Ho letto, costringendomi, un articolo che avrei chiuso subito. Una donna intervistata sul letto d'ospedale, dopo un fatto terribile, seppur non criminale. Una donna che ha compiuto un gesto o truffatore o folle, si sentenzia in giro.
Mi sono costretta, perché - vigliaccamente immagino, ora che di cronaca non mi occupo più da tempo - non sopporto di vedere la foto di una persona in ospedale, se ho il sospetto che sia fragile. Mi fa ancora più male scorgerla sul giornale che leggo più volentieri.
Inizio, indignata e addolorata. Proseguo, sempre ferita. Termino e non so più cosa pensare.
Non so se fosse giusto, qualcuno scomoderebbe la parola "etico", intervistare quella donna. Di regole, esterne e interiori, capisco sempre meno. Ma mi ha suscitato compassione, voglia di aiutarla, tutto tranne che giudizio.
Allora, non guardo più la copertina da cui ero tentata di giudicare. Come ti avvicini a una persona e come la puoi raccontare - ferire o aiutare - è forse più importante di tutto.
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