mercoledì 23 luglio 2025

Quando Ozzy mi ricordò mio papà (grazie a Bon Jovi)

 

In questa tempesta di commozione, con parallela scia di solidi idioti in trappola nei propri giudizi, mi ha elettrizzata un folle ricordo.

Negli anni ottanta ho vago ricordo di un articolo sullo stop di Ozzy Osbourne alla figlia Kelly sull’ascolto di Bon Jovi, ossessivo quindi pericoloso,

Io scuotevo via questo pensiero, ma in fondo ne condividevo un altro, soddisfatto: mio papà avrebbe tanto voluto vietarmi uno dei miei chiassosi album metallari. Ma forse temeva che mi avrebbe rafforzato. 

Allora, piango ma sorrido anche pensando quando Ozzy mi ricordò un po’ mio papà.


domenica 13 luglio 2025

Ciò che non si può non riconoscere della pioggia

 

Al suo primo parlottare, non l’avevamo riconosciuta. Muta da troppo tempo, a maggior ragione nella sua versione morbida d’estate.

Forse qualcuno trascinava un carrello o svuotava un catino di pensieri. 

Poi, ci ha trovati il suo profumo, con tutte le sfumature di ricordi, i giochi trattenuti nelle stanze, le scuse per uscire a respirarla tra gli alberi, voli di uccelli tra gioia e ripari. 

Quello che non possiamo non riconoscere della sua pioggia, è l’anima.

sabato 12 luglio 2025

Sarà un tocco di fisarmonica o un soffio leggero (ciao zio)

 



                                    Lo zio Dante Galli con mia madre Carla e sotto con Gipo Calloni


Gli occhi che si increspavano di malinconia quando viaggiavi indietro nel tempo o che si accendevano al balenare dei ricordi della Pro Patria. Come quando conversavi con Gipo Calloni nove anni fa, alla festa degli ottant'anni di mamma. Vi creai una torta comune, perché tu eri nato lo stesso giorno un esatto anno dopo: non volevo commettere ingiustizie, prima di tutto alla nonna Argia che vi aveva messi alla luce con ostentata precisione. Così uguali e così differenti, tu ragazzino vivace, mia mamma Carla fin troppo obbediente. 

È strano percorrere un lungo, lunghissimo percorso insieme, eppure alla fine portare dentro più sensazioni che parole. Quelle sopra menzionate, ma anche la tua emozione quando vedevi il mio pianoforte e ti ricordavi l'amata fisarmonica. Potevo scrivere 100mila articoli all'anno, ma gli unici che ti importavano erano quelli che leggevi al circolo con gli altri tifosi tigrotti.

E quella volta che all'ospedale quando sono nate le tue nipotine, ti dichiarasti bustocco davanti a un politico lì perché a sua volta diventato nonno.

Ma come zio, tu sei di Solbiate Olona.

Sì, è vero, ma quando procedi negli anni, conservi nel cuore come un talismano la tua infanzia, la tua adolescenza, e quelle scorrevano ancora lì, nei palazzi del Bustese.

Sei scivolato via così, senza che potessi salutarti: del resto, la zia Franca ti aspettava da troppo tempo. È tempo di riposarsi, dopo una vita di lavoro, e di riabbracciare tutti i tuoi cari lassù. Non dimenticarti, però, - tu che tutti i giorni scambiavi un saluto con tua sorella Carla - che lei ha tanto, tanto bisogno di sentirti ancora. Sarà un tocco di fisarmonica o un soffio leggero, ma al suo fianco resta sempre come tutte in quelle foto scattate insieme, per rendere ancora più orgogliosa nonna Argia dei suoi tesori.


venerdì 11 luglio 2025

Roma, trent'anni fa. La fatica, l'incoscienza e quell'esame di Stato che significava molto di più

 


Potrebbe sembrare un libro di Dumas, dilatato, trent’anni dopo. È invece solo qualche pagina di vita, strappata, ricucita, riletta, anche sofferta ma non rimangiata. Dopo l’esame scritto di aprile, il ritorno a Roma per il rovente orale del 12 luglio lungo il Tevere.


Faceva caldo, peggio del 38 luglio (cit) e un funzionavo poeta mi mostrava i suoi libri. Come allo scritto, trovai al mio fianco tra i colleghi d'esame Veltroni. 


Io volevo farcela, certo, ma non posso nascondere che un mio pensiero ricorrente era: se finisco presto, posso correre con mia madre al ristorante dell'albergo, quello dove mi avevano assicurato che spesso si recava Giannini, come pure altri giocatori della Roma. Un pizzico di incoscienza, aiuta a superare l'esame.


Del Principe, neanche l'ombra: i camerieri però mi attendevano con trepidazione per festeggiare.


Com'è andata?


Giornalista professionista. Come, Giannini non c'è?


Non è che io fossi indifferente. Ormai lavoravo da almeno sette anni, da quando ero ancora immersa nell’università; avevo cominciato sulle riviste di Milano, quindi al quotidiano. Avevo incontrato signori (no, minuscolo, qui il calcio non c'entra) e bastardi, un viatico della vita tanto impeccabile quanto da me inascoltato. 


Era un traguardo per me e per molti altri. Per mio padre e mia madre: lui aveva finto di scoraggiarmi e non crederci, ma gli occhi brillavano a ogni articolo. Mamma era anche più carica, perché trovava tutti i refusi ed era una soddisfazione non di minore entità.


E poi c'era Luca. Non poi, prima. Senza di lui, probabilmente i bastardi avrebbero vinto, perché non ero abbastanza forte da sola: nessuno lo è. Luca, morto nel cuore della primavera, senza nemmeno potergli dire che avevo superato il primo round degli esami. Che lo dovevo anche a lui.


Penso a tutti coloro che mi hanno guidata, a modo loro, verso quel traguardo. Al mio primo direttore, Mino Durand; a Gigi Gervasutti che mi sottopose con rapidità non frettolosa il contratto di articolo 1. A Roberto Ferrario, sempre (e chi scorderà mai vent'anni e passa dopo la prima pagina del giornale che ormai avevo lasciato, con la foto della copertina del mio libro d'esordio con papà, l'immagine del nonno in prima pagina). A Gianni Fusetti, che mi insegnò tanto nel lavoro e nella vita. Ad Antonio Porro, che mi forgiò nella cronaca a ogni ora con strumenti tecnologici zero. A Mauro Gavinelli, alla mia "Thelma" Nicoletta Bagliano, ai colleghi con i quali l'amicizia andava oltre il pressante tempo condiviso.


Il 12 luglio 1995 faceva caldissimo per me,, le domande erano impraticabili, mi sfiancava la fatica degli ultimi anni e io volevo uscire di lì. Ma senza insofferenza, perché Roma era casa.


Quando scappai fuori e mi diressi verso l'albergo, avvertii la gioia del traguardo superato, ma anche la sua inconsistenza. Perché incredibilmente, non ero sicura di voler diventare giornalista. Adesso che avevo tanto lottato, ma che avevo anche le prime cicatrici, tutta la mia incertezza cresceva e sarebbe poi dilagata.


Giornalista professionista, che cosa vuoi che importi a questo mondo dove ognuno è ciò che appare: ieri come oggi, solo con strumenti diversi. Che cosa vuoi che importi a me, ferita da 15 anni di cronaca prima e poi altrettanti di economia.


Di quei giorni, forse, invidio solo quel pizzico di sana incoscienza, di dover fare sul serio eppure correre a cercare i giocatori della Roma.


Oggi mi è indifferente pure il calcio, sgonfiato dopo essere stato punto dall'ago della consapevolezza: la sua vanagloria, gli slogan vuoti quando non belligeranti come se di guerra non ce non fosse abbastanza (e vera, non solo quella per cui si scende in piazza con slogan incoerenti), gli eccessi che rimbalzano sui tatuaggi. 


Oggi, mi sono indifferenti molte cose, perché alcune contano tantissimo.


Quel 12 luglio significa molto più di una formalità, un esame di stato per scrivere "professionista" su un tesserino di cui poi tanti si sarebbero fregati.


Significa porsi dubbi, interrogarsi su ciò che è giusto, non affrettarsi a scrivere la prima cosa incuranti di tutto, stare male. Sì, stare male, quando una storia ti scava dentro e non riesci a fuggirne, quando sbagli ferendo o ti rileggi e ti ritrovi accondiscendente come non volevi essere, quando non ti fai capire e molto altro. Quando pensi che devi aiutare a costruire un futuro per questo mestiere e vedi che nonostante i tuoi sforzi, dalle responsabilità troppi oggi fuggono: meglio lamentarsi, frignare e rifugiarsi in fragili comodità.


Ma un tesserino non esaurisce ciò che sei: lo guardo e so che posso fare qualsiasi cosa. E a qualsiasi cosa rinunciare, se non mi appartiene più. Tranne che a me stessa.


To start with





Con Antonio Porro

Con la discendente del dottor Wilson in Scozia




Dibattito elettorale
I sindaci bastonano ma ogni tanto premiano (Gianfranco Tosi)





giovedì 3 luglio 2025

Ristretti spazi, vasti orizzonti

 

Il vecchio e il nuovo: capovolgiamo, il desiderio e il ricordo, le vecchie sorellanze, una bolla di sapone dissolta. 

Sono stata una viaggiatrice in lungo e in largo, ora i miei spazi si sono inesorabilmente ristretti, eppure gli orizzonti si sono dilatati.

Proprio per quando una socia della vita, sfoggia di averti intrappolata, tu sei già volata via.