Seguo grazie a @scotiaheritage la cerimonia in ricordo del disastro del Tay Bridge. Sono legata al capolavoro di John Prebble, The high girders, anche se altre ricostruzioni sono state preziose negli anni.
In quelle pagine rivedo una cronaca profonda: quella che ti trasmette la ricerca della verità, con rispetto, affetto per le persone. Senza affidarsi ad aggettivi in più, senza svuotare la sostanza della tragedia.
Il 28 dicembre 1879 il centro del ponte ferroviario di Dundee, meraviglia dell'ingegno umano, si sbriciolò. Scomparve un treno, se ne andarono 75 tra uomini, donne e bambini.
Una scena drammatica che anticipa l'orrore, è la corsa dei ferrovieri (dopo il silenzio protratto dal convoglio) verso il ponte, inghiottito dalla nebbia, un uomo salvato dal precipizio che si è creato grazie alla pietosa comparsa della luna.
Ma non c'è scena che mi comunichi il dolore e la devozione più del riconoscimento di Robert Watson, un uomo buono che viaggiava con i bimbi. Un uomo che si prodigava per gli altri, come una goccia seguita dall'altra con naturalezza. Voleva molto bene al fratello cieco e aiutava l'Istituto dei non vedenti di Dundee.
Quando il corpo di Robert fu trovato e mostrato ai suoi cari - racconta John Prebble - vennero i suoi quattro fratelli. Sollevato il coperchio della bara, tre di loro videro la sua espressione di sofferenza e non si avvicinarono, sconvolti. Solo quello che non poteva vedere, si fece avanti, si inginocchiò e sfiorò con dolcezza il suo volto,
Prima di piangere, disse: è Rabbie.
Una scena che diventa universale, terribile e consolatrice, perché in qualche modo, oltre il dolore e la morte, si vede un cerchio pieno, che continua a rigenerarsi: quello di un cuore grande come Robert Watson.
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