Quando afferrai quell’Lp dalla copertina strana e devastante, dovetti documentarmi. Presi una rivista dalla copertina strana e devastante, dove comparivano questi soggetti.
Ne sentii l’esigenza perché quel disco – Appetite for destruction – in qualche modo mi suonava come uno spartiacque. Perché c’era qualcosa che mi parlava di una nuova era, pur innestata su eco di antichità. Michelle era lanciata in una selva oscura, la Città Paradiso non era proprio il luogo dello spirito eppure si sapeva mormorare Dolce bambina mia.
Soprattutto, in quel “dove andiamo” pressante, abbandonando note stridule, mi rispecchiavo tutta.
Aprii quella rivista americana e lessi la prima intervista dei Guns N' Roses. Io abituata al rock serio per gioco, o a compiangere i miei musicisti che si lasciavano deviare da altre stupefacenti strade, non ne fui favorevolmente impressionata. La frase che rimase nella memoria era che “volevano convincere il mondo a f… in continuazione”. Decisamente, non mi parve questa grande azione rivoluzionaria e riposi la rivista.
Così è la vita rock, quasi una pseudo riflessione alla Amadeus: ciò che esce dalla mente e dalle dita di un musicista, non sembra a volte lo specchio della sua anima. Ma solo lui conosce realmente la propria anima, e forse nemmeno lui.
La prima intervista dei Guns finì nel – mio – dimenticatoio. Il primo album.
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