una danza sui cocci, non riesci a fermarti comunque.

Lo chiamano inferno, eppure c'è  anche chi ti bolla facilmente in paradiso. Neanche importa,nemmeno ballare sui vetri infranti, finché io sento che è Gesù. Non una cieca dipendenza, ma uno sguardo d'Amore.

I'm no puppet

Dancin' on glass, Motley Crue, canzone per la notte.

mercoledì 23 settembre 2015

La bellezza di

La bellezza di un rumore che annuncia un ritorno. Di un sole che non vuole essere avaro. Di una riflessione che si presenta senza pudori e con franchezza ti conduce dove ti attendono.

La bellezza di vivere tra la gente, eppure di non sentirsi soli.

Se vedo ancora le stelle

Se vedo ancora le stelle sulla veste della prima mattina, forse sto sognando troppo lontano. 

E tornare è difficile, ma non se riversi un poco di quella luce sui propositi malfermi della prima mattina.

Alba incerta, più di te, che sai di poter sfiorare le stelle.

Dialoghi reali - Mojito

- Vuoi un Mojito? È analcolico.

- Va bene, ma io l'avrei preso anche alcolico.

- scusa, preciso: purtroppo analcolico.

Notte e una benedizione

È un giorno speciale e cerco una benedizione, un regalo speciale che mi aiuti a non fermarmi. Lo invoco con gli occhi, con briciole di preghiere, con parole che non affiorano.

Poi, mentre sto sfrecciando da una meta all'altra, scorgo una persona. Una cara persona, che in silenzio affronta il suo percorso quotidiano, come ha incontrato, senza sottrarsi, le sofferenze della vita. Io sento che pianto la macchina e la devo abbracciare. Perché la benedizione è dare, mi sussurra una vocina nota. Ed è il sorriso di quella persona, che perde la sua espressione seria e si colora di dolcezza, il regalo più bello.

Non l'ho meritato, ed è una costante. Ma sono grata, ancora di più.

Notte e una benedizione.

Come l'avvio del giorno

Come l'avvio del giorno, ostento ottimismo, corro e alzo persino la voce.

Finché realizzo di aver divorato troppe miglia e cerco di fermarmi. Contemplare, senza farsi sospingere da altri, è la benedizione. Che invidia anche l'avvio del giorno.

Malinconica è la sera

Malinconica è la sera di chi ama troppo, o troppo poco, perché si intestardisce a dare misure.

Amare, e basta, libera questo cielo, e di ogni peso il cuore.

Inaccettabile cortesia

Frustrata da ore trascorse ai passaggi pedonali di varie città e con automobilisti di varie provenienze, esco dal negozio dove le zebre non sono mai passate e mi fermo. Quando ogni traccia di auto sarà scomparsa, io attraverserò.

Invece, zac, si ferma una macchina. Io guardo e non favello, né mi muovo, finché il conducente mi fa cenno. Come, non tocca a me e lei mi offre questa opportunità? Travolta da tanta cortesia, attraverso e l'auto si astiene dal travolgermi a sua volta, come promesso.

Penso che o è una giornata fortunata, o apparivo in forma o al contrario sono passata alla versione anziana di botto: sui social ci scherzo su.

Più tardi, in macchina, arrivo a un incrocio pericoloso, dove nonostante io debba svoltare facilmente a destra, sono tenuta a stare attenta a quelli che escono dallo stop e vanno a sinistra. Ora, la prima auto non si muove e il conducente mi fa cenno di passare io.

Sì, è una giornata fortunata. Ma esito prima di partire, mettendolo alla prova.

E mi chiedo: quando la cortesia è diventata imprevista, quasi inaccettabile?

martedì 22 settembre 2015

La pioggia e il fischio

Nel canto rabbioso della pioggia si insinua il fischio di un treno.

Acuto, rapido e discreto nel congedarsi. Eppure resta stranamente nell'aria, come un gesto di ribellione mentre nell'acqua si spegne la notte, con i suoi sogni, i suoi abbracci.

Notte e amare costi quel che costi.

Osservo il piccolo guerriero, che anche nei momenti peggiori ha gridato: voglio vivere.l

La chiamano ostinazione, o capacità di lottare o con altri termini.

Eppure a me pare evidente solo una cosa, cagnolino: che tu adori amare ed essere amato.

Amare, costi quel che costi, è la risposta.

Notte e amare...

Chi scappa

Mozziconi di TV e mi scoppia la testa.

Chi scappa dalla fame e chi scappa dalla guerra, chi finge di scappare. E noi da che cosa scappiamo, se non dalla capacità di essere umani.

Mai che scappiamo dalle certezze, fragili come noi.

Il calcio si addice alle donne

Si può essere seri, con leggerezza. Le donne lo sanno fare e abbandono ogni pudore nel dirlo. Perché chi pensa che il calcio sia diventato una guerra o mero business, dovrebbe guardare le tifose.

E io volentieri ospito il decalogo delle donne tigrotte, con un invito: andate allo stadio. Occupiamolo con il nostro cuore e lo strapperemo a ciò che con il calcio non c'entra.

Le donne tigrotte, noi donne tigrotte, tifiamo Pro Patria, la squadra della nostra città. È il calcio vicino, quello tramandato, quello che può avere un futuro. Da noi, il calcio, l'ha salvato una donna.

Vorrà pur dire qualcosa: il calcio si addice alle donne.

Allora abbonatevi...


1. Perché la Pro Patria è DONNA 
2. Perché tutti possano comprendere che il "sesso debole" è quello più forte 
3. Perché potrai dimostrare che le donne di calcio ne capiscono e sono in grado di spiegare bene il fuorigioco agli uomini 
4. Perché ti puoi prendere delle libertà (di parola) che non penseresti mai di prenderti altrove
5. Perché puoi sfogare la tua rabbia contro il guardalinee e non contro il tuo compagno (civilmente, dai)
6. Perché accompagni il tuo lui invece di obbligarlo a fare i mestieri o a portarti a fare shopping sfrenato 
7. Perché lo Speroni è il posto ideale dove una vera mamma tigre "tira su bene" i suoi tigrotti
8. Perché il biancoblù è un abbinamento di gran classe 
9. Perché comunque son le quote rosa che fan girare il mondo 
10. Perché la Pro Patria è stata salvata dalla TESTA...rdaggine di una donna

LE DONNE TIGROTTE

Someone to watch over me - canzone per la notte

Sono disposta anche a scrivere il tuo nome su di me, io che detesto questi gesti. Ma per favore, potresti accorrere? La tua fretta, la mia gioia, perché mi proteggi. Sarà vero che l'amore è cieco, però non mi importa di non vederti, finché ti sento.

Perché da lassù mi proteggi e qui ti cerco, io agnello piccolo e ostinato.

Someone to watch over me, Frank Sinatra (Ella Fitzgerald, pure), canzone per la notte.

What's on my mind - canzone per il giorno

Escono parole disordinate, e per questo forse più autentiche. Ciò che ti passa per la mente, quando sei ferito, da altri o da te.

Scusa se parlo, cantano i Kansas, se mostro i miei sentimenti. Sto solo dicendo ciò che mi passa per la mente. E anche se le soffochi, quelle parole correranno libere da qualche parte. Così, non provi più dolore, nemmeno se ti lasciano al freddo.

What' s on my mind, Kansas, canzone per il giorno.

lunedì 21 settembre 2015

Ridatemi quel mondo

Ridatemi quel mondo che è un lento progredire. Un passo dopo l'altro e si sarà migliori.

Cresceremo e saremo tutti più saggi, forse persino un po' felici. Passo dopo passo, abbiamo pure una meta in mente. E resiste, anche quando guardiamo la TV.

Ridatemi quel mondo, che non è mai esistito.

I fiori più delicati

Chissà come fanno i fiori più delicati a sbocciare proprio in autunno. Fini in forma e colore, non tremano, non cercano sguardi.

Forse approfittano dell'esplosione di colori tutto intorno, per dissimulare la loro presenza. E donare calore ad anime fragili come loro, che fuggono dal clamore.

Un papà e le stelle

Un papà che parte, non se ne va. Un nonno che sembra allontanarsi, eppure resterà a vegliare. Lo dico agli amici, ma con quali parole? 

Sotto quella luna, non sembra esserci spazio per le stelle. Eppure luci nuove si accendono, restandoci vicine.

Il dolore e il ricordo dei sorrisi, che contrasto. 

Vero che ci rimanete accanto, stelle care? La notte non può essere così buia, quando c'è tanto Amore.


Notte e siamo semplici

Tu che vuoi solo bere una birra, e ti tocca sorbirti prima una enciclopedia. Io rido, ma hai ragione. L'abbiamo complicato, il mondo, per aggrapparci a qualche probabilità di essere migliori.

E i siti dei locali che ti svelano anche le sfumature dei tovaglioli, ma prova a indovinare il giorno di chiusura.

E le istruzioni di tutto, che sembrano fatte per metterti alla prova in vista di un nuovo passo (step, dicono) che non arriva mai.

E tutti a parlare con certezza disarmante.

Non abbiamo difesa, di fronte a ciò. Forse, solo lottare per essere semplici.

Notte e siamo semplici.

L'amicizia imperfetta

La facciamo, un'ultima follia d'estate? E l'amica mi prende e mi porta via. Rielaboro tutti questi anni, anche di alti e bassi, di tante differenze e poche convinzioni condivise. Quelle che bastano, si potrebbe dire.

Ma mentre fuggiamo da tutto, per una sera, e giriamo il mondo, ci ustioniamo con le patatine fritte, ridiamo, beviamo una birra cercando il retrogusto di miele, ricordiamo, piangiamo, finendo per ridere ancora...

So che l'amicizia è imperfetta, anche se non quanto me. Ma so che ringrazio chi prende e mi porta via, chi capisce quando sto male e anche se non lo capisce non mi vuole meno bene. Soprattutto chi sta vicino alla mia famiglia, chi quando torna da una vacanza o da una tappa qualsiasi, ha un pensiero per la mia mamma, chi si preoccupa di come sta lui, chi manda un messaggio o un sogno, chi allunga la mano per accarezzare la cucciola ormai cresciuta. Chi mi aiuta a provare, almeno un poco, a essere migliore.

Chi ogni mattina mi scrive e mi dà coraggio. Chi mi vede una volta all'anno, ma è un nuovo, bellissimo giorno.

Chi ama me, vegliando come può sui miei cari.

Tra di loro, tu, amica mia.

Una fuga d'estate, l'ultima, giuriamo, e poi torniamo, intanto brindiamo all'amicizia imperfetta.

domenica 20 settembre 2015

Dundee the brave - indyref on the road (one year later)

DUNDEE THE BRAVE
“Dundee sarà un campo di battaglia chiave per il referendum” Alistair Darling, 16 luglio 2014
(Dundee is a, the yes city. A city involved in changing, ever and ever. Or able to seize the moment, as Brian Cox said?)

20 settembre 2014 - Arriviamo a Dundee. Una sera indimenticabile

Chi arriva, come me, a Dundee dopo qualche anno di assenza, è candidato a perdersi. Ringrazio l’allerta data dagli amici e la stella polare Discovery Point. Grazie al museo dedicato al capitano Scott e ai suoi uomini riesco a convincermi di non essere finita nella città sbagliata e trovo il posteggio, per poi contemplare in pace lo spettacolo del fiume Tay. Dove sventolano ancora insieme la bandiera del Regno Unito e quella di Sant’Andrea. Nonostante siamo nella Yes City.

GLI ULTIMI PASSI
Sono volati più di 200 chilometri, prima restando tra gli scorci più selvaggi, poi ammorbidendoci con i prati che alternano verde e giallo, mucche e pecore. Una tappa nella meravigliosa cornice di Blair Castle, la cui storia inizia ottocento anni fa.  Una tappa casuale, perché nel tour de force volevo anche mostrare e rivivere un castello diverso, ancora scaldato dal cuore di una famiglia. Ma poi, mi ricordano che qui non solo è passato Bonnie Prince Charlie: questa è stata proprio una tappa del principe, scendendo da Glenfinnan, come noi.
E’ come se avessimo condiviso un tratto di strada, ma ora dobbiamo separarci: mi aspetta il futuro.  Saluto il Perthshire e ripasso il risultato qui: Perth e Kinross, il no al 60,19%.
Mancano poche miglia a Dundee, la città del sì, la prima che incontrai in Scozia quasi vent’anni fa, quando costrinsi la truppa di amici a trascorrere la prima notte qui. Se richiudo gli occhi, rivedo la pioggia battente, la visita al Mercantile per bere una birra e stupirsi, da turisti italiani alle prime armi, della repentina chiusura del pub. Quindi la raccomandazione dell’albergatore la mattina dopo: andate a vedere il museo sul capitano Robert Falcon Scott. Noi a dargli retta, nonostante friggessimo per correre su, nella Scozia delle Highlands e dei sogni: invece, io rimasi ancorata a quel sogno stupendo del Polo Sud.
Dovrei conoscerla a menadito, Dundee, e rimiro il messaggio  dei miei amici, quell’avvertimento composto su una deviazione per lavori. Qualche piccolo cantiere anche qui, avevo pensato. Alla faccia.
Tutto attorno, il vuoto che sta per diventare pieno. Dall’albergo alla stazione, è scomparso un mondo e ne sta sorgendo uno nuovo. Si tratta del cosiddetto progetto “Dundee Waterfront” che una adorabile Dundonian mi ha spiegato nella sua filosofia: riportare la città – 148mila abitanti, un passato nel segno delle tre “j” iuta, giornalismo e marmellata e un presente tecnologico e turistico – alla propria sorgente. In modo fisico e metaforico, più vicino al fiume che da tutti può essere visto, come la cortina di edifici storici si ripresenta con orgoglio.
Tra pochi mesi, mi riperderei ancora se va tutto in porto. Il cuore di questo progetto è il “V&A museo di design”, firmato dall’archistar giapponese KengoKuma. Un progetto che sul sito internet è definito “coraggioso e ambizioso£ e sarà il primo museo del design costruito sì nel Regno Unito ma fuori Londra. L’idea di un salotto in questa fiera metropoli scozzese, piace molto. Anche agli investitori, a giudicare dal fermento e dai soldi che si stanno scommettendo dopo il lancio ufficiale nell’aprile 2014.  I consulenti di Drivers Jonas (ora sotto Deloitte Real Estate) hanno stimato che una volta completamente terminato il Central Waterfront offrirà qualcosa come 5mila posti di lavoro.
Cambiare sempre, cambiare ancora. Penso alla fedeltà di Dundee a se stessa, proprio nel voler imprimere svolte anche in tempi sospetti, duri. Abituata alle batoste, da quella plateale quando costruì il ponte dei record nel 1879 e poco tempo dopo il crollo durante una bufera costò la vita a sessanta persone. Quei pilastri sono rimasti lì a testimoniare il disastro e la ricostruzione.
A Dundee c’è sempre da ricostruire.

YES CITY
Alistair Darling lo dichiara il 19  luglio, con sondaggi dal sapore ancora svogliati: Dundee sarà un campo di battaglia chiave per il referendum. Salmond l’ha dichiarata una “yes city”, ma il leader di Better Together cerca di contrattaccare in un’apparizione proprio sulle rive del Tay, dove sta cambiando il mondo: “Sono fiducioso che possiamo vincere e vincere bene”. E aggiunge: la gente sa da dove arriva il lavoro, dal Regno Unito”. Il riferimento è anche a questo museo che cambierà la vita della città, come a mettere in guardia. Ciò, a quanto pare, funziona ad Aberdeen, con il petrolio.
Qui, niente da fare. Nella notte più lunga, la città sarà la prima a scandire il suo yes: 57%, vale a dire 53.620 persone, contro 39.880 che si sono pronunciate per il no. Hanno partecipato il 79% degli elettori e 92 schede sono state respinte.
Così troviamo personaggi come Brian Cox, l’attore che è anche rettore dell’università, con il cuore spezzato a metà: demoralizzato per l’esito generale, carico per la risposta della sua città. Brian: me lo ricordo nella magistrale interpretazione di re Enrico II, già, il temibile e astuto monarca inglese (anche se non abbastanza da governare la moglie Eleonora e i figli, con la macchia del tradimento sempre sui Plantageneti) che con la Scozia alzò la voce, ma imparò anche a trattare. E’ anche rettore dell’Università di Dundee, una delle più frizzanti, che danno un piglio giovane e irresistibile alla città.
Seize the moment: cogli l’attimo. Il suo discorso di questa Hollywood star – come lo definisce il Courier con fierezza – resta in tutta la sua bellezza, invita ad abbattere gli steccati dei partiti e a cavalcare un momento storico. “E’ sempre più chiaro – enuncia nel comizio – che Westminster non lavora per il bene del popolo scozzese. Il 70% delle persone detiene solo il 25% della ricchezza”.
L’ingiustizia sociale, quella che la yes city non digerisce. La città che ha creato navi capaci di andare nei punti più lontani del mondo, come l’Antartide, sotto bandiera britannica. E che oggi ospita sia la Discovery appunto sia la Unicorn, fregata di 46 cannoni, costruita per la Royal Navy: una delle sei più vecchie navi del mondo.

Ricominciare, cosa vuoi che importi ricominciare a Dundee, che dalla iuta è passata alla tecnologia e al turismo. Il turismo... Prima di correre al bed and breakfast a lasciare i bagagli, incontriamo un’amica che ci crede e crea meravigliosi percorsi culturali. Ci porta a bere un caffè al Malmaison, ora affacciato su una terra in fermento oltre che sul fiume Tay. Ha 120 anni e una scala in ferro battuto da sogno: restaurato, è diventato l’hotel numero 13 della catena Malmaison.
Tutto sembra immenso qui, ma fuori vediamo uno spettacolo delizioso: ragazze e donne poi di ogni età che bevono, ridono e scherzano con buffi occhiali. Un travestimento festoso, che significa un addio a un nubilato, spiega la nostra amica. Lei è un’accesa sostenitrice del sì e non sa darsi pace: “Potevamo cambiare. Dundee è sempre stata più radicale, è vero. Ma soprattutto ha il coraggio di cambiare”.
Sono le ultime ore a Dundee, in Scozia. Non ci posso credere che abbiamo divorato miglia e giorni così. Ripenso ai volti, ai commenti, alle storie. I luoghi che parlano non meno intensamente.
L’ultima sera è con una famiglia speciale: che si è divisa nel voto, ma chi ha optato per il no, l’ha fatto convinto che le promesse di Cameron debbano avverarsi, che lui si sia spinto troppo in là. Altrimenti, gli presenteranno il conto.
Siamo a cena in un ristorante, dove incrociamo il banchetto di un matrimonio. C’è un’euforia che sembra cancellare ogni delusione delle ore precedenti. E tanta eleganza, sana e spontanea. La sposa si lascia fotografare con noi, accettando felice l’invito tra la folla.
Quanti kilt, osserviamo. Uomini adulti e giovani come in una processione che si scioglie dopo la compostezza del rito: l’abito prezioso che contraddistingue, che offre identità a una persona, a una famiglia. Chi se ne frega se affermano – attirandosi fior di dispute – che l’abbia inventato un inglese: nelle Highlands la tradizione era già seminata in tempi non sospetti, è la replica che viaggia in rete e negli articoli.
Mentre parliamo ancora di referendum, brindando con il vino ai nostri due Paesi, io guardo questo elemento di riconoscimento di un popolo e mi commuove che oggi abbia il suo ruolo nei momenti di festa, o ufficiali.  Un tempo, era quasi un kit di sopravvivenza: un tessuto che si poteva usare di notte in modo differente, come coperta per far fronte al freddo delle ore più buie. I reggimenti delle Highlands lo scelgono e lo fanno amare anche a Sud del confine. Matrimoni, i giochi ufficiali, le danze celtiche: un momento in cui essere eleganti, essere se stessi e ricordare a chi si appartiene.
Ho chiuso gli occhi: pensa in Italia uno che dice “Vado a votare”  mettendo l’abito più bello, magari quello del matrimonio. Si vede che è sera e ho voglia di sognare. Forse è meglio scegliere il posto adatto per farlo.
LA CITTA’ DELLA LUCE
Ci vuole sempre un istante solenne quando ci si congeda dagli amici. Girare per Dundee è tutto tranne che facile, persino la notte, con le deviazioni impartite a ripetizione.
Ma c’è un modo per abbracciarla interamente: si chiama Dundee Law. Quest’ultima parola è gaelica, non inglese: non c’entra con la legge, bensì significa collina. Siamo a 174 metri sul mare e c’è un memoriale dedicato ai caduti delle guerre.

Lo spazio di manovra qui è minimo e non possiamo sostare a lungo, ma è una sera meravigliosa per cui salire e divorare il panorama con gli occhi. Limpido, il cielo, che spesso viene percosso dal vento a Dundee. Sembra una piccola Los Angeles, la città delle luci, della vita, cantata dai Doors.
Ma non è la canzone con cui chiudo il viaggio, perché questa notte è già sospinta verso il domani. Verso il ritorno a Edimburgo, passando dalle infinite campagne e salutando l’ormai imminente Ryder Cup dai cui cartelli si viene tempestati. Verso la partenza per l’Italia.
Verso il futuro della Scozia e del Regno Unito, di ogni nazione e di ogni angolo di terra, comunque si chiamino o si chiameranno un giorno.
La canzone
- WHEN TOMORROW COMES – Eurythmics
Annie Lennox e David A. Stewart: lei scozzese, lui inglese. Una miscela esplosiva ed elegante per la musica britannica, che conquista i fans di tutto il mondo.
Impegnata in molte cause umanitarie, Annie – ragazza di Aberdeen - non si tira indietro sulla questione referendaria, ma va con i piedi di piombo: né giocatrice d’azzardo, né veggente, crede che si tratti di una questione troppo complessa, da soppesare cautamente. Quando posta su Facebook l’Union Jack, si scatenerà il putiferio, ma lei replicherà: “Non c’erano messaggi nascosti, io neanche posso votare non risiedendo lì, spetta solo al popolo scozzese scegliere”.
Andrà giù più pesante cogliendo i sospiri postreferendari:  “Basta con i sentimenti anti inglesi, crescete”.
Il bello di questa canzone che vuole essere d’amore, ma di un amore mai stretto nei confini, è quanto ci sentiamo piccoli nell’universo. E’ che c’è qualcosa di eterno, e lo ricordano le stelle con la loro luce proveniente da milioni di anni. Quelle stelle che sulle Highlands hanno un sorriso magnetico e che sulle città di Scozia impallidiscono di fronte alle luci artificiali sempre più vivaci.
In queste note d’amore è racchiusa la promessa, per quando il futuro arriverà: esserci, sempre; essere la persona (o il popolo) che fa la differenza, che aspetta, che abbraccia chi appare fragile come un bambino.
Essere la persona su cui si può contare. Quando il domani arriverà, non sarà con un referendum, sarà anche solo rimanendo fedeli a se stessi. E quel “solo” sta già stretto come una frontiera.
C’è un sì che si può pronunciare, sempre, ed è quello che permette di stare accanto all’altro, in questo mondo pericoloso.
Aspettando il domani, spero che chi ha detto no, aiuti a ricucire con quella gentilezza, quell’attenzione all’altro che sono squisitamente scozzesi. E chi ha scritto sì, continui a metterlo in pratica rimanendo leale a se stesso e alla propria storia.

Coda d'estate

Coda d'estate, che brucia pelle e nostalgia. Eppure il cielo è così irresistibile, anche per il contrasto con la stagione che incombe.

Il lago si illumina, si spezza, si incupisce con estivi capricci. E noi siamo qui vittime dell'incantesimo.

Come in ogni coda d'estate, capace di stupirci e di avvolgerci.

Glenfinnan, il loch che disse no

CHI LO DICE AL PRINCIPE. O A HARRY POTTER
I am Connor MacLeod of the Clan MacLeod. I was born in
1518 in the village of Glenfinnan on the shores of Loch Shiel. And I
am immortal. (opening of Highlander)
(Bonnie Prince Charlie or Harry Potter? A hero or a wizard born from a novel? We can experiment both in Glenfinnan. But never say “lake” here)


Se non si è immortali qui, non so dove si possa esserlo. Lo riconosco, mentre entro in questo territorio che si stacca dalle Highlands, pur facendone immensamente parte. Si avvicina la sera e dopo tanti tentennamenti il sole si è affacciato giusto il tempo di congedarsi; non si può nemmeno rimproverarlo, perché riesce a tingere d’argento il Loch Shiel, dove appunto Connor MacLeod affermava di essere nato. E si preannuncia subito un lago stregato, che gioca con la storia e con il cinema mostrando uguale disinvoltura.
In realtà, Glenfinnan non si fa catturare dalle telecamere mentre Christopher Lambert interpreta l’ultimo immortale: è solo citato, rivendicato non si sa se con pudore e orgoglio, e resta poi nella fantasia, perché il lago che vedete è quello che ospita un angolo incantevole di Scozia, Eilean Donan. Un luogo che sa togliere il fiato a chi risale la costa occidentale della Scozia, magari verso la magica isola di Skye, ormai non più isola, visto il ponte costruito a perenne legame. Un castello che galleggia sul Loch Duich, così appare improvvisamente a chi arriva. E anche per questo castello si parla di un legame con Robert Bruce.
Il Loch Shiel, però, non si espone. Questa meraviglia ci accoglie con tutta la sua freschezza, la sera in cui il referendum è già storia e per i più delusi contro la storia.

Qui fierezza ferita e fantasia si uniscono, come queste onde ricche di personalità. Qui il Bonnie Prince Charlie, l’aspirante sovrano del quale troviamo tracce di devozione e malinconia nella Scozia intera, partì carico di speranze, con un popolo che pur rimaneva diviso, come si sarebbe dimostrato. E qui la certezza storica è entrata in competizione con l’invenzione pura: il cartello a cui i turisti prestano più attenzione, è probabilmente quello che indica l’orario del passaggio del treno sul viadotto. Di per sé, uno spettacolo suggestivo, ma molto di più quando evoca Harry Potter in viaggio verso la scuola di Hogswarts.

UN PRINCIPE SFORTUNATO
Ashley o Primula Rossa? A voi la scelta. Ma mi affascina che Leslie Howard volesse realizzare un film su Bonnie Prince Charlie. Profuma persino di libertà, come quella che stava a cuore all'attore britannico, morto in circostanze misteriose nel 1943.
Lasciatelo solo mentre guarda Rossella O'Hara, da lui ufficialmente respinta in nome dell'onore, allontanarsi in una delle scene clou di "Via col vento".
Entrate nei suoi occhi magnetici che frugano già verso un nuovo film. Che non potrà interpretare. Toccherà a David Niven, più inglese di lui se si può. Leslie era figlio di un ebreo ungherese e nacque a Londra nel 1893. Nella stessa capitale inglese venne alla luce David Niven, ma con il
padre originario del Perthshire. Di più, si vantava di essere nato a Kirriemuir, sempre la patria di Peter Pan, si trova su alcune fonti. Ma nella sua autobiografia Niven non ha remore nel confessare il lampo che si trasforma subito in tempesta e lascia poi i segni del naufragio. Viene reclutato per “Bonnie Prince Charlie” da Alexander Korda, che l’avvisa: starai via almeno otto mesi.
Riluttante per un delicato periodo familiare, Niven accetta, ma spiega con triste precisione: fu una di quelle grandemente floride stravaganze che sanno di disastro fin dall’inizio. Un cambio di regista cha si ripete tre volte e una battuta sarcastica: a cinque mesi di lavoro nessuno sa dirmi come finisce questa storia. Humour inglese che accompagna una reale tragedia scozzese.
Ma, diciamolo, di scozzese c’era poco in quel film del 1957. Lo riconosce lo stesso Niven, proseguendo nella descrizione senza pietà: non lo scenario, non gli attori e basta pensare che i selvaggi Highlanders furono arruolati tutti dall’East End di Londra.  Tra gli aneddoti, almeno per David un lieto fine c’è: incontrerà la donna che sposerà presto.
Il film resta però goffo e dimenticato.
Bisogna andare realmente a Glenfinnan, per riprendere la strada del Bonnie Prince Charlie. Ci arriviamo verso le sette, con una luce delicata e bizzarra. Poche case, il monumento sullo sfondo del lago, l’incursione in un bosco individuando il segnale dell’albergo. C’è un altro segnale, che sarà chiaro con il giorno. Un cartello con il “sì”, e un altro con il grido opposto sopra: una pacifica convivenza, una confessione di smarrimento.

Ci aspetta Glenfinnan House Hotel, proprio sulla baia. Prima di entrare nell’antica casa, bisogna fermarsi ad ascoltare il lago che non vuole addormentarsi. Il monumento si fa intravedere, come il Ben Nevis. Questo edificio fu costruito proprio come una locanda tra il 1752 e il 1755, pochi anni dopo l’avvenimento che segna il paese. Lo fa Alexander MacDonald VII di Glenaladale, ferito nella disfatta di Culloden. Da fattoria a casa, mentre viene costruita anche la chiesa, nell’Ottocento. Trecento anni dopo, la casa e le terre non appartengono più alla famiglia e arrivano i MacFarlane nel 1971 a risanare l’ampia casa e trasformarla in hotel.
Ampliando lo sguardo, tutto porta le tracce dei MacDonald. Lo stesso ponte ferroviario, noto proprio come Glenfinnan Viaduct. Lungo 416 yards e costituito da ben 21 archi, di cui il più alto risulta alto 100 piedi. Altro particolare considerevole, la curvatura del viadotto, che si dirige verso la valle del fiume Finnan. Non si tratta tuttavia dell’unico segno di collegamento tra un piccolo mondo e ciò che lo circonda: c’è anche un servizio di navigazione.
Due secoli fa, la popolazione difficilmente superava le quaranta anime; ora è arrivata a quota cento, apprendo.
Una piccola barca sembra aspettare la sera, mentre si spalancano le porte del nostro albergo, con il camino acceso e camere che continuano a raccontare un’ospitalità leggendaria. E non si può non pensare che su una piccola barca arrivò il Bonnie Prince Charlie, nel primo pomeriggio del 19 agosto 1745. Egli scese e incontrò una scorta di 50 MacDonald, poi si ritirò e attese la risposta alle lettere inviate in tutte le Highlands. Altri 150 MacDonald si presentarono, quindi nulla accadde. Dolorosamente, come un’eco di anticipazione, il principe si preparò a partire con un seguito così limitato, per un’avventura immensa. Aveva 25 anni, questo Stuart, ed era animato dal sogno del padre, ma il nemico era imponente.
Ci si può sentire molto soli, qui, anche se la natura protegge e consola, cambia colori a ogni angolazione di sguardo. O forse è proprio questa premura, paradossalmente, a comunicare la percezione del proprio limite, della propria unicità dolorosa e confinante.
Aveva ragione lei, anche se tutto poté dissolversi, quando un suono percosse le vallate: c’erano cornamuse nell’aria e osservando il Loch Shiel in questa sera così mite e amichevole, pare di vedere le note prendere corpo e unirsi all’acqua che non sta mai immobile un istante, come a riprodurre la scena, viva e fiammante.
Potete persino vedere questo giovane, aspirante re, che sa farsi ben volere da tutti, tanto da conquistarsi questo nome amabile nella storia, ma deve aver tremato non poco. La luce delle Highlands gli rivela la presenza di mille uomini pronti a partire con lui: vengono dal Nord, dal clan Cameron. Ci saranno anche trecento MacDonnells, in ritardo per un incidente: così si può definire un incontro con truppe governative, quando si riesce a sfuggire.
Può bastare? Il condottiero deve prendere coraggio, oltre che orgoglio, e decide di salire sulla collina dietro il punto dove oggi si può trovare il Visitor Centre del National Trust of Scotland. Da lassù, prende ancora più vigore la decisione e viene alzata la bandiera. Una cerimonia breve, che dura poco di più solo per tradurre in Gaelico ciò che dice il principe. Poi, lui ordina di distribuire brandy ai suoi uomini. Serve altra forza, ancora.
Tutto il resto è storia. I primi successi, la decisione – sbagliata – di puntare sull’Inghilterra, la sconfitta a Culloden con ferite devastanti che si protraggono nel tempo per gli scozzesi. E il principe che si salva, solo grazie al coraggio di alcuni concittadini, tra i quali la giovane Flora MacDonald che lo fa fuggire, travestendolo da sua servetta.
Vi devo una corona: nel film definito disastro, vediamo il finale gentile, cavalleresco in cui David Niven si congeda da Margareth Leighton. 
E torniamo al 2014. Gli elettori delle Highlands sostengono il no: il 53%.  Se la media dei votanti in Scozia è dell’84,5%, qui è dell’86,9%, quindi qualcosa in più.
Teniamo stampate nella mente queste dichiarazioni di appartenenza al  Regno Unito, mentre varchiamo la soglia dell’albergo. Talmente schiava dell’incantesimo appena visto, mi sento in dovere di commentare: “The lake is beautiful”.
La cortese signora dall’altra parte interrompe le pratiche di registrazione: “Loch, please. ‘Lake’ is English”.
Percentuali, che cosa siete poi?
NON SI MANGIA L’INDIPENDENZA
In questo clima giacobita, ritengo sia arrivato il momento giusto per gustarmi un haggis con tutti i crismi.  Agli italiani e immagino non solo, spesso non va giù perché si soffermano sulla descrizione dei particolari: un insaccato di interiora di pecora, macinate con cipolla, grasso di rognone, spezie e avena, il tutto da bollire nello stomaco dell’animale. Per sopravvivere nell’era moderna, ne hanno anche ideato uno vegetariano. Intanto negli Usa è stato bandito per anni e ora si torna a invocare una riapertura: in fondo, la comunità scozzese è ampiamente rappresentata.
L’accostamento tradizionale di questo pasticcio – celebrato magistralmente da Robert Burns in un’ode, tant’è che il 30 gennaio, compleanno del poeta, ne è raccomandata la preparazione – è con una specie di rape e patate: whisky ampiamente raccomandato per valorizzarlo e digerirlo.


Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei o cerchi ancora di essere. Una doccia fredda pochi mesi prima del referendum è arrivata da una ricerca, pubblicata sui giornali britannici, secondo cui almeno metà dei bambini scozzesi non hanno mai assaggiato il pasticcio tradizionale. L’inchiesta – firmata Travelodge - coinvolgeva mille piccoli inglesi e altrettanti scozzesi, dai cinque ai sedici anni. Ancor meno pervenuto il black pudding – un specie di sanguinaccio che spesso troverete servito anche come Scottish breakfast – visto che il 72% non l’aveva mai toccato. Risultati condivisi su altri cibi tradizionali. Di qui l’appello della catena: “Il cibo è una parte consistente dell’eredità britannica e rischiamo di perdere alcuni dei nostri piatti regionali più famosi, perché ai bambini non si offre l’opportunità di provarli”.
Questo studio e la preoccupazione che ne consegue rendono conducono un piatto così locale in una riflessione mondiale, con i piatti che rischiano di scomparire e con essi la cultura.
Io la mattina dopo, vedo turisti spagnoli fare colazione con salmone e stoicamente rifiuto il bis con l’haggis. Ma porridge, sì, per favore, come del reso faccio in Italia a volte: così, per sentirmi immersa in un viaggio a partire dal risveglio. O perché sono masochista, commenta qualcuno.
Intanto risento le parole di Robert Burns:
Fair fa' your honest, sonsie face, 
Great chieftain o the puddin'-race
Ma sì, che faccia onesta e bella hai tu, grande capo della razza dei pasticci.

SE CI FOSSE HARRY
Una faccia bella e onesta, come il lago questa mattina. L’argento ha lasciato il posto all’oro e non sento parlare di referendum per la prima volta dopo ore. Sono i turisti sulla scia di una stagione che corre verso la chiusura ad attraversare questo incantesimo. Di certo, le Highlands non tengono il broncio, come se non importasse. Come in fondo questo rimane un loch, e nessun verdetto referendario potrà cambiare una cultura, un’anima.
Allora, sentiamoci un po’ turisti. Nel Visitor Centre la storia continua, ma è inutile nascondere quale cartello sia il più sbirciato: quello che annuncia quando passerà il Jacobite Steam Train. Il suggestivo treno a vapore giacobita oggi richiama i fans di Harry Potter: il secondo e il terzo film della saga – Harry Potter and the Chamber of secrets, Harry Potter and the Prisoner of Akzaban – offrono la ribalta a Glenfinnan attraverso lo Hogwarts Express. Di più, gli alunni della Lochaber High School vennero reclutati in abiti da maghi. E ancora, la sequenza della macchina volante nel secondo film si lega comunque a questa zona, tant’è che si può vedere il Loch Shiel.
Non ci arrendiamo e prima del film ci godiamo la natura. Ci arrampichiamo fino alla chiesa di St. Mary e St. Finnan, sottoposta a restauri. Fu progettata da Edward Welby Pugin ed edificata nel 1873. Su questa collina il verde che si sta intingendo nell’autunno e il lago assumono contorni spettacolari. Un angelo sfodera una spada nella parete del santuario, ma è la pace la sensazione dominante e sul pendio un cane gioca con la padroncina grazie a un innaffiatoio rosso e ammaccato. Per accentuare le emozioni si può scendere e arrivare al monumento: questa torre che culmina con una scultura, a pochi passi dal lago, è come una vedetta rimasta sul posto per tutti. Per ricordare, per guidare, per non far sentire smarriti. Sull’altra sponda, vediamo il nostro albergo le cui pareti candide sono invase gioiosamente dal rosso delle piante rampicanti. Chiunque si sieda su una di quelle panche tra l’erba verdissima, si può sentire un Highlander.

Il monumento è protetto da una timida cerchia di mura e vede un silenzioso pellegrinaggio. Niente a che vedere con la frenesia frizzante poche decine metri più in là, che fruga tra i sogni con un unico appiglio alla realtà. Sogni che sfrecciano con un treno.
C’è una parola magica racchiusa appunto nel cartello del centro per i visitatori: viaduct, scritto a caratteri cubitali. Si danno istruzioni precise per arrivarci, scritte a mano, e si spiega che ci vorranno quindici minuti di cammino. Una folla di ogni età si dirige verso il parcheggio per poi prendere la via, anzi le vie. C’è chi preferisce andare sul sicuro, visto il poco tempo che manca alla prossima tappa, e osservare da lontano; chi invece vuole andare fin sotto gli archi.

E’ un’arrampicata lieve, con il sentiero che corre sull’erba incerta e qualche ultima traccia di fiore. Il treno passa e sembra così fragile, con il suo buffo rumore. Presto ne sfreccerà un altro, dallo stile più moderno, eppure trasmetterà in qualche modo un’altra magia. Forse Harry Potter ha perso il primo convoglio e questa volta si affiderà ai mezzi prediletti dai babbani, che lui non disprezza. Tutti, di ogni età, rimaniamo a fissare lassù e tra quegli immensi archi ci sentiamo minuscoli, ma se li superiamo con gli occhi e la mente, vediamo come anch’essi siano nulla, rispetto alle vallate che li abbracciano.
Tutto sembra così fragile, eppure così eterno, a Glenfinnan. Ci facciamo foto improvvisate, finché si ferma un’anziana coppia inglese. Lei ha le stampelle, ma scende con disinvoltura e ci chiede se vogliamo una foto insieme.


Così accade mentre si mischiano le nuvole e l’ultimo tocco di blu in una giornata che comunque non vuole lasciare l’estate di un’avventura. C’è una foto che mi importa quasi quanto questo panorama mozzafiato, che nessuna parola, nessuna immagine saprà rendere, ne sono consapevole.
Quei due cartelli – yes e no – appesi su un albero, in pacifica convivenza. Ma il “sì” oltre che più grande, è situato sopra: netto messaggio, una sola parola nei colori della croce di Sant’Andrea; il “no”, sotto, con l’invito a votare e un civile “thanks” com’è lo slogan della campagna.
Le percentuali sbiadiscono, nei riflessi di un lago che non si ferma mai, come se andasse avanti a precedere una nuova storia, soffiando come un treno.
CANZONE
Who wants to live forever, Queen, 1986.
Forse qui a Glenfinnan si potrebbe avere la tentazione di sognare l’eternità. E siccome ci piace scherzare, in puro spirito britannico, avrà ragione Wikipedia e sarà stata scritta a Londra da Brian May per la solida legge del contrappasso.
Ma come si fa a vivere per sempre, quando tutto attorno invecchia e muore?

Di sicuro, non c’è un tempo per noi, non c’è un posto. A Glenfinnan pare chiaro che questo mondo abbia un solo, dolce momento per noi. Che per il sempre sia oggi. Sul prato verdissimo di Glenfinnan House ci sono panchine di legno che invitano a fermarsi e sarà questa la musica che culla le acque del lago. Chiunque venga avvistato qui, solitario e pensieroso, potrà essere scambiato per un Highlander. E magari vivere per sempre, ovvero oggi.