Qualcosa di più caro dell’intervista a Elio Fiorucci. Qualcosa che conservo più di quell’articolo stampato, sono gli appunti. Tempestati con un insolito per me colore, sullo schermo del computer. Nel suo ufficio milanese, con le piante che cantavano e lui che doveva parlarmi di Expo, ma parlava di vita.
Quella minuscola, quella socchiusa, quella celata dal tepore di madre natura e che l’uomo non può strappare. Ho scritto ogni frase, anche quelle che non ho pubblicato perché non erano pertinenti al tema.
Lo erano, lo sono, alla vita. E ogni tanto afferro la borsa variopinta che mi diede e in cui infilo figurine, libri, persino una Coca Cola. Ricordo che quel giorno, per coccolare la mia mamma alla quale non avevo potuto dedicare il tempo che volevo, avevo preso una pizza al prosciutto dal fornaio. Io allora non ero ancora vegetariana, anche se so che la mia ribellione per la vita è cominciata quando io ero piccola.
E mi sentii in colpa, quando mi ricordai di questa presenza nel sacchetto vicino alla borsa. Poi dai, che figura essere da Elio Fiorucci con un sacchetto profumato di pizza. Tanto che gli dissi la verità, compreso che l’avevo presa per mamma. E a me pare di ricordare che sorride, ma potrei sbagliarmi perché in realtà il sorriso è qualcosa che mi ha accompagnato tutto quel tempo di conversazione.
A volte, ancora attingo alla sua borsa variopinta e guardo una figurina, e ogni tanto anche a quegli appunti silenziosi. Li apro e li scruto per afferrare un nuovo filo e non perdermi, non perdermi mai più. Sentire cantare le piante e pensare che la bellezza, la bellezza della vita trionfi ancora.
Appunti per sempre, di Elio e di vita.
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