Vuoti che rimbalzano attorno, vociare di vanità, dolori che divorano dentro, morsi che ammorbano l'anima.
Poi, tu mi dai un'incerta mano e questa volta - da un po' troppo spesso - fingo di proteggerti io. Perché in qualche modo, lo fai ancora tu: me lo ricorda quel dito che hai perso e ti hanno ricostruito rozzamente, il giorno che ti lanciasti per salvarmi. L'auto che ripartiva, la portiera ancora aperta, la mia testolina che si frapponeva tra essa e il palo, il tuo urlo, la mano tua che cercava di fermare ciò che già vedevi.
Lo disegnai, su un foglio a scuola.
Ma giuro che provo a proteggerti io. Non importa quanto faccia male la realtà, sono qui.
Tutto il resto è gloria, finta, intrisa di veleno, che brucia piano piano: si consuma fino a trasformarsi in cenere.
Questo è ciò che conta, ciò che sfugge al tempo: mi riporta indietro, nel conforto scontato, e mi fa camminare piano dentro questi mesi bastardi. Il futuro se ne sta in disparte, ma tu no, anche se non lo sai.