Quando ero studentessa e pendolare, era il mio assaggio di vita, la sensazione frizzante fuori dalla provincia che ti addestra anche troppo. Ti ho vista cambiare e/o sono mutata io.
Un giorno, mi sono risvegliata ed eri così complessamente bella da dirmi tutto in un lampo. Ricordo un mattino di pochissimi anni fa, quando venni da te per una decisione difficile e stranamente intelligente (come te, mi piace prendermi in giro). Ero vicino alla Centrale e poi dovevo recarmi vicino al Duomo, in uno dei punti più antichi della città, coccolato sotto il suolo. Avevo tempo, guarda un po’, e scelsi di compiere quella strada a piedi.
Ti vedevo così cambiare di istante in istante, eppure piano piano: modernissima, con tracce di lavoro ancora in corso o in piena esplosione, e poi addolcita dalla storia, anche i passi guidavi a un ritmo più lento.
Oggi penso che siamo a una prova bastarda, contenere un virus e sconfiggerlo, contando i minuti per tornare a una vita normale. Non la merita nessuna terra, figurati tu. Hai accolto il mondo, adesso il mondo ti, ci osserva. Sei triste, forse arrabbiata. Vorresti dire, come me: al diavolo, chi mi chiude le porte in faccia adesso non mi vedrà più domani, quando mi rialzerò. Ma sai già che non sarà così.
Perché Milano si rialza e tutti attorno con lei. In fretta che è sempre troppo piano per noi, che abbiamo fame di un nuovo futuro da accostare alla storia.
Milano piano piano perdona, si è già dimenticata e guarda avanti.
Milano piano piano da attraversare.
Milano deserta, Milano che trabocca di volti: è la stessa Milano, la stessa Lombardia, lo stesso Paese e lo stesso mondo. Piano piano, perché per noi è sempre troppo piano, ripartiamo.
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