Qualche, frizzante volta mi infurio perché decidi tutto Tu. Io ho scelto una strada e tu me ne fai balenare un’altra. E ripetutamente, quando meno me l’aspetto, così mi trovo in un’altra direzione.
La tua.
Qualche, frizzante volta mi lascio andare a un caldo sorriso, perché decidi tutto Tu. Io non sapevo dove andare ed ecco, tu mi indicavi ogni passo. La pelle calda per il sole, i piedi che accelerano.
Sì, lo so, tengo alla mia libertà. Eppure decidi Tu.
Appunti di Viaggio di Marilena Lualdi Tra natura, dubbi e musica (Nature, music and doubts) (Questo sito si serve dei cookie per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'uso dei cookie)
venerdì 29 novembre 2019
giovedì 28 novembre 2019
La mia maestra, in punta di piedi
La mia maestra si chiama Licia. Può sembrare l’inizio del diario di una bambina delle elementari e forse è proprio così.
La mia maestra era entrata in punta di piedi nella mia vita, al secondo anno addirittura, perché prima era in maternità. Io mi ero affezionata alla mia prima insegnante e quindi ero un po’ timorosa.
Se oggi scrivo o ci provo, è perché lei c’è stata, prima ancora di quella macchina da scrivere che mi aiutò a plasmare la mia libertà.
Scrivere in ordine, non era la mia specialità. Ma provare a essere libera, sì, mi piaceva.
La mia maestra se n’è andata in punta di piedi: l’ho scoperto leggendo un manifesto nel buio del viale.
Ma forse qualcuno me l’aveva preannunciato.
Un mio compagno più grande, che tutti pensavano sarebbe rimasto bambino. Prima che ci fossero programmi o insegnanti di sostegno, lui entrò nella nostra classe. C’erano dei genitori poco convinti - mi ricordò un’amica, episodio citato in questi cassetti -, ma la mia maestra replicò con cortese fermezza: sono i miei alunni che devono decidere.
E noi alla prospettiva di accogliere un nuovo compagno alzammo tutti la mano. Solo più tardi qualcuno avrebbe capito che si trattava della nostra prima votazione.
Non l’avevo visto più per quarant’anni, se non alla finestra, ma settimana scorsa l’ho incontrato sotto casa sua. Il suo sorriso, oscurava ogni ruga, e gli ho dato una carezza, come fossimo ancora bimbi.
Mi stava dicendo qualcosa, con quegli occhi.
Che la nostra maestra sarebbe andata via, in punta di piedi.
La mia maestra era entrata in punta di piedi nella mia vita, al secondo anno addirittura, perché prima era in maternità. Io mi ero affezionata alla mia prima insegnante e quindi ero un po’ timorosa.
Se oggi scrivo o ci provo, è perché lei c’è stata, prima ancora di quella macchina da scrivere che mi aiutò a plasmare la mia libertà.
Scrivere in ordine, non era la mia specialità. Ma provare a essere libera, sì, mi piaceva.
La mia maestra se n’è andata in punta di piedi: l’ho scoperto leggendo un manifesto nel buio del viale.
Ma forse qualcuno me l’aveva preannunciato.
Un mio compagno più grande, che tutti pensavano sarebbe rimasto bambino. Prima che ci fossero programmi o insegnanti di sostegno, lui entrò nella nostra classe. C’erano dei genitori poco convinti - mi ricordò un’amica, episodio citato in questi cassetti -, ma la mia maestra replicò con cortese fermezza: sono i miei alunni che devono decidere.
E noi alla prospettiva di accogliere un nuovo compagno alzammo tutti la mano. Solo più tardi qualcuno avrebbe capito che si trattava della nostra prima votazione.
Non l’avevo visto più per quarant’anni, se non alla finestra, ma settimana scorsa l’ho incontrato sotto casa sua. Il suo sorriso, oscurava ogni ruga, e gli ho dato una carezza, come fossimo ancora bimbi.
Mi stava dicendo qualcosa, con quegli occhi.
Che la nostra maestra sarebbe andata via, in punta di piedi.
mercoledì 27 novembre 2019
Il Tigrottino per mano: adesso sei forte, corri
Più di due anni per agguantare mezzo secolo. Quello di un giornale che ha accompagnato i tifosi allo stadio Speroni e del Pro Patria Club.
Il Tigrottino...
L'ho sempre tenuto tra le mani, da tifosa. Poi la Pro Patria è diventata un lavoro, anche: dove mantenere la freddezza, il distacco, era la vera sfida, roba che nessuna remuntada sembrava possibile, eri già battuto in partenza nel frenare la tensione. Alla mia professione in tutti questi (trenta) anni ho affiancato anche la gioia di scrivere su questi fogli preziosi.
Mi ricordo quando ho scritto la prima volta qui, l'emozione,grazie a Luca Cirigliano, mio fratello anche di calcio, e alla squadra che si è creata. Quando con lui, Flavio Vergani e tutti i ragazzi abbiamo anche fatto nascere un libro dal nulla in pochi giorni, per la promozione!
Due anni e mezzo fa, mi hanno chiesto di prendere per mano questo giornale. Ho accettato di fare il direttore, pur conscia delle incombenze professionali che esigevano sempre più tempo ed energie. Ero nel mezzo di una rivoluzione di vita, che mi ha chiesto tanto e tanto mi ha dato.
Il Tigrottino era un hobby, una passione e le passioni si trattano bene. Io non sono del club, sono un'anarchica per tutto e in tutto, ma la parola riconoscenza hanno cercato di insegnarmela a casa.
Per questo motivo ho detto:
Tigrottino, ti conduco ai tuoi primi cinquant'anni costi quel che costi.
Anche se capiti nel fine settimana fitto di impegni professionali, anche se sono via per un lavoro in un albergo e devo dedicarti le ore della notte prima di ripartire. Anche se la famiglia brontola: ci siamo anche noi.
Ma non importa.Ti ho preso per mano e anche tu hai preso me con garbo insegnandomi molto: mi hai mostrato più di tante palestre la natura umana, lo spirito di squadra, le difficoltà, le gioie e le delusioni. Come uno specchio che restituiva, moltiplicandolo, le emozioni della mia Pro.
Abbiamo camminato insieme, e accanto a noi c'erano tante persone. Alcune, non ci sono più, come Giovanni Garavaglia, l'ultimo suo messaggio letto e riletto su un treno durante una trasferta di lavoro: non lo dimenticherò mai.
Sono grata al presidente Roberto Centenaro, che ha dato sempre massimo supporto. Al suo successore Giovanni Pellegatta. A chi nel club è stato sempre dalla nostra parte e devo fare una citazione speciale per Gianni Rigon e per Giannino Gallazzi.
E alla squadra. A tutta la squadra. Non cito nessuno, perché non voglio tralasciare un solo nome: io parto da quel 2013, quando un gruppo di giovani si cimentò in questa nuova avventura: prendere un giornale storico e metterci tutto il nostro entusiasmo. E ciascuno di loro per me è stato importante a modo suo.
Adesso, io devo proprio andare per la mia strada, perché ho nuovi impegni che si stanno affacciando e non posso più tralasciare i miei progetti. In questa riorganizzazione, ho scelto di dire addio anche alla direzione del Tigrottino. E ho lavorato il più possibile perché potesse essere affidato a un giovane. Ed eccone uno che un giorno spero faccia il mio mestiere, Alessandro Bianchi, come Sveva Vergani.
Devo prendere la mia strada con determinazione e lo faccio, felice di essere riuscita a giungere a questo traguardo con il Tigrottino, navigando su mari anche mossi ma sempre con dedizione e fiducia. Settimana scorsa, al museo della Pro Patria, ho visto un nostro numero con una copertina magica davanti alla Coppa e ho avvertito i brividi. Come quelli "di storia" nella copertina che in questi anni mi è stata più cara, quella della partita sotto la neve con la Carrarese. Ed ecco la copertina di settimana scorsa... L'ultima, be', riguarderà il derby con il Novara: ci vogliono i fuochi di artificio per un passo importante. Sono sicura che il grande Daniele De Grandis - amico prezioso del giornale - è d’accordo.
Al cinquantesimo anno sei arrivato, Tigrottino, e puoi continuare la tua strada. Sei forte, corri!
Io proseguo la mia anche allo stadio Speroni, con Varesenoi, i miei colleghi con cui 14 anni fa ho deciso di lasciare una via sicura per dipingere un sogno.
Che sia giornalismo o Pro Patria e persino altro, a me sognare piace ancora moltissimo.
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lunedì 25 novembre 2019
Due, tre cose sulla violenza contro la violenza alle donne
Sono stata poco attenta, finché non ho potuto che soccombere di fronte alla giornata contro la violenza sulle donne.
Perché, da donna, ho subìto abbastanza offese da sentir bruciare la pelle, del corpo e dell’anima.
Ma in questi anni mi sono sentita dire da uomini e donne: eh, che sarà mai di così grave. Tanto che vedo violenti spacciati per alfieri. Non vedo pericoli per me, perché non lascerò che più nessuno possa dire o fare be’.
Vedo pericoli per un mondo costellato di ipocrisia. Se pensate che non sia così grave che un uomo dia due schiaffi a una donna, se pensate che mica sarà così grave che dopo aver pianto lacrime da coccodrillo riveli la sua vera natura e cerchi di farle terra bruciata attorno.
Be’, risparmiatevi il vostro sdegno da copertina.
Io vorrei dire due, tre cose sulla giornata contro la violenza sulla donna. Chi alza le mani su una donna, non diventa alfiere.
È solo uno stronzo. E chi lo sostiene, con un pensiero o una risata, è della sua stessa materia.
Perché, da donna, ho subìto abbastanza offese da sentir bruciare la pelle, del corpo e dell’anima.
Ma in questi anni mi sono sentita dire da uomini e donne: eh, che sarà mai di così grave. Tanto che vedo violenti spacciati per alfieri. Non vedo pericoli per me, perché non lascerò che più nessuno possa dire o fare be’.
Vedo pericoli per un mondo costellato di ipocrisia. Se pensate che non sia così grave che un uomo dia due schiaffi a una donna, se pensate che mica sarà così grave che dopo aver pianto lacrime da coccodrillo riveli la sua vera natura e cerchi di farle terra bruciata attorno.
Be’, risparmiatevi il vostro sdegno da copertina.
Io vorrei dire due, tre cose sulla giornata contro la violenza sulla donna. Chi alza le mani su una donna, non diventa alfiere.
È solo uno stronzo. E chi lo sostiene, con un pensiero o una risata, è della sua stessa materia.
domenica 24 novembre 2019
Tutto quello che così insistentemente
Tieni delicatamente tra le mani un sogno, poi lo stringi e ti appare un progetto. Tutti pensano di sviarti spiegandoti che è una follia. Ti parlano calmi e ragionevoli, come a una bambina.
E quando te ne stai quasi persuadendo, illudendoti così di essere grande, arriva una telefonata che tu pensi di aver sbagliato a raccogliere. Devi essere stata tu, quei lapsus di whatspp che fa partire chiamate non volute.
Finché devi rispondere e ti rendiconto che ti stavano cercando davvero.
Come il tuo sogno, rannicchiato in un cassetto.
Tutto quello che così insistentemente ti chiama, può salvarti o rovinarti. Ma sempre, fortunatamente, cambiarti.
sabato 23 novembre 2019
E ancora la pioggia
Ancora la pioggia. Sbuffi, per scrollartela via, ma ne assaggi involontariamente il sapore. Basta una goccia, una goccia soltanto, ancora più forte nella notte.
Era proprio l'ultima cosa che doveva stupirti, quelle gocce tutte uguali, ispide e fredde dell'inverno. Invece no, ti appaiono una carezza mentre corri verso casa. Uno schiaffo per il clochard maldestramente coperto dai cartoni, lui che rifugio non ha.
Il freddo che senti, conficcato nell'anima, non sai nemmeno tua o dell'altra povera anima.
Sai solo dirti: e ancora la pioggia. Basta una goccia e ancora ti lasci stupire dalla (sua) umanità.
Era proprio l'ultima cosa che doveva stupirti, quelle gocce tutte uguali, ispide e fredde dell'inverno. Invece no, ti appaiono una carezza mentre corri verso casa. Uno schiaffo per il clochard maldestramente coperto dai cartoni, lui che rifugio non ha.
Il freddo che senti, conficcato nell'anima, non sai nemmeno tua o dell'altra povera anima.
Sai solo dirti: e ancora la pioggia. Basta una goccia e ancora ti lasci stupire dalla (sua) umanità.
venerdì 22 novembre 2019
Un giorno solo
Spesso ficco tre giorni in uno, come per essere sicura di vivere davvero.
Adesso mi preparo a vivere un giorno solo, per vivere davvero.
Adesso mi preparo a vivere un giorno solo, per vivere davvero.
giovedì 21 novembre 2019
Passeggiando in agosto
Sull’autunno nella città che non conoscerò mai abbastanza, si riversa con discrezione una scia di luce. La mattina è ancora morbida, i passi risuonano senz’affanno.
Le foglie afferrano quella luce e vi giocano, come in una pausa nella corsa della vita.
Lascio cadere la sciarpa e rido, perché penso alla frase di un amico allo stadio qualche giorno fa. Quasi facevano fatica a vedermi il volto tanto mi proteggevo dal freddo.
- Marilù, tu hai caldo solo in agosto.
E adesso rido, rido più forte. Perché non c’è voglia di correre, io sto passeggiando in agosto.
Le foglie afferrano quella luce e vi giocano, come in una pausa nella corsa della vita.
Lascio cadere la sciarpa e rido, perché penso alla frase di un amico allo stadio qualche giorno fa. Quasi facevano fatica a vedermi il volto tanto mi proteggevo dal freddo.
- Marilù, tu hai caldo solo in agosto.
E adesso rido, rido più forte. Perché non c’è voglia di correre, io sto passeggiando in agosto.
mercoledì 20 novembre 2019
Nemo me impune lacessit
Quando si insinua la nebbia dell'umanità, mi appare nella mente questo grido orgoglioso che ammonisce sul castello di Edimburgo.
Nessuno mi sfida impunemente.
Ci sono tanti esercizi di potere, necessari soprattutto a chi potere non ha, per fortuna. C'è chi prova a soffocarti e questo è bellissimo, perché se lo fa, è perché tu respiri: ma intensamente, tutto attorno a te.
Perché tu vivi.
C'è chi prova a schiacciarti, e siccome chi si comporta così è un vile solitamente, lo fa di notte, cioè in maniera oscura, cercando di sorprenderti.
Una lezione che la Scozia ha già smantellato da tempo con le sue leggende. Quando gli invasori capirono di poter vincere solo con l'inganno, non finì come a Troia. Questo perché la natura, la vita, si ribellarono.
Scesero a piedi scalzi nella vallata mentre gli scozzesi dormirono, per vigliaccheria fino in fondo. I cardi, però, creature tra le più umili e orgogliose al contempo, decisero che ciò non poteva accadere. Difatti, gli invasori furono punti dalle spine e gridarono di dolore.
Al che i guerrieri, quelli veri, si svegliarono, si difesero e li sconfissero.
Nessuno mi sfida impunemente.
Questo per me rappresenta il fiero motto. Non vendicarsi, non fare scenate, anche se vedi tutto nitidamente.
Piuttosto, saper attendere e saper combattere al momento giusto. Perché c'è sempre un cardo che ti mette sul chi va là, ma poi tocca a te decidere come sconfiggere chi è un vigliacco, non un guerriero.
martedì 19 novembre 2019
La macchina della libertà
Fremevo per agguantare la patente e un'auto, che erano sinonimo di libertà. Non avevo compreso, nemmeno lontanamente, che era già tra le mie mani, la macchina della libertà.
Questo cassetto si apre, alle immagini intrecciate alla vita di Olivetti.
Erede di una dattilografa, ne avevo afferrato solo pallidi riflessi, eppure mi erano bastati per illuminare la vita.
Una macchina da scrivere, da tempestare di sogni. E quando è arrivato il computer, ho cercato invano di ribellarmi. I sogni, tanto, si moltiplicavano con quello strumento apparentemente magico.
Ma la prima che mi ha permesso di volare lontano, è quella macchina che mi spingeva a correre e poi mi costringeva innumerevoli volte a pensare, a prendere un respiro su una lettera, a cedere al dispiacere di cancellare per scoprire di poter ripartire più forti.
La macchina della libertà, aveva una musica che non riusciva a perdersi. E anch'io mi sono ritrovata così a lungo, che oggi mi sembra di non essermi smarrita, ancora.
Questo cassetto si apre, alle immagini intrecciate alla vita di Olivetti.
Erede di una dattilografa, ne avevo afferrato solo pallidi riflessi, eppure mi erano bastati per illuminare la vita.
Una macchina da scrivere, da tempestare di sogni. E quando è arrivato il computer, ho cercato invano di ribellarmi. I sogni, tanto, si moltiplicavano con quello strumento apparentemente magico.
Ma la prima che mi ha permesso di volare lontano, è quella macchina che mi spingeva a correre e poi mi costringeva innumerevoli volte a pensare, a prendere un respiro su una lettera, a cedere al dispiacere di cancellare per scoprire di poter ripartire più forti.
La macchina della libertà, aveva una musica che non riusciva a perdersi. E anch'io mi sono ritrovata così a lungo, che oggi mi sembra di non essermi smarrita, ancora.
Una macchina da scrivere vista in Scozia 4 anni fa
lunedì 18 novembre 2019
Dalla parte giusta
Con un campione come Bergomi di fronte, di quelli saggi senza dotte lezioni, io corro indietro. E mi pesa più che mai pensare come io fossi dalla parte sbagliata.
A 14 anni avevo tutto il diritto di sbagliare. Di piangere mentre tutti brindavano, perché io amavo il Brasile. Il suo gioco, i suoi colori, i profumi e i paesaggi che avevo vissuto solo nei racconti di mio padre.
Ho confessato nel mio libro sui secondi come avessi le scatole girate anche nella finale. Anche se la Germania non mi accendeva allora alcuna simpatia. Perché chi mandava a casa il Brasile, non poteva non essere punito.
Questa ossessione per il Sudamerica poi si è placata e stasera ascoltando il campione del mondo Bergomi a Como, sentivo quasi il desiderio di tornare sui miei passi ed espiare. Come se potessi recuperare la gioia perduta.
Ero dalla parte sbagliata. O meglio giusta.
Perché ero dalla mia parte, pronta a pagarne il prezzo. E questo spero di non cambiarlo mai, a costo di trovarmi a singhiozzare sola sul divano, mentre tutto attorno infuria l’euforia.
sabato 16 novembre 2019
L'omaggio silenzioso dei musicisti
I Mandolinisti Bustesi per la piccola Chiara. Tutta la loro arte, la loro passione, la loro solidarietà per una bambina che sembra essere volata via, ma torna fedele e bellissima nei cuori come una farfalla.
L'attesa, la magia, la promessa che risuona al Teatro San Giovanni Bosco, per sostenere l'impegno della Casa di Chiara. E c'è da chiedersi se esista qualcosa di più commovente di questa orchestra storica della mia città che sa viaggiare ogni oltre frontiera, mentre prende i suoi amati strumenti e offre note per la bimba che ci ha cambiato la vita.
E poi sì, scopro che c'è. I musicisti depongono gli strumenti. La voce viene ora consegnata interamente al pianoforte, perché possa riempire l'aria, l'aria di Chiara la musica che la aiutava a stare meglio, come racconta papà Marco.
L'omaggio silenzioso dei Mandolinisti, tutti immobili tranne i cuori che battono forte.
Poi, riprendono in mano i fedeli strumenti e consegnano le ultime note al ritmo della vita.
L'attesa, la magia, la promessa che risuona al Teatro San Giovanni Bosco, per sostenere l'impegno della Casa di Chiara. E c'è da chiedersi se esista qualcosa di più commovente di questa orchestra storica della mia città che sa viaggiare ogni oltre frontiera, mentre prende i suoi amati strumenti e offre note per la bimba che ci ha cambiato la vita.
E poi sì, scopro che c'è. I musicisti depongono gli strumenti. La voce viene ora consegnata interamente al pianoforte, perché possa riempire l'aria, l'aria di Chiara la musica che la aiutava a stare meglio, come racconta papà Marco.
L'omaggio silenzioso dei Mandolinisti, tutti immobili tranne i cuori che battono forte.
Poi, riprendono in mano i fedeli strumenti e consegnano le ultime note al ritmo della vita.
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venerdì 15 novembre 2019
Un momento perfetto
Ci sono io, sotto la tempesta, che quasi non me ne accorgo. E c'è chi applaude, chi si lamenta, chi ti viene incontro, chi ti lascia in mezzo alla strada, chi ti raccoglie.
Questa manciata di comportamenti, di azioni o reazioni si perde nella prima nebbia, non riveste molta importanza.
Perché ci sei tu, che mi attendi, e i tuoi occhi sono la prima promessa di un momento perfetto.
Il momento perfetto, sei già tu.
Questa manciata di comportamenti, di azioni o reazioni si perde nella prima nebbia, non riveste molta importanza.
Perché ci sei tu, che mi attendi, e i tuoi occhi sono la prima promessa di un momento perfetto.
Il momento perfetto, sei già tu.
giovedì 14 novembre 2019
Nei giorni più freddi
Nei giorni più freddi, quelli dove il gelo dei ricordi si appiccica all’aridità umana.
Cerchi di scaldarti con lampi di cuori addormentati. Poi un amico ti aspetta oltre l’aspettabile, la piazza già buia di pensieri. E noi tre brindiamo, così ribelli da amare.
Nei giorni più freddi, stiamo vivendo, ancora.
Cerchi di scaldarti con lampi di cuori addormentati. Poi un amico ti aspetta oltre l’aspettabile, la piazza già buia di pensieri. E noi tre brindiamo, così ribelli da amare.
Nei giorni più freddi, stiamo vivendo, ancora.
Under pressure - canzone per il risveglio
Quel ritmo ossessivo, prima di liberarsi, mi assicura che non possiamo farci niente. Più potente delle parole, come solo la musica sa essere, ripete che un meccanismo ci sta stritolando.
Fino a quell’urlo quasi di gioia, che strappa ogni alibi.
Chi ci mette tutta questa pressione addosso, dentro?
Noi.
E più facile è la risposta su chi ci può liberare.
Under pressure, canzone per il risveglio, Queen and Bowie
Fino a quell’urlo quasi di gioia, che strappa ogni alibi.
Chi ci mette tutta questa pressione addosso, dentro?
Noi.
E più facile è la risposta su chi ci può liberare.
Under pressure, canzone per il risveglio, Queen and Bowie
mercoledì 13 novembre 2019
La vita cambia ogni giorno. Come una canzone
Ci sono canzoni che ti appartengono, a maggior ragione sfuggendoti. A volte, interi album. Ne ho portato uno in questi cassetti, di anno in anno, e stasera si riaffaccia con un nuovo volto a undici anni dal momento più devastante della mia vita.
Quando fu pubblicato "Out of control", c'era una canzone che ero indecisa se detestare o adottare a slogan di vita. Peter Criss usciva dai Kiss, io non volevo lasciarlo andare anche se poi sarebbe entrato nel gruppo quel batterista unico - anche nella rara umiltà - di nome Eric Carr.
Ma l'album che Criss consegnò a volto nudo, era troppo carico di suggestioni per una ragazzina. By myself, da solo, ripartire ancora. E poi - proseguendo tra i brani - sentire, sentire che devi lasciar(ti) andare. E ancora, diagnosticare quello che serve anche quando suona paradossale: essere fuori controllo per governare la vita, quella vita che finalmente inizia. Perdersi per ritrovarsi, sempre.
Nelle ore che mi incatenano più dolorosamente nel ricordo alla partenza di mio padre, queste canzoni mi rincorrono e faccio fatica a riconoscerle, o a riconoscermi.
Perché il tempo non è più dalla mia parte, ma ho voglia di ripartire, ancora. E non posso più dire, come affermava Peter Criss, che ho atteso a lungo. Perché Dio sa quante volte sono ripartita lasciando i facili traguardi: aspettare, non è stato mai il mio forte. A volte, incrocio gente che dice: potessi anch'io. Ma non ho potuto: l'ho voluto, pagando il prezzo.
Davanti, avevo una guida, un padre al quale tanti hanno detto ciò che non era in grado di fare. E lui l'ha sempre fatto, mandando giù stanchezza e dolore, tanto che persino io non me ne sono mai resa conto fino in fondo. E' un esempio bellissimo e terribile: perché quando hai un padre così, è chiaro che non sarai mai alla sua altezza. Che lui non è solo insostituibil, è pure inimitabile. E poi ti svegli e capisci che non puoi affatto imitarlo. Non devi. Non perché non lo ami abbastanza, ma perché lo ami tanto.
Poche ore fa, una persona cara di famiglia colpita da un lutto a sua volta ha descritto mio padre così: un uomo straordinario, al quale la vita ha cercato di togliere troppo, e lui si è ripreso tutto con gli interessi. Un bambino che non poteva camminare da solo, ha viaggiato per tutto il pianeta.
Io non sono come lui: sono nata con una sorte più benevola, la vita poi mi ha tolto altro. Ma quello che ho potuto, me lo sono ripresa. Quello che ho voluto, ancora di più.
E ogni giorno, come Peter Criss cantò 39 anni fa, ogni volta si può ripartire, con le proprie forze. La vita, per quanto si sia addentrata nel sentiero del tempo, ricomincia ogni giorno. Cambia, come una canzone. Non importa se accanto a te, lo capiscono: tu stai camminando e ti stai costruendo il tuo miracolo.
Proprio quando ti dicono che non potrai mai fare qualcosa, è il momento di farlo.
My life
It's gonna mean somethin'
My life
It's gonna be that way
I've been trying so long
Wasting time
There's so much that I want to do
There's so much that I got to do
Quando fu pubblicato "Out of control", c'era una canzone che ero indecisa se detestare o adottare a slogan di vita. Peter Criss usciva dai Kiss, io non volevo lasciarlo andare anche se poi sarebbe entrato nel gruppo quel batterista unico - anche nella rara umiltà - di nome Eric Carr.
Ma l'album che Criss consegnò a volto nudo, era troppo carico di suggestioni per una ragazzina. By myself, da solo, ripartire ancora. E poi - proseguendo tra i brani - sentire, sentire che devi lasciar(ti) andare. E ancora, diagnosticare quello che serve anche quando suona paradossale: essere fuori controllo per governare la vita, quella vita che finalmente inizia. Perdersi per ritrovarsi, sempre.
Nelle ore che mi incatenano più dolorosamente nel ricordo alla partenza di mio padre, queste canzoni mi rincorrono e faccio fatica a riconoscerle, o a riconoscermi.
Perché il tempo non è più dalla mia parte, ma ho voglia di ripartire, ancora. E non posso più dire, come affermava Peter Criss, che ho atteso a lungo. Perché Dio sa quante volte sono ripartita lasciando i facili traguardi: aspettare, non è stato mai il mio forte. A volte, incrocio gente che dice: potessi anch'io. Ma non ho potuto: l'ho voluto, pagando il prezzo.
Davanti, avevo una guida, un padre al quale tanti hanno detto ciò che non era in grado di fare. E lui l'ha sempre fatto, mandando giù stanchezza e dolore, tanto che persino io non me ne sono mai resa conto fino in fondo. E' un esempio bellissimo e terribile: perché quando hai un padre così, è chiaro che non sarai mai alla sua altezza. Che lui non è solo insostituibil, è pure inimitabile. E poi ti svegli e capisci che non puoi affatto imitarlo. Non devi. Non perché non lo ami abbastanza, ma perché lo ami tanto.
Poche ore fa, una persona cara di famiglia colpita da un lutto a sua volta ha descritto mio padre così: un uomo straordinario, al quale la vita ha cercato di togliere troppo, e lui si è ripreso tutto con gli interessi. Un bambino che non poteva camminare da solo, ha viaggiato per tutto il pianeta.
Io non sono come lui: sono nata con una sorte più benevola, la vita poi mi ha tolto altro. Ma quello che ho potuto, me lo sono ripresa. Quello che ho voluto, ancora di più.
E ogni giorno, come Peter Criss cantò 39 anni fa, ogni volta si può ripartire, con le proprie forze. La vita, per quanto si sia addentrata nel sentiero del tempo, ricomincia ogni giorno. Cambia, come una canzone. Non importa se accanto a te, lo capiscono: tu stai camminando e ti stai costruendo il tuo miracolo.
Proprio quando ti dicono che non potrai mai fare qualcosa, è il momento di farlo.
My life
It's gonna mean somethin'
My life
It's gonna be that way
I've been trying so long
Wasting time
There's so much that I want to do
There's so much that I got to do
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domenica 10 novembre 2019
La moneta dei giorni
C'è una spesa che ha una moneta sonante. Moneta che però non si conta.
Mentre sta per infuriare la pioggia di novembre, riprendo in mano il libro della mia famiglia e lo stringo a me.
Avevo riposto nel cuore, il più profondo del cassetto, la frase di don Carlo Gnocchi a un amico: devo spendere bene i miei giorni.
Pochi o tanti, non viene precisato, perché nessuno di noi può fare un budget di alcun tipo. Un investimento alla cieca, e quindi coraggioso.
La moneta dei giorni, non si conta. Eppure tu sai che devi spenderla bene. E quando apri il borsellino e non trovi più niente, forse allora sei più ricco ancora.
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giovedì 7 novembre 2019
Scuotere forte la vita
Felicità è provare a fare qualcosa che non eri capace neanche di pensare. Scuotere forte la vita e vedere che ne esce. Anzi non ti fermi neanche a osservare, perché stai pregustando qualcosa di nuovo.
E quando capisci che esplorare di continuo è ciò che ti fa vivere, ti trovi avvolta dalle tue abitudini più autentiche, dall’amore di casa tua che ti aspetta e ti mette al riparo dalla pioggia che pur ti ha fatto gridare di gioia.
Scuotere forte la vita, e assaggiarla senza timore. È così che ogni giorno ti senti più vivo.
Ps con un grazie a Milena, Ale ed Enrico.
mercoledì 6 novembre 2019
Ed è già casa
Corro gustando esperienze fantastiche, ma non posso nascondermi la stanchezza.
Amo Milano, la sento vibrare, solo che ho bisogno del mio piccolo mondo e del suo tepore. Agguanto un taxi per arrivare al treno, salgo e stasera qui si parla solo di calcio.
Ma quando parliamo di me e della mia città, il tassista si illumina: «Io ho giocato nella Pro Patria, settore giovanile!». E mentre corre la strada, si popola di nomi e ricordi. Quasi perdo il treno, ma non può succedere perché lo so...
È già casa. Io sto arrivando.
Amo Milano, la sento vibrare, solo che ho bisogno del mio piccolo mondo e del suo tepore. Agguanto un taxi per arrivare al treno, salgo e stasera qui si parla solo di calcio.
Ma quando parliamo di me e della mia città, il tassista si illumina: «Io ho giocato nella Pro Patria, settore giovanile!». E mentre corre la strada, si popola di nomi e ricordi. Quasi perdo il treno, ma non può succedere perché lo so...
È già casa. Io sto arrivando.
martedì 5 novembre 2019
C'è tutto il tempo
Un giorno, un uomo che sa di dover andarsene, ti rivolge questa frase: c'è tutto il tempo. E tu sei tentata di credergli, mentre si racconta, ti incoraggia, ti affida i suoi ricordi.
Poi un silenzio e un messaggio che non porta la sua firma (ma in fondo, o meglio nella vita, sì) ti sbattono in faccia che non è così. Che il tempo non c'è, per nessuno di noi.
E tutto il buio è ficcato dentro la sera, finché apro la porta di casa. Il lampo di un sorriso, un brivido di calore e quell'orologio sul muro mi sembra addormentato.
C'è tutto il tempo per amarsi, per leggere, sbadigliare. Per combattere la commozione mentre scrivi, per rimproverarsi e perdonarsi.
C'è tutto il tempo per vivere, anche quando sembri già volato via.
Poi un silenzio e un messaggio che non porta la sua firma (ma in fondo, o meglio nella vita, sì) ti sbattono in faccia che non è così. Che il tempo non c'è, per nessuno di noi.
E tutto il buio è ficcato dentro la sera, finché apro la porta di casa. Il lampo di un sorriso, un brivido di calore e quell'orologio sul muro mi sembra addormentato.
C'è tutto il tempo per amarsi, per leggere, sbadigliare. Per combattere la commozione mentre scrivi, per rimproverarsi e perdonarsi.
C'è tutto il tempo per vivere, anche quando sembri già volato via.
lunedì 4 novembre 2019
Vicino a treni che non partono
C’è chi attende cadaveri sul fiume, chi attende treni che conducono lontano.
Io, quando sono nella mia valle, mi siedo sulla panchina vicino a treni che non partono. I miei sogni, li faccio camminare sulle mie gambe. Ma adesso mi riposo qui, all’ombra della ferrovia dimenticata tranne che dall’erba e dal sole.
E il silenzio trabocca di vita.
Io, quando sono nella mia valle, mi siedo sulla panchina vicino a treni che non partono. I miei sogni, li faccio camminare sulle mie gambe. Ma adesso mi riposo qui, all’ombra della ferrovia dimenticata tranne che dall’erba e dal sole.
E il silenzio trabocca di vita.
domenica 3 novembre 2019
Scorte di vita
A volte impari qualcosa che non ti serve a niente - ti ripeti, con il broncio - poi spunta fuori all’improvviso. Con quel sorriso inconfondibile che urla: io ci sono.
L’accarezzi e ha già la forma di una soluzione, o di un brivido di gioia.
Scorte di vita, che metti da parte anche ignara. Tu non stai ad aspettarle, ma loro attendono te.
venerdì 1 novembre 2019
Sorridendo al tempo
Cerco spesso di precedere il tempo, correre avanti e nascondermi dietro un angolo ad attenderlo. Come in un gioco ragazzino.
Ma lui, ha sempre la meglio. Parto prima, bevo il caffè con un amico prima, faccio ciò che devo assieme ciò che voglio. Arrivo in un altro luogo ancora, per immergermi in una storia di persone speciali. Poi verso la nuova meta, dove sto per arrendermi e so già che il tempo mi annienterà.
Invece, a un tratto sento un fruscio, mi giro e dietro l'angolo vedo che mi aspetta il tempo, come in un gioco ragazzino.
E io sorrido, sorrido forte, mentre lui già corre avanti. Non mi sfiora la tentazione di inseguirlo. Sorridendo al tempo, aspetto che torni.
Ma lui, ha sempre la meglio. Parto prima, bevo il caffè con un amico prima, faccio ciò che devo assieme ciò che voglio. Arrivo in un altro luogo ancora, per immergermi in una storia di persone speciali. Poi verso la nuova meta, dove sto per arrendermi e so già che il tempo mi annienterà.
Invece, a un tratto sento un fruscio, mi giro e dietro l'angolo vedo che mi aspetta il tempo, come in un gioco ragazzino.
E io sorrido, sorrido forte, mentre lui già corre avanti. Non mi sfiora la tentazione di inseguirlo. Sorridendo al tempo, aspetto che torni.
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