martedì 4 novembre 2025

Ci confonda l'autunno

 

Stretti nella giacca per il vento e per vezzo, si viene fermati energicamente dall'autunno. Una sferzata di luce si insinua tra le foglie, così tu cerchi di sottrarti a quello spettacolo dorato.

Eppure non è possibile. L'autunno mi fa ritrarre, senza rinchiudermi in me stessa, o meglio - confessiamolo - ci provo, ma lui me lo impedisce.

Ci confonda l'autunno, parlandoci di giornate più brevi e più scarse energie, ma poi ci confessi la verità: meno siamo in controllo, più siamo liberi.

sabato 1 novembre 2025

Natale, piano piano (e quel quaderno che parla di coscienza)

 

Ne sono consapevole (cribbio, una consapevolezza ogni tanto): è troppo presto. Ma chi sa quando Natale arriverà davvero: forse, solo quando il cuore è lieto, ovvero ben disposto alla speranza.

Non so quando potrò sperare, quando la vita mi schiaccerà. Allora corro nel paese del Natale a poco distanza da casa: ne sono stordita e liberata, mi lascio domare dalla coscienza della carta di credito al primo, limitato giorno.

È meglio che io mi lasci contagiare adesso dalla gioia, perché fra un giorno, una settimana, un mese chi lo sa.

Quando sto scegliendo un quaderno da colorare per la mia mamma, una signora mi taglia la strada. Penso sia una nonna, mi ritraggo di fronte alla furia dei desideri dei bambini, ma lei mi confida tenendo abbassato il capo: «È per mia madre, ha 90 anni, l'Alzheimer. Vive in Rsa, convinta di abitare con suo marito».

Le porta un quaderno da colorare, come ho fatto io, nella differenza delle situazioni. Non oso aggiungere mezza parola, è lei a precisare: «Mi spiace, mia mamma era così intelligente».

Anche la mia. Lo è ancora, lo sarà sempre. In una tempesta quotidiana di emozioni, lo dimostra oggi. Vorrei abbracciare la signora, ma resto a rispettosa distanza. È lei ad aggiungere, di sorpresa: «Sarà così anche per la sua».

Sì, la mia mamma era intelligente. È intelligente. Molto più precisa di me, afferma lei e io mi ritraggo di fronte a questa certezza. 

Non so quando potrò sperare, quando la vita mi schiaccerà. Corro nel paese del Natale e prendo quel quaderno che parla di coscienza. 

Natale piano piano, perché non si può sempre correre, ma solo vivere se si è saggi abbastanza e persino se non lo si è.



domenica 26 ottobre 2025

Tutto in volo

 

Basta che entri in gioco il vento, la sua beffarda attitudine a scompigliare nuvoli e pensieri, e il mio sguardo si perde ancora nel cielo, fra quelle strane creature. Le forme più bizzarre che si sfaldano e si ricreano, gli uccelli che sembrano cercare la corrente giusta per fare meno fatica o per scivolare verso il loro destino, le foglie che si mettono a loro volta a danzare.

Tutto in volo, nella stagione che accarezza i miei brividi e li trasforma in fragili sogni, ancora.

venerdì 24 ottobre 2025

Ti ho vista ballare

 

Sotto le carezze della pioggia, ti ho vista. Non sapevo bene chi fossi tu (figurarsi me, sento che sussurri): nella mia ignoranza completa, ti ho attribuito l'identità di una cavalletta, finché amiche più sapienti mi hanno aiutata indicando "Mantide religiosa".

Dall'etichetta leggendariamente crudele, sono scivolata a ciò che sembravi: fragile, abbarbicata per ore a un muro che confondeva con il tuo colore.

In cerca di protezione, di vita o che altro. Come noi,

Da allora, ti ho tenuta d'occhio con un'ansia crescente, io che a lungo coltivai una imbarazzante paura di creature come te. Finché è uscito un barlume di sole, finché tu ti sei spostata in modo impercettibile.

Finché tu ti sei messa a camminare, ma a me parso che tu ballassi.

Sì, ti ho vista ballare. E io senza paura né pudore, a ballare con te.

lunedì 20 ottobre 2025

Luce d'autunno

 

Non illumini che l'anima, illumini l'universo. 

Sei la nostra luce d'autunno, la compagna discreta di brevi passeggiate che per noi significano vita. 

domenica 19 ottobre 2025

Hope under construction

 

Un palazzo avvolto da un cantiere e rose che si posano su questo scenario, con disincanto.

L'uomo affaccendato a riparare, la natura a creare.

In un giorno grigio fino allo stordimento, quelle rose si ostinano a raccontarmi di speranza.

Hope under costruction, come un sito che sta aspettando di rinascere. E le rose a sussurrare che ci credono.

giovedì 16 ottobre 2025

La maschera che mi salvò nello Spazio (ciao Ace)

 


Ero persa nel pieno delle convenzioni e anche in un po' di leggera musica, fino a quell'istante, quello in cui i miei compagni di scuola mi regalarono "Unmasked" dei Kiss. Il resto è storia personale: io che arranco nel mondo del rock, sempre più duro per corazzarmi contro le ipocrisie della vita.

Ma siccome si cerca sempre un beniamino, che lo si sappia o no, all'inizio ho trovato inequivocabilmente te, Ace. Io donna di squadra per il basket coltivato ogni ragionevole dubbio di altezza e tuttavia solista come vezzo di figlia unica, ho scelto l'extraterrestre come ti chiamavo allora. Quello che nello spazio si perdeva senza vergognarsi.

Sei stato il mio primo chitarrista, quello che secondo me non veniva mai abbastanza apprezzato dal vasto mondo dei Soloni (persino più vasto dello spazio, che ne dici Ace?), la mia devozione ha retto anche l'impatto delle biografie sempre più particolareggiate e infine l'uscita dal gruppo. La prima per me, e quindi dolorosa, perché quella di Peter Criss era stata troppo immediata per farmi male ed Eric Carr era una tale luce per me, che non ho visto buio alcuno.

Con te, è stato diverso. Al liceo mi sono messa anche a fare la tesina su una tua canzone, roba che oltre a turbare la professoressa ha sfidato anche le compagne più benpensanti attaccate dichiaratamente ai cosiddetti cantanti o gruppi impegnati.

Cosiddetti.

Perché loro pensavano che fosse tutta una maschera e invece voi dicevate qualcosa di terribilmente vero: le maschere, siamo noi. Sono incollate a viva forza sulla nostra anima e chi finge di non saperlo, non si trova mai.

Adesso che tu, Ace, sei veramente nello Spazio, in uno spazio ancora più vasto di quello che potevamo pensare, io ripenso all'unica volta che ho provato a truccarmi come te (con pentimento definitivo perché mi si bruciò la pelle), al dispiacere di non averti mai visto dal vivo, eppure guarda che amico sei sempre stato, più di altre maschere.

Non ho altre parole che le tue, come quella canzone che finì nella mia tesina: firmata Ace Frehley, ma io la firmerei "La maschera che salvò Marilena nello Spazio"

I'm snowblind, I can't see a thing
I'm snowblind, I don't wanna sing
I'm snowblind need a familiar face
I'm snowblind think I'm lost in space

 

domenica 12 ottobre 2025

Non posso fermarmi, sono un fiume

 


Anche se ci sono cresciuta, sul fiume, se l'ho vissuto con le prime gite tra le braccia di papà, non so se questo basti ad esaurire le ragioni di una simbiosi che avverto dentro di me e che mi avvolge.

Mentre accoglievo trepidante qualche giorno fa l'immagine del Ticino, come se lo vedessi per la prima volta, mi rispecchiavo fino a fondermi ancora una volta. 

Perché io, sono un po' un fiume.

Ora svuotato, ora in piena. Perennemente in viaggio eppure dannatamente intrappolato in un percorso che non ho scelto io. Scavarlo, non mi rende più libera: accresce solo il dolore.

Eppure, libera sono in qualche modo.

Di camminare nelle mie scarpe, di stringermi nella mia ricerca senza annullarmi, di non prendere ordini insensati, di scrollarmi via con una risata parole assurde che chi non vuole conoscere butta addosso - tipo oggettivo, evidente, la verità, la realtà, insomma orrore puro -, e di piangere, piangere forte come solo un fiume sa fare. 

Radunando le lacrime mie e di tanti rivoli del mondo, trattengo il fiato finché uno sguardo buono mi ridà il respiro, un angelo mi asciuga il volto con i baci, penso che non posso fermarmi.

Non posso fermarmi, sono un fiume. Che lo voglia(no) o no.


domenica 7 settembre 2025

Lettera dal 1990: cambia tutto così in fretta

 

Tra le benedizioni della mia prima vita, c'è quella degli amici di penna: chi viveva all'estero, veniva assegnato dai prof attraverso un meccanismo di cui poco mi ricordo. Rammento bene la loro provenienza, invece: da adolescente potevo dialogare con la Norvegia e con la Francia (meraviglioso mantenere tuttora i contatti con loro), con gli Stati Uniti e con la Germania. 

Ogni confronto era interessante, ma molto mi ha trasmesso la pen pal dell'ultimo Paese citato. La Ddr, ovvero la Germania dell'Est. Susan adorava la musica italiana, ogni tanto le inviavo i dischi dei nostri artisti, era sempre molto attenta e comunicativa. Mi ferì apprendere che per una lunga coda in attesa di comprare le arance si buscò una polmonite.

Quando ricevetti questa lettera, il muro era già caduto e la Ddr si avviava all'epilogo. Come in tutti i momenti di cambiamento, tanto più in un contesto così drammatico, non mancavano i contraccolpi e mi fu spiegato come le sue lettere venissero controllate dagli agenti della Stasi dopo la fuga di un'amica.

Mi spiace tanto aver perso i contatti con Susan, spero stia bene e possa vivere tutto ciò che desidera, e che prima ancora aveva desiderato. 

Una frase di quella lettera resta accanto a me in questo periodo così cupo: «Tutto cambia così in fretta».

È quanto pensiamo, spesso temiamo, altre volte ci spazza via il dolore e l'angoscia. Spero che quella frase sia profetica anche di tutti i conflitti della Terra, a partire da quello che lacera le nostre relazioni, e di tutti i soprusi, a partire da quelli nella nostra società che cercano di impedirci di informarci realmente e ragionare per il bene di tutti.

Prego che si possa dire, anche quando sembra tristemente impossibile: tutto cambia così in fretta. E sorridere, di fronte a una nuova pagina che si può scrivere senza oppressione e senza dolore.

venerdì 5 settembre 2025

Prendere posizione, il vero significato

 

Infuria un vento che ulula nella notte di questo tempo: prendi posizione. Non è dato sapere se sia di poche o tante voci, perché la violenza e il livore che trasporta hanno un volume così alto da deformare la proporzione.

Oggi su una questione drammatica e complessa (domani chissà) intima a chiunque: devi prendere posizione. 

Trascura due parole, che sono invece determinanti nel suo ragionamento: devi prendere LA MIA posizione. È questo il suo vero significato.

Non invita a studiare, a ragionare, approfondire, incontrare l'altro.

Intima di gridare cos'è giusto (per lui) a prescindere dalla conoscenza, dalla competenza e dall'empatia. 

Un vento che non conosce né offre pace, ma punta solo a dividere.

Passerà o continuerà a infuriare tra di noi, non lo so. 

So solo che sono stata cresciuta a cercare, dubitare, non imporre e non pensare che se io e un altro condividiamo un'idea, dobbiamo essere d'accordo su tutto. Tra l'altro, temo che se qualcuno urla di pace e ha il volto e le bacheche deturpati di odio, sia un ottimo alleato della guerra.

Io preferisco camminare nel deserto, sotto lo sguardo silenzioso delle stelle che brillano senza violenza, quasi con stupore. È questa, la mia posizione: sempre alla ricerca, sempre in cammino, senz'altro lontano dalla violenza di chi vuole imporre la propria opinione. Che opinione è, non Verità.

domenica 31 agosto 2025

Il mio amico dubbio

 


Tra chi non mi ha mai inferto delusioni, c'è il mio amico dubbio. Anche nella nebbia sempre più accentuata della solitudine, mi ha fatto sentire rinfrancata.

Oggi vedo imperversare certezze ottuse: meno studiano, meno sanno, meno approfondiscono, più parlano.  Un fracasso mostruoso di osservatori, che non si sforzano mai di osservare e che sentenziano sulla pelle degli altri, dal calduccio della loro placida postazione. 

Grazie ai suggerimenti  del dubbio, io continuo a scavare prima di esprimermi, specialmente quando di mezzo ci sono vite e cuori. Poi, quando penso di poter parlare, lui mi scuote gentilmente: sfuggo alla sua attenzione a fatica e in genere mi pento.

Quando è nato questo blog, del resto, lui si era già insinuato tra i titoli e io gli sono grata di non essersi mai allontanato da me: continua a scorrere nei miei pensieri.

venerdì 22 agosto 2025

Non ho fatto in tempo (in tutto questo tempo)

 

In punta di piedi, se n'è andato un signore che ha sfiorato il secolo. Un guizzo di memoria me l'ha riportato davanti agli occhi: pochi mesi fa, me l'aveva presentato un amico perché mi conducesse nel lungo sentiero del suo sapere.

Non ho fatto in tempo.

E all'hospice mi hanno spiegato, ancora una volta, come gli ultimi istanti siano i più preziosi, quelli in cui siamo solo noi stessi e possiamo esaudire i nostri desideri.

Ma perché - mi sono poi ribellata - soltanto all'ultimo, quando sappiamo di avere poco tempo?

Di troppo cose mi rimprovero: non ho fatto in tempo. Accadeva in passato e non accenna a placarsi l'errore ora. Di questo gentiluomo frettoloso, che ti confonde solo l'idea, non so bene cosa pensare.

Credo solo che sia assurdo dire: non ho fatto in tempo, in tutto questo tempo.

giovedì 14 agosto 2025

Quei ragazzi uniti dalla fatica e dalla gioia di fare sport e le esclusioni che feriscono anche la pace

 

C'è un momento dell'incontro con i ragazzi dalla Galilea in Italia tanti anni fa, che è rimasto scolpito nella mia anima, un antidoto per me a questo periodo che cerca di risucchiare la speranza. Ogni spettacolo del Teatro Arcobaleno Beresheet LaShalom con Angelica è stato  per me un rigenerarsi nella riflessione sulle differenze che uniscono e nella speranza concreta di pace. Ma anche il calcio scriveva analoga storia con Yehuda e i giovani.

Perché anche lo sport sa far crescere insieme, con la sua bellezza, i suoi sacrifici. 

La fatica gioiosa di trovarsi per gli allenamenti, andando oltre ogni ostacolo, fisico e non solo, ci aveva conquistati tutti. Una sera, durante la tournée del teatro un giovane calciatore andò dall'allora presidente della Pro Patria Alberto Armiraglio  stringendo la maglia che gli era stata donata. Aveva gli occhi lucidi e gli disse, riconoscente: «Quando verrai in Israele, devi dormire a casa mia». 

Una maglia, delle scarpe, un tesoro di valore incredibile: l'emozione e la gratitudine appartenevano ai ragazzi ebrei, musulmani, cristiani.

Questo ricordo, stupendo come tutti quelli che riguardano la missione di pace - pace autentica, non quella che si esprime con gli slogan apparenti per un popolo, contro un altro - di Angelica e Yehuda, ha per me un sapore agrodolce oggi.

Non volevo credere ai miei occhi leggendo della petizione promossa da esponenti di un gruppo politico - e alcuni da me erano conosciuti e stimati - per sospendere gli atleti israeliani da tutte le competizioni internazionali.

Lo sport che unisce, lo sport strumento di pace? Dov'è finito?

La mia delusione è profonda. Ho anche firmato la petizione che si oppone a questa richiesta (QUI), ma soprattutto sono sconvolta e preoccupata, sempre di più. 

Il mio dolore cresce, pensando a chi ha potuto gareggiare in una competizione internazionale - quella dallo spirito più elevato che unisce i popoli, 53 anni fa - e non c'è più: gli atleti israeliani, seviziati e uccisi alle Olimpiadi di Monaco. 

lunedì 11 agosto 2025

«Non importa se l'immagine è falsa». La fatica perduta insieme ai dubbi, il livore e io giornalista che mi sento impotente

                                                                      

Immagini false. Le segnali alle persone che - ne sei certa perché le conosci, conosci la loro storia - le diffondono attraverso giornali o il classico post social con la vuota scritta "dal web": neanche, tragicamente, fa differenza, visto che la mancanza di controllo è una malattia dilagante. Il risultato alla segnalazione è quasi sempre il silenzio, se non il livore: che importa se la foto è falsa, la tragedia è vera.

Una tale indifferenza

Quindi io, per dimostrare una tragedia vera, devo usare immagini false? Sono autorizzato, anzi è auspicabile? 

Falso. Vero. Tutto insieme, con una tale indifferenza, che non mi fa solo male: mi incute timore per la direzione che sta prendendo questo mondo ricco di informazioni, sparse così confusamente da calzare a pennello con verità precostituite.

Dal Medioevo con prudenza

Non posso nascondere un senso di frustrazione e impotenza come persona e come giornalista. Come persona, perché in realtà l'importanza delle fonti mi è stata inculcata molto tempo addietro, dalla scuola e dall'università. Storia della filosofia medievale, mi ricordo all'Università Cattolica un'intera lezione su questo fronte.

L'ho anche esplorato nella mia piccola vita di ricerca. Ad esempio, sono una studiosa dei Plantageneti: da Eleonora di Aquitania in giù. Tutti inchinati davanti a Riccardo Cuor di Leone, di leggenda in leggenda (e anche di fumetto in fumetto), mentre Giovanni Senza Terra era il crudele e incapace. Come se la crudeltà fosse una caratteristica esclusiva del principe eternamente ultimo o eterno secondo (ne ho trattato nel mio libro L'importanza di essere secondi, edito da Nomos). Ci sono voluti secoli e attenzione a fonti differenti per mettere in crisi parziale questo impianto.

Le fonti vanno studiate tutte. Le fonti, non sono tutte uguali. Sembra una contraddizione. Ma le fonti vanno coltivate con l'acqua del dubbio e sboccia il discernimento. 

L'uguale credito e l'epilogo

Corro avanti, forse troppo, rispetto ai secoli tutt'altro che bui del bistrattato Medioevo. Gli anni oscuri del terrorismo in Italia, il mio tormento è sempre lo stesso: immagino se i giornali avessero dato uguale credito ai terroristi e allo Stato (anzi magari un po' di più ai primi), come sarebbe stata la narrazione. Ma soprattutto: quale sarebbe stato l'epilogo?

E qual era l'epilogo che sognavo, ma non in maniera ingenua, sul Medio Oriente oltre vent'anni fa? Quando grazie ad Angelica Calò Livné e al teatro di Beresheet LaShalom con i ragazzi ebrei, musulmani e cristiani, vedevo fiorire prove di pace capaci di mettere in fuga l'urlo della violenza?

Oggi, se non mi lascio andare alla disperazione, è ancora una volta grazie a lei. Ad Angelica in Israele, all'amica palestinese Samar, alle tante donne coraggiose che ascolto accanto a loro. 

Ho molto pudore a condividere notizie sul dramma che sta scuotendo due popoli, non solo perché cerco sempre di dedicare tempo al controllo, ma perché a volte anche una parola in un contesto giusto può provocare un dolore. E si sta soffrendo già troppo.

Tutt'attorno a me, però, non è così. Vedo calare sulle piattaforme e sui cuori implacabili giudizi, tanto livore, slogan allucinanti che invece di avvicinare due popoli li vogliono nemici per sempre.

Ripenso a quando ho cominciato a fare la giornalista, senza computer, senza un mare di informazioni a cui attingere; avverto la fatica nel reperire dettagli attendibili in quelle condizioni: adesso mi sembra un'operazione in scioltezza, quella che affrontavo in quegli anni. Mi schiaccia molto di più oggi, questa tempesta di notizie, scritte senza dubbi e con l'ombra di una sceneggiatura perfetta, in cui affondano subito artigli e denti famelici seminatori di odio. 

Quella fatica mi appare come un gioiello che abbiamo perso, spero non per sempre. Io provo ad accarezzarla ancora, fino a quando farò anche questo mestiere e fino a quando vivrò, e a non lasciarmi opprimere da questo clima di odio seminato da chi parla di pace ma "dimentica" un popolo. Spesso fallisco, ma quando ci riesco invece è grazie alle donne di Luce che nonostante le ferite mi spingono a guardare avanti. 

Con gli occhi a volte doloranti per le lacrime, ma non annebbiati dalle false certezze.

La fatica sarà perduta, e così i dubbi, e molto altro. Non può esserlo, del tutto, l'amore.

mercoledì 6 agosto 2025

Tutto ciò che non sapevo fare (ora possibile, anzi necessario)

 

Il disegno non fa per me: me lo sono sentita dire, me lo sono detta, dai primi pennelli o pastelli in mano, fino a scuola e oltre. Per forza: perché mi misuravo. Avevo un padre che disegnava in modo impeccabile e arguto; mia madre non sa cosa significhi andare oltre un bordo mezzo millimetro nel colorare mentre io lo faccio immancabilmente. 

Un disastro, la scultrice. Con la plastilina, evocavo mostri neanche spaventosi, goffi e un po' sciocchini, mentre papà, a ogni età, ci faceva capolavori. Il ricamo, lo rinfaccio ancora come lavoro forzato alle suore dell'oratorio quasi quanto "sbucciare" le uova sode all'asilo: nel secondo compito, sono quasi brava per forza e per amore, al primo ho detto allora addio. Nella casa paterna, tutte erano regine di lana e uncinetto: io ho creato masse informi fino alla resa.

Ho procurato anche un solenne spavento il primo giorno di scuola a mamma, quando vide che non scrivevo seguendo le righe, ma partivo da un punto e schizzavo a un altro. Non ci avrebbe mai creduto, a un mio futuro di scrittura, focalizzandosi sul mezzo: per fortuna, una salvezza che mi ha trasmesso proprio lei è la tastiera, prima della macchina da scrivere, poi mi sono impadronita facilmente del computer.

Non fanno per me, un sacco di cose, e me le sono precluse. Dove non potevo fare bene, con la certezza di un verdetto che mi schiacciava, mi sono ritratta per decenza. Non è stato facile, perché io sono curiosa per natura. Mi piace esplorare di tutto e questo mi fa anche perdere l'intensità di una strada, avendo energie umane. Potevo andare avanti a studiare il pianoforte, ma avrei tolto tempo ad altre esplorazioni. La mia chitarra mi ha sempre guardata in cagnesco: non è perché non sarai mai Jimmy Page, Eddie Van Halen o Joe Perry, che mi lascerai in preda alla polvere.

L'elenco è lungo, lunghissimo, ma grazie a Manuela Carnini, sono tornata a meditare sul disegno. L'ho fatto, per un crocevia di circostanze nelle medesime ore. Una bellissima, l'apertura di Casa Fridami e le opere piene di vita di Manuela, del suo talento profondo dell'anima, affiorato per diffondere una luce di cui in tanti abbiamo bisogno. L'altra, carica di tristezza, la morte di mio zio: un lutto che non potevo gridare, tanto non mi voleva o poteva ascoltare nessuno. Allora, ho lasciato perdere le matite che ho affidato a mamma per i suoi compiti e mi sono presa una confezione di pastelli. Di loro, mi piace la fusione tra morbidezza e decisione.

Quel giorno, ho cercato di esprimere così ciò che provavo, con la partenza dello zio dai nomi belli - come molti di quelli trasmessi dalla bisnonna lettrice - con le nostre lentiggini e i nostri occhi chiari, la passione comune per la musica espressa in maniere differenti. È un mondo che si chiude per sempre, in me, e non ho a chi dirlo veramente.

Ho provato a dire a me. Da allora, ho sfogliato pagine bianche e le ho riempite di colori. È stato importante capire che non bisogna per forza essere "bravi", ovvero obbedire a standard, parametri, paragoni. Che ogni cosa ci esprime per come la facciamo, noi e solo noi.

Tutto ciò che non sapevo fare, è diventato via via possibile. Anzi necessario. 

mercoledì 23 luglio 2025

Quando Ozzy mi ricordò mio papà (grazie a Bon Jovi)

 

In questa tempesta di commozione, con parallela scia di solidi idioti in trappola nei propri giudizi, mi ha elettrizzata un folle ricordo.

Negli anni ottanta ho vago ricordo di un articolo sullo stop di Ozzy Osbourne alla figlia Kelly sull’ascolto di Bon Jovi, ossessivo quindi pericoloso,

Io scuotevo via questo pensiero, ma in fondo ne condividevo un altro, soddisfatto: mio papà avrebbe tanto voluto vietarmi uno dei miei chiassosi album metallari. Ma forse temeva che mi avrebbe rafforzato. 

Allora, piango ma sorrido anche pensando quando Ozzy mi ricordò un po’ mio papà.


domenica 13 luglio 2025

Ciò che non si può non riconoscere della pioggia

 

Al suo primo parlottare, non l’avevamo riconosciuta. Muta da troppo tempo, a maggior ragione nella sua versione morbida d’estate.

Forse qualcuno trascinava un carrello o svuotava un catino di pensieri. 

Poi, ci ha trovati il suo profumo, con tutte le sfumature di ricordi, i giochi trattenuti nelle stanze, le scuse per uscire a respirarla tra gli alberi, voli di uccelli tra gioia e ripari. 

Quello che non possiamo non riconoscere della sua pioggia, è l’anima.

sabato 12 luglio 2025

Sarà un tocco di fisarmonica o un soffio leggero (ciao zio)

 



                                    Lo zio Dante Galli con mia madre Carla e sotto con Gipo Calloni


Gli occhi che si increspavano di malinconia quando viaggiavi indietro nel tempo o che si accendevano al balenare dei ricordi della Pro Patria. Come quando conversavi con Gipo Calloni nove anni fa, alla festa degli ottant'anni di mamma. Vi creai una torta comune, perché tu eri nato lo stesso giorno un esatto anno dopo: non volevo commettere ingiustizie, prima di tutto alla nonna Argia che vi aveva messi alla luce con ostentata precisione. Così uguali e così differenti, tu ragazzino vivace, mia mamma Carla fin troppo obbediente. 

È strano percorrere un lungo, lunghissimo percorso insieme, eppure alla fine portare dentro più sensazioni che parole. Quelle sopra menzionate, ma anche la tua emozione quando vedevi il mio pianoforte e ti ricordavi l'amata fisarmonica. Potevo scrivere 100mila articoli all'anno, ma gli unici che ti importavano erano quelli che leggevi al circolo con gli altri tifosi tigrotti.

E quella volta che all'ospedale quando sono nate le tue nipotine, ti dichiarasti bustocco davanti a un politico lì perché a sua volta diventato nonno.

Ma come zio, tu sei di Solbiate Olona.

Sì, è vero, ma quando procedi negli anni, conservi nel cuore come un talismano la tua infanzia, la tua adolescenza, e quelle scorrevano ancora lì, nei palazzi del Bustese.

Sei scivolato via così, senza che potessi salutarti: del resto, la zia Franca ti aspettava da troppo tempo. È tempo di riposarsi, dopo una vita di lavoro, e di riabbracciare tutti i tuoi cari lassù. Non dimenticarti, però, - tu che tutti i giorni scambiavi un saluto con tua sorella Carla - che lei ha tanto, tanto bisogno di sentirti ancora. Sarà un tocco di fisarmonica o un soffio leggero, ma al suo fianco resta sempre come tutte in quelle foto scattate insieme, per rendere ancora più orgogliosa nonna Argia dei suoi tesori.


venerdì 11 luglio 2025

Roma, trent'anni fa. La fatica, l'incoscienza e quell'esame di Stato che significava molto di più

 


Potrebbe sembrare un libro di Dumas, dilatato, trent’anni dopo. È invece solo qualche pagina di vita, strappata, ricucita, riletta, anche sofferta ma non rimangiata. Dopo l’esame scritto di aprile, il ritorno a Roma per il rovente orale del 12 luglio lungo il Tevere.


Faceva caldo, peggio del 38 luglio (cit) e un funzionavo poeta mi mostrava i suoi libri. Come allo scritto, trovai al mio fianco tra i colleghi d'esame Veltroni. 


Io volevo farcela, certo, ma non posso nascondere che un mio pensiero ricorrente era: se finisco presto, posso correre con mia madre al ristorante dell'albergo, quello dove mi avevano assicurato che spesso si recava Giannini, come pure altri giocatori della Roma. Un pizzico di incoscienza, aiuta a superare l'esame.


Del Principe, neanche l'ombra: i camerieri però mi attendevano con trepidazione per festeggiare.


Com'è andata?


Giornalista professionista. Come, Giannini non c'è?


Non è che io fossi indifferente. Ormai lavoravo da almeno sette anni, da quando ero ancora immersa nell’università; avevo cominciato sulle riviste di Milano, quindi al quotidiano. Avevo incontrato signori (no, minuscolo, qui il calcio non c'entra) e bastardi, un viatico della vita tanto impeccabile quanto da me inascoltato. 


Era un traguardo per me e per molti altri. Per mio padre e mia madre: lui aveva finto di scoraggiarmi e non crederci, ma gli occhi brillavano a ogni articolo. Mamma era anche più carica, perché trovava tutti i refusi ed era una soddisfazione non di minore entità.


E poi c'era Luca. Non poi, prima. Senza di lui, probabilmente i bastardi avrebbero vinto, perché non ero abbastanza forte da sola: nessuno lo è. Luca, morto nel cuore della primavera, senza nemmeno potergli dire che avevo superato il primo round degli esami. Che lo dovevo anche a lui.


Penso a tutti coloro che mi hanno guidata, a modo loro, verso quel traguardo. Al mio primo direttore, Mino Durand; a Gigi Gervasutti che mi sottopose con rapidità non frettolosa il contratto di articolo 1. A Roberto Ferrario, sempre (e chi scorderà mai vent'anni e passa dopo la prima pagina del giornale che ormai avevo lasciato, con la foto della copertina del mio libro d'esordio con papà, l'immagine del nonno in prima pagina). A Gianni Fusetti, che mi insegnò tanto nel lavoro e nella vita. Ad Antonio Porro, che mi forgiò nella cronaca a ogni ora con strumenti tecnologici zero. A Mauro Gavinelli, alla mia "Thelma" Nicoletta Bagliano, ai colleghi con i quali l'amicizia andava oltre il pressante tempo condiviso.


Il 12 luglio 1995 faceva caldissimo per me,, le domande erano impraticabili, mi sfiancava la fatica degli ultimi anni e io volevo uscire di lì. Ma senza insofferenza, perché Roma era casa.


Quando scappai fuori e mi diressi verso l'albergo, avvertii la gioia del traguardo superato, ma anche la sua inconsistenza. Perché incredibilmente, non ero sicura di voler diventare giornalista. Adesso che avevo tanto lottato, ma che avevo anche le prime cicatrici, tutta la mia incertezza cresceva e sarebbe poi dilagata.


Giornalista professionista, che cosa vuoi che importi a questo mondo dove ognuno è ciò che appare: ieri come oggi, solo con strumenti diversi. Che cosa vuoi che importi a me, ferita da 15 anni di cronaca prima e poi altrettanti di economia.


Di quei giorni, forse, invidio solo quel pizzico di sana incoscienza, di dover fare sul serio eppure correre a cercare i giocatori della Roma.


Oggi mi è indifferente pure il calcio, sgonfiato dopo essere stato punto dall'ago della consapevolezza: la sua vanagloria, gli slogan vuoti quando non belligeranti come se di guerra non ce non fosse abbastanza (e vera, non solo quella per cui si scende in piazza con slogan incoerenti), gli eccessi che rimbalzano sui tatuaggi. 


Oggi, mi sono indifferenti molte cose, perché alcune contano tantissimo.


Quel 12 luglio significa molto più di una formalità, un esame di stato per scrivere "professionista" su un tesserino di cui poi tanti si sarebbero fregati.


Significa porsi dubbi, interrogarsi su ciò che è giusto, non affrettarsi a scrivere la prima cosa incuranti di tutto, stare male. Sì, stare male, quando una storia ti scava dentro e non riesci a fuggirne, quando sbagli ferendo o ti rileggi e ti ritrovi accondiscendente come non volevi essere, quando non ti fai capire e molto altro. Quando pensi che devi aiutare a costruire un futuro per questo mestiere e vedi che nonostante i tuoi sforzi, dalle responsabilità troppi oggi fuggono: meglio lamentarsi, frignare e rifugiarsi in fragili comodità.


Ma un tesserino non esaurisce ciò che sei: lo guardo e so che posso fare qualsiasi cosa. E a qualsiasi cosa rinunciare, se non mi appartiene più. Tranne che a me stessa.


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Con Antonio Porro

Con la discendente del dottor Wilson in Scozia




Dibattito elettorale
I sindaci bastonano ma ogni tanto premiano (Gianfranco Tosi)





giovedì 3 luglio 2025

Ristretti spazi, vasti orizzonti

 

Il vecchio e il nuovo: capovolgiamo, il desiderio e il ricordo, le vecchie sorellanze, una bolla di sapone dissolta. 

Sono stata una viaggiatrice in lungo e in largo, ora i miei spazi si sono inesorabilmente ristretti, eppure gli orizzonti si sono dilatati.

Proprio per quando una socia della vita, sfoggia di averti intrappolata, tu sei già volata via.

mercoledì 4 giugno 2025

Per come sono

 

Quei pochi che mi ammirano senza sapere, quelli che mi criticano sapendo anche meno, i tanti ai quali non frega niente.

I pochissimi ai quali importa, eppure non possono immaginare la polvere sulle mie scarpe (tranne te)

Io sono quello che sono. Oltre quello che sono eppure meno.

L’unica da ammirare, sei tu 

domenica 18 maggio 2025

La mia pazzesca libertà

 



Proprio ora che mi mostrate come decidete tutto, che le ferite bruciano e ogni ora mi indica la mia impotenza.

Proprio ora che io piango nel silenzio, tanto a chi vuoi che importi, proprio ora che vivo di ora in ora per chi amo.

Tutti quei fili scompigliati per un istante si uniscono, prima di dissolversi. Io neanche ho capito cosa stia veramente avvenendo, eppure una calma assurda mi assale.

Un lampo in cui sento gridare: la mia pazzesca libertà. 

domenica 11 maggio 2025

In fuga

 

Ci sono tramonti che procurano più dolore, fitte inferte da profumi che ci sembrava di aver appena respirato e già stanno sfiorendo, silenzi rotti da canti che avevamo scordato. 

Tutto quel tempo, chissà dove si è riversato. Come risucchiato dall’aria in fuga, insieme a noi.



sabato 3 maggio 2025

Non voglio smettere di ballare (o forse sto iniziando)


 

In giorni in cui la musica sembra affievolirsi, risale (pre)potente il suo richiamo. Mentre cerco un respiro che accarezzi il tuo, affannato, vengo accarezzata da ritmi lontani e si affacciano lacrime, tra consapevolezza e gratitudine.

Chissà qual, chi era Marilerna. 

Dagli anni 80 in su, io che allora ero metallara e se dovevo ballare, lo facevo solo per abbracciare il mio fidanzato. 

Adesso, entro ed esco dentro tutti quei ritmi e penso che non voglio smettere di ballare.

O forse, sto iniziando. 

mercoledì 16 aprile 2025

La primavera, da un altro punto di vista

Io, con gli occhi sempre appiccicati al cielo e quando non lo raggiungo, ai rami più alti, mi fermo a contemplare la primavera, da un altro punto di vista.

Scendo dell'auto e la osservo, stupita da questo incantesimo al contrario. La pioggia ha trasformato il grigio marciapiede in un tappeto profondamente rosa e non posso negare la tentazione di tuffarmi dentro.

Lo riguardo stasera sullo schermo mentre sento che il vento scombina tutti i piani, ancora. 

La primavera, da un altro punto di vista: qualcosa che sboccia e scioglie poi la sua magnificenza, qualcosa che sembra finire eppure dà vita a un altro spettacolo.
Non importa quanto possa durare, né ci appartiene.

Ma è sempre la primavera, da un altro punto di vista.

martedì 15 aprile 2025

Mi manco


 Mi manco, senza un pensiero che non si lasci cullare da un fiume. Senza le carezze dei rami che mi riportano a un abbraccio combattuto dagli umani disumani.

Per fortuna c’è la pioggia a dissolvere timori di avere una sola strada da percorrere. 

Eppure mi manco, dalla prima risata gioiosa di bambina, che sapeva mettere in fuga la paura. Mi manca persino il mio tremare al buio, perché poi tu lo spezzavi con una parola.

Mi manco girovaga, forse perché sto bene seduta nel mio angolo di tepore a osservare chi amo.

Mi manco un po’ e un po’ ancora, mentre mi libero da veli e corazze.

domenica 6 aprile 2025

L'importanza di essere (insieme) - grazie Welfare Week


Sto aspettando di intervenire all'apertura della Welfare Week, Tradate. A Villa Truffini sento risuonare delle parole, da persone così diverse ma unite nel voler affrontare un lavoro di ricerca e confronto per la comunità. Per il suo ben-essere.
Me ne appunto alcune: incontro, cura, squadra, rete, comunità, scuola, gioia. Ognuna traccia una strada all'interno della mia relazione "Che cosa significa non essere primi, in un'epoca di cambiamenti" o meglio è come se le convocasse tutte per imprimere una direzione.
L'ambito distrettuale di Tradate ha dato vita a una settimana incredibile e sono grata al Comitato scientifico di avermi coinvolta.
Proprio riflettendo con loro, prima preparandomi e infine raccogliendo le voci di questa prima giornata, capisco che insieme non solo si fa di più (e mirabile è l'unione di questi Comuni, figure, categorie): si guadagna anche essenzialità, andando al cuore delle questioni che ci toccano da vicino.

Avevo tirato un filo da "L'importanza di essere secondi" a "L'ultimo dei Fuasté", due miei libri separati da dodici anni, ma scopro che c'è una parola di troppo, mentre sono accanto a Giuseppe Battarino, un riferimento imprescindibile nel mio cammino. Che se potessi riscrivere il libro di 13 anni fa, lo intitolerei semplicemente "L'importanza di essere". E se proprio mi chiedessero a tutti i costi di affiancare di nuovo un altro termine, aggiungerei "insieme".

Perché non c'è posizione, c'è solo quella bellezza di fare squadra per dare risposte agli altri e anche a noi stessi intanto. Così, afferro anch'io i barattoli e le emozioni, lezione che porge il Tavolo Disabilità, e ritiro per ultima quella che ho sentito risuonare prima: gioia.
Quello che si prova, quando si è, insieme, mi dico. La ripongo, tenendola d'occhio con un sorriso, e senza rinnegare le altre emozioni
Alla fine, credo nella canzone dei Queen quanto nella convinzione del mio capitano Robert Falcon Scott in Antartide: siamo campioni, insieme, non perché contiamo le medaglie.

Ma perché lotteremo fino alla fine. 

https://welfareweek.it


https://www.youtube.com/watch?v=3sHMAdRbYBA



domenica 23 marzo 2025

Il ragazzo bagnato dalla pioggia e tutto quello che corre dentro il cielo

 

Sto camminando lentamente sotto la pioggia, cercando di seguire una strada di senso, quando incrocio un ragazzo che pedala, carico di volantini: questi sono fradici, come lui, i suoi capelli, la camicia. Lui non sembra mostrare disagio. Mi fermo, affranta dall'impotenza. Io infatti non porto ombrelli, detestandoli cordialmente, e indosso solo un cappellino impermeabile rosso. 

Gli avrei dato il mio ombrello, l'avessi avuto, mi dico e una vocina dentro mi sussurra che devo piantarla di affliggermi. Ma ecco che incontro un anziano che ha posato lo sguardo sul giovane in fuga, poi su di me ed esclama: «Poveretto».

Spaesati entrambi, lo osserviamo e io so che questa scena non la dimenticherò.

Non dimenticherò neanche quello spiffero gelido nella stanza di pensieri, a cui non so dare un nome. E forse perché non posso dimenticarlo, si ripresenta.

Non scorderò il bacio a sorpresa a cui ho assistito più tardi: pioveva delicatamente, mentre io andavo da mio padre e vicino a una lapide ho visto due persone tenersi per mano, fermarsi ad un tratto e baciarsi con trasporto eppure con una sorta di pudore prima di riprendere il cammino tra coloro che stanno riposando.

Ho alzato la testa, in queste e altre occasioni, e ho visto un cielo che non voleva stare fermo, come a catturare ogni immagine sotto di lui. 

Un ragazzo bagnato dalla pioggia, una brezza gelida, un bacio che riscalda: tutto quello che corre dentro il cielo, resta dentro di me.

giovedì 20 marzo 2025

Non può essersi già sciolto l'inverno



Non si può già essere sciolto l'inverno, quel guscio tenero in cui sussurravo tutto senza timore. Adesso mi gridano addosso cose che non ho detto.

Ero in un letargo liberatorio e le emozioni scivolavano via senza lacrime. Adesso, sento già il pungere della primavera, il suo squarciare ogni mia protezione, mentre i colori dipingono confusamente il futuro, sparsi dalle gocce di pioggia. 

martedì 11 marzo 2025

Cristina, la Gabri e quel nocciolo bellissimo dalla finestra

 

Cristina e la Gabri: le seguo quasi ogni giorno sui social. Mi sento chiamata, accompagnata, coinvolta dal loro viaggio di figlia e mamma, di ruoli che il tempo sembra cambiare ma forse solo per mostrare la forza e la bellezza del legame.

Sentivo di aver bisogno di leggere il libro di Cristina, di entrare nel suo percorso di caregiver e anche di più nel mio. Quello che lei racconta, anche con un coraggio che io non ho. La tenerezza, la paura, il dolore, la speranza, la solitudine, la capacità di chiedere aiuto e anche di accettare quando non ce n'è pur senza arrendersi, la caduta, la risalita.

Coloro che guardano e non vedono, coloro che ti giudicano dalla loro vita diversa, tutti quelli che hanno soluzioni in tasca ma non possono cogliere nulla dentro le pieghe della tua anima: questi per me non hanno più importanza.

Quello che vive Cristina e che vivo a modo mio, è ciò che conta oggi e oltre il tempo. 

È così vero che dentro ogni crepa nascono nuove parti di noi.

Ho letto il suo libro e lo rileggerò, lo sfoglierò ancora, anche saltando da un capitolo all'altro come si fa con le storie che diventano parte di te.

Soprattutto, guarderò fuori dalla finestra con la mamma - anche nei momenti più duri, quelli che nessuno può capire - e vedrò ora un pino, ora una piantina di primuleM qualche volta mi sembrerà di vedere il nocciolo bellissimo di Cristina e Gabri.

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venerdì 28 febbraio 2025

Un anno e più in cammino da forestieri

 

In queste ore aspettavo l'arrivo del libro "L'ultimo dei Fuasté", storia affiorata sulla strada della vita professionale che non so scindere dal resto. Tutti quegli incontri nelle imprese, quelle sensazioni che non potevo affidare a imperturbabili articoli, mi hanno avvolta fino ad arrivare qui. E ad andare oltre ancora.

Pochi giorni fa a Novara con il Circolo dei Lettori, guidato da Paola Turchelli, un'altra tappa di quelle che hanno reso il viaggio ricco di scoperte. Nel Castello ero già stata per "Chi ha bisogno di Willy" in una sera d'estate.

Sono volati via mondi e pagine anche della mia vita da allora. In un'atmosfera calorosa, mercoledì ho dialogato con lo scrittore Giuseppe Battarino, che aveva già condiviso diverse presentazioni e soprattutto mi ha donato la sua meravigliosa postfazione. Lui e Michele Tronconi, autore della prefazione, sono due pilastri nella costruzione di questo sogno.

Da un anno - e in realtà di più, nella vita - cammino da forestiera: i volti, le espressioni e i begli interventi come quello di Rocco Zoccali a Novara mi hanno offerto spunti e motivazione. Hanno fatto sentire a casa, anche una fuasté.


giovedì 27 febbraio 2025

La farfalla e il mozzicone

 

Si chiama Vanessa, come mi ha ricordato il veterinario oggi. Mi sono accorta di lei solo dopo aver incrociato una presenza spiacevole: quella di un mozzicone. Lei era lì, nel prato, a pochi centimetri e sfuggiva allo sguardo con le ali un poco ripiegate.

Quando mi sono avvicinata, le ha mostrate nella loro meravigliosa completezza. Mi sono interrogata se non potesse più volare e cercando di non arrecarle disturbo, l'ho sfiorata con un filo d'erba: ha compiuto alcuni passi, ma non ha spiccato il volo.

Una farfalla bellissima, tanto ogni particolare entrava nel cuore: che sfumature e quel testolino irresistibile. 

Di solito, mi ricorda la piccola Chiara, ambasciatrice dei suoi messaggi di vita, e anche questa volta è così. Tuttavia, ora quelle macchie arancioni assumono per me un significato ulteriore, la chioma dei piccoli Bibas

Vanessa ha fatto la sua comparsa in questo anticipo illusorio di primavera come altre volte. Quanto vive una farfalla? Pochissimo, lo sappiamo: ci metterà di più quel mozzicone a dissolversi.

Ma il suo pensiero ispira con la bellezza in un giorno di sole precipitoso, oltre i confini del tempo. Ricorda come possiamo essere e che non possiamo, non dobbiamo lasciarci frenare dalla bruttezza più profonda, quella del cuore, che spinge ad atti detestabili, quanto non apertamente orribili. 

Non ti troverò più domani, Vanessa; forse troverò altre tue simili o forse il mozzicone, in attesa degli ultimi lampi di inverno. Starà a me, finché volerò in questo mondo, essere ambasciatrice dei tuoi colori di vita.

martedì 25 febbraio 2025

Tieni il tempo (mica separate alla nascita)

 

Sto cercando invano di impostare passi in Repetto Style, ma tutta la ciurma qui mi insegue: persino tu, mamma. Ti piazzo le cuffie sulla testa e tu ti senti scorrere dentro un ritmo che non ci possiamo permettere, eppure non ci vuole escludere.

A tutti quelli che ci credono fortunate o sciocche, che ci invidiano, che ci compiangono, che ci accusano, che - sinteticamente - non ci conoscono, possiamo nonostante tutto cantare così.

Tieni il tempoCon le gambe e con le maniTieni il tempoNon fermarti fino a domaniTieni il tempo

E che importa se non abbiamo più fiato, se ci reggiamo malamente sulle gambe e le mani tremano, se parliamo senza farci capire o non siamo capaci di ascoltare, se ci diciamo tutto tranne ciò che dovremmo.

Più di tutto: che oltraggio, proprio a me che al tempo non credo. Ma mi tolgo le cuffie e le infilo proprio a te, cantando:

Tieni il tempo.

Basta che tu sorrida. Che l'ultimo cretino che voleva alzare la voce con me, si è zittito forse perché ha visto che tanto tenevo le cuffie. Che quella persona che pensava di calpestarci, ci ha aiutato a risorgere. Che tutte le follie dell'universo ci girano soltanto attorno, ma non riescono a entrare nella nostra anima.

E poi guarda, nonostante tu sia perfetta e indubbiamente bellissima, non sembriamo separate alla nascita?Ah no, nessuno ci ha separate alla nascita.

Tieni il tempo, mamma.