mercoledì 15 gennaio 2025

La fortuna, l'umanità e una risata (dopo tanta paura) a un esame. Il viaggio continua, professor Colombo


Ho intercettato il suo messaggio un mese fa, professore, e si è spalancato il libro di una vita. Come forse solo la mia anima aveva previsto, avrei percepito i frutti del mio cammino universitario molto tempo dopo. Ovvero quella voracità di tentativi di sapere che non mi lascia mai tranquilla.

Io, vento ostinato e contrario, che mi iscrivo a Filosofia alla Cattolica, con già la testa alla specializzazione Comunicazioni sociali: ciò che più mi sembrava un ponte verso il giornalismo. Pronta a incavolarmi con tutti perché dovevo schizzare via, ma poi altrettanto capace di appassionarmi a troppi libri e diversi professori.

Oggi mi curo con il professor Reale e innesti di Kuhn, ancora adesso un antidoto immancabile nel mio bagaglio della salute autentica. Se mi concentro, chiudo gli occhi e risento la voce di Aldo Grasso oppure ripercorro gli stupefacenti esami di Teologia, l'ultimo in particolare con la sua imponente dose di libertà.

Che fortuna ho avuto, mi sono detta. Soprattutto nei primi anni, apparentemente, perché poi lavoravo e già fremevo troppo per soffermarmi davvero. Ma con Fausto Colombo percepivo qualcos'altro: come una gaiezza che spronava i pensieri e mi sussurrava di prendere sul serio tutto senza esserne oppressa.

Quando lui pubblicò il post in parte fotografato sopra, esprimendo la consapevolezza della sua fortuna, gli scrissi subito un commento e mi collegai su LinkedIn. Era come ritrovarlo dopo un lungo viaggio e non sapevo che fosse in procinto di partire.

Nelle scorse ore, ho cercato di mettere in fuga la malinconia con un ricordo legato al momento finale e più tribolato, secondo il manuale della studentessa distratta. Nel corso dell'esame con lui, mi viene chiesto un esempio e io cito con assoluta propensione all'autodistruzione la poesia The Bomb, che graficamente la bomba richiama.

Autodistruzione perché - in quell'esatto momento - mi rendo conto che ho un'amnesia e non mi ricordo il nome dell'autore. La butto lì, come una bomba di potenza minore, e cerco di fuggire, ma il professore mi incalza.
- Chi è l'autore?

Io non posso negare la realtà: in questo momento non mi ricordo. Con un altro docente, sarei stata pronta ad alzarmi e abbandonare il campo, ma io sento che con lui non è così. 

Colpo di scena, per me. Lui insiste: mi dica chi è l'autore.

A questo punto, rischio di andare in cortocircuito perché non riesco assolutamente a mettere a fuoco il nome, nonostante io sappia di aver amato quell'autore e la sua generazione.

- Non me lo ricordo adesso, professore.

Pietà. Anzi no, Fausto Colombo mi chiede ancora, ma questa volta non si ferma lì: Mi dica per favore chi è l'autore...

Sotto quell'onda io vorrei chinare il capo, ma poi ascolto ogni parola: ... perché io ho scritto anche su questo autore e la Beat Generation, ma in questo momento non mi ricordo il nome.

Allora, rialzo il capo e vorrei quasi ridere; lui mi offre un sorriso e io penso che bello il mondo in cui non bisogna nascondere la propria umanità che si nutre di sogni e di fragilità. Aggrappandomi con meno veemenza alla mia vena ironica di autodifesa, mi sento dire: allora professore, se permette appena esco da qui io corro a vedere chi è l'autore.

Nell'era di internet, avremmo subito cercato insieme su Google. Per fortuna - anche questa è fortuna, prof, non so neanche se nel suo piccolo - in quei tempi non si potevano cercare scorciatoie. 

Ripercorrendo il nostro breve cammino insieme conclusosi con quell'esame, caro prof, in cui ho tremato e riso insieme, credo di essere proprio fortunata: ho affrontato un tratto con lei, mi ha lasciato tracce importanti che potrò far fiorire ancora e ho potuto, in qualche modo, salutarla. Assaporare le sue parole che spero di portare almeno in parte, anche nel mio tratto finale di vita.

... sono stato io ad essere fortunato. Ho fatto per decenni un mestiere che amavo. Ho incontrato giovani interessati e curiosi. Ho potuto studiare e scrivere liberamente. Di tutto questo ringrazio la vita e tutti/tutte voi. Occupate un posto speciale nel mio cuore.

giovedì 9 gennaio 2025

Come il libro dei pensieri

 

Un intenso cielo invernale si posa sui campi e non c'è verso di rincorrerlo. Non c'è nemmeno necessità.

L'agenda si è chiusa, come il libro dei pensieri.

Adesso è solo il tempo di trovarsi dentro un paesaggio invernale. Dentro un'attesa, che ci fa essere quello che in un angolo di stanza di bambini già sapevamo.

Da bambini, sapevamo tutto.

mercoledì 1 gennaio 2025

Un primissimo giorno


In questa lunga notte tesa a consolare, scivola un'alba impigrita. Sto ancora osservando, titubante, quando il sole sembra decollare.

Preparo il caffè, nelle tazze che amava mia zia sulla collina. Lo bevo solo io, ormai l'unica in casa ad apprezzare quel borbottio profumato. Non c'è in nostalgia in me, bensì solo uno sbuffo d'orgoglio e così osservo meglio quel quadro mentre irrompono i miei animaletti, ora non più impauriti. Dorme il resto della casa e forse della città.

È il primo giorno dell'anno, un primissimo giorno di vita. La mia operazione di distacco sta compiendo progressi o magari è soltanto un'illuminazione immeritata, ma questo è il primo giorno dell'anno e il mio primissimo di vita.

lunedì 30 dicembre 2024

Il valore di fare impresa (e di fare la differenza)

 



Partire e ripartire: due azioni che spesso si fondono nelle storie esplorate da Alessandro Scaglione con il suo libro "Italia, che impresa!" (GueriniNext). Si inizia a scolpire un sogno oppure lo si prende in mano da chi l'ha affidato, o ancora gli si mettono nuove ali dopo un ostacolo, una battuta d'arresto o un'ispirazione differente.

Un moto perpetuo si propaga da queste pagine, in modo contagioso.  Come ben rammenta Alma Maria Grandin, raccontare storie di imprese di successo è sempre stato il chiodo fisso di Alessandro. Già nella prefazione, affiora una tra le parole chiave che guidano in questo viaggio, valore. È un termine potente, che questi tempi hanno talvolta soffocato o deviato, ma qui emerge nella sua natura più autentica. 

Il viaggio è appassionante, anche perché sa sorprenderci, che ci parli di personaggi (ma sono persone) famosi o figure meno note, di aziende con centinaia, migliaia di dipendenti o poche decine. Ci stupisce ad esempio vedere Giorgio Armani a 84 anni mentre sistema gli abiti sui manichini delle vetrine, ma poi sì, ci arriva quel delizioso "promemoria": questa volta però gli abiti e il negozio sono i suoi. È un riferimento in tutto il mondo, Armani, ma ci sono gesti che gli appartengono da sempre e che lo rivelano ancora oggi per la perenne attenzione al particolare, la passione, il gusto.

Ecco che camminiamo accanto ai protagonisti "contro un destino avverso" o ci sentiamo trascinati dall'esempio degli "inarrestabili". Personalmente, trovo irresistibile una frase di Benedetta Bruzziches: «Molte volte ho perso tutto e ricominciato. Ma non ho mai perso la mia battaglia affinché il perché e il per chi avessero la meglio sul come».

Partire e ripartire...

Ma poi non può non emozionare Mario Pavesi, con la quinta elementare, che parla per lo più in dialetto, fa calcoli alla perfezione per la sua azienda e ha dei numeri magici e silenziosi: quelli vergati sull'agendina per portare avanti iniziative di responsabilità sociale. Altro tratto distintivo, quest'ultima, che si chiami così o che abbia preceduto questo nome.

Questi imprenditori non si prendono cura solo di mura e prodotti, ma di una famiglia dai confini vasti e irrinunciabili, che comprende i dipendenti, i clienti, i fornitori, il territorio, le realtà che hanno bisogno di un sostegno per poter coronare necessità e sogni degli altri.

Famiglia. È il filo rosso di questo e di altri racconti, e non può non emozionarmi la dedica di Alessandro. 

«A mia madre Maria Vittoria, che con mio padre decise di adottarmi quando avevo nove mesi, insegnandomi il senso della famiglia come comunità di persone prima che vincolo di sangue». 

Sì, è un libro che ispira, motiva, sprona, quello di Alessandro Scaglione, che si voglia guidare un'azienda o realizzare un proprio sogno (labile, la frontiera). Un'ispirazione per tanti, perché trasmette il valore di fare impresa come di fare la differenza.


Tutto sul libro QUI

venerdì 27 dicembre 2024

Esserci

 

La tua rubrica stretta tra le tue mani trasparenti, stasera con maggior forza: si è spenta un'altra amica, una voce che ti dava conforto. 

Non posso riempire questi vuoti e attutire le tue, le nostre paure. Osservo il rituale a una finestra che devo chiudere, mi nutro di quella luce sfuggente e bellissima e mi ritraggo in tempo per non perdermi nel buio incalzante.

Ti dico che sei stata fortunata, per le tante persone che ci sono state.

Esserci, quello che manca sempre più oggi. Una telefonata, un messaggio, una risata, un labbro morso per trattenere una lacrima. Tutto è centellinato da mezzi senza fine come i cellulari, svuotati come i nostri sentimenti, da vanità pressanti, da egoismi che divampano solo perché tu non ti accorgevi che già covassero sotto le ceneri.

Essere, quello che cerchiamo, forse disperatamente: domanda senza risposta, viaggio senza fine, respiro senza ruoli.

Esserci, è quello che provo a fare con te, che hai saputo esserci e ti ostini a cercare di esserci per tanti, aggrappata a una rubrica che si assottiglia.



giovedì 26 dicembre 2024

La leggerezza di non saper impacchettare

Avevo escogitato un post simpatico per scusarmi. Ecco due parole già sbagliate, una sbagliatissima: scusarmi. 

In un'altra vita ero un'impacchettatrice, dote che ho trasportato dentro quest'esistenza.

Sono un disastro a fare pacchetti, così come in altre arti tipo fare a maglia o disegnare. Sono molto brava a smontare le cose, questo sì; a volte, le rimonto persino. 

Mi perseguita il ricordo dell'oratorio che abbandonai dopo poche settimane, perché dovevo imparare a ricamare. Ma in queste ore di goffo tentativo di riordino ho scoperto sul mio diario un'affermazione proprio ereditata da suor Silvana (che non rammento, io ho in testa solo suor Adriana, mitica figura dell'asilo) durante quelle settimane estive in cui avrei voluto calpestare la terra dei giochi con la palla, altro che tenere l'ago in mano.

Non bisogna sciupare la propria vita.

Sciuparla, significa anche ostinarmi a confezionare un ottimo pacchetto, operazione che non mi vede - solo - incapace, bensì pure poco interessata.

Soprattutto, non mi va di intestardirmi su ciò che so fare oppure no.

In questi mesi di lotta silenziosa, ho maturato più che mai il desiderio di capire chi sono, non ciò che faccio. Di fuggire da capacità, ruoli, funzioni. 

Il bello di non saper impacchettare è saper fare tante altre cose oppure nessuna. È guardarsi dentro e prendersi per mano, non con una definizione facile in mano di se stessi, ma almeno un placido tentativo di essere, più che esserci. 

È una leggerezza indicibile, una delle liberazioni che maldestramente sto imbastendo o mi stanno donando (probabilmente, entrambe le cose) in questi ultimi anni: lasciar cadere ciò che non ci caratterizza, nel proprio cammino, nelle scelte, nelle relazioni.  

mercoledì 25 dicembre 2024

L'arrivo di Natale proprio oggi e il ragazzino che non ho abbracciato

 






Natale è arrivato proprio oggi, la luna ancora indecisa se allontanarsi o accoglierlo a modo suo. Nella chiesa dove vado raramente, ma dove so che è intrecciato l'avvio della mia fragile vita grazie a un prete umile e travolgente, me l'hanno ricordato.

Ho accumulato tante assenze, ma poche reali: sono quelle dettate non dal corso della vita, ma dall'umano attaccamento alle cose prima che alla persone. E alcune presenze, che sono un dono altrettanto inatteso quindi di valore incommensurabile.

In questo anno che mi ha strappato tanto, mi sono trovata a pensare che questo è forse il Natale più bello. Perché ho un regalo ancor meno scontato, colei che mi ha dato la vita e che vedevo minacciata dall'oscurità: non abbiamo meritato niente, abbiamo pregato tanto. Io la vedo mangiare, cantare melodie natalizie, commuoversi alla telefonata inattesa di un'amica da tempo lontana. 

Non so come dire grazie, se non mormorare così: non importano le nostre fatiche, o forse proprio esse importano. Questo è il Natale più bello.

Così dopo una giornata intensa mi prendo alcuni minuti per camminare tra un falso buio e anche più fallaci luci. Di fronte alla mia chiesa, quella di sempre e da sempre, scorgo il parroco che distribuisce Gesù Bambino. Nell'aria vince un sorriso, che è anche il mio. 

Ma poi, quando sono vicino a casa, sfioro un padre e un bambino. Hanno un tono serio di quelli che feriscono e difatti il ragazzino sospira: questo è il Natale più orribile.
Vorrei fare dietrofront e dirgli che no, non è così. Ma non ne ho alcun diritto, non so cosa stia attraversando. Ho la tentazione, non il coraggio, di rincorrerlo e abbracciarlo.

Pochi passi e sono a casa, in un tepore insperato. Questa mattina, al cimitero ho abbracciato tanti di quelli che mi mancano davvero. Quelli che si sono allontanati, non mi mancano affatto.

Perché Natale è arrivato proprio oggi e io ho troppo da fare: tenere stretta la mia mamma per un istante in più, pensare a come cambiare, meditare su un progetto, lasciar andare le cose. Quest'ultimo - me lo ricorda con una riflessione impeccabile, plasmata nella vita, il mio maestro di yoga - è il pensiero più urgente.
Non attaccarsi a niente e nessuno, ringraziare per tutto, camminare come si può e come si deve.

Natale è arrivato proprio oggi e io avverto la gratitudine per ciò che mi accompagna e ciò, chi ho perso. So persino che un giorno quel ragazzino vivrà un magnifico Natale.

Natale di Gesù. Lo legge ad alta voce mamma sul calendario e pensa che verrà oggi, verrà sempre.