Trent'anni dopo, 33 per la precisione, sono ancora qui, nell'Aula Magna dell'Università Cattolica: stanno presentando il Salone del Mobile di Milano, lo schermo rosso dalla scritta bianca, si fa sfiorare dallo sguardo.
Mi viene da sorridere pensando che forse proprio qui o in corridoio, arrivò un compagno baldanzoso - uno di quelli che come diversi di noi studiava Filosofia con la mente già orientata su Comunicazioni sociali - ad annunciare che una rivista di design cercava aspiranti giornalisti.
Mi viene da sorridere pensando che forse proprio qui o in corridoio, arrivò un compagno baldanzoso - uno di quelli che come diversi di noi studiava Filosofia con la mente già orientata su Comunicazioni sociali - ad annunciare che una rivista di design cercava aspiranti giornalisti.
Ci andammo solo in due, a bussare alla rivista: io, poco filosofa, e l'amica così differente da me... che tutti ci scambiavano per sorelle. Sembra un paradosso, ma noi sappiamo che non lo è: lo abbiamo capito ancora di più adesso.
Lì iniziò tutto, adesso sono qui, in quest'aula a prendere appunti su un computer per scrivere un articolo.
Forse, sono un'aspirante giornalista.
E mica finisce lì, perché la sera devo rientrare a Milano per l'ultima tappa del corso di conversazione di inglese. Non c'è diploma di liceo linguistico che tenga: avevo voglia di frequentarle, queste lezioni per giornalisti, per vari motivi. Pratico, così le interviste in inglese saranno più agevoli in futuro.
Ancora più pratico: un tempo, non sapevo perché studiavo (e pure poco, preferivo stare attenta in classe e poi dedicarmi a cose più interessanti a casa). Magari per compiacere gli altri, quelli importanti - la famiglia - e quelli un po' meno.
Adesso, ancora una volta, mi ha spalancato un mondo la Beata Benedetta Bianchi Porro.
Adesso, studio perché mi va. Una parola, un'espressione nuova, una sfumatura, l'angolo di un sorriso alcuni mi restano dentro, altri se ne vanno con un battito di ciglia, eppure ciascuno è importante. La sera, quando arrivo all'ultima lezione sono stanca e neanche certa di avere avuto compiti da svolgere: la medesima stanchezza leggo sui volti degli altri. Ma siamo felici. Perché non importa quanti anni abbiamo, ci stiamo appassionando a qualcosa. Da egocentrica, riconosco che ammiro solo qualcuno più di me in questa stanza: i miei compagni di studio.
Stanchi, con i capelli grigi, qualche ruga, affanni: dentro gli occhi, tuttavia, quella luce che significa ardere dal desiderio di imparare in un mondo che ci appare troppo dominato dalla nebbia di sapere.
Corsi e ricorsi. Sono un'aspirante giornalista, da trent'anni abbondanti.
E studio, per non sapere.
Corsi e ricorsi, che mi cullano nella notte e spero mi facciano risvegliare domani mattina, come quella fanciulla tratteggiata da Chesterton nell'Uomo che fu Giovedì.
Con inconsapevole gravità da fanciulla.
L'aspirazione ti porta lontano, ma alimenta la voglia di continuare a imparare! Ti seguo!
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