La corsa è finita presto, oppure non ricordo quando sia cominciata. I piedi dell'anima hanno smesso di dolere da un pezzo, anestetizzati dall'abitudine.
A metà settimana avevo capito che dovevo fermarmi e non ho ascoltato. Così, mi ha fermato il mio corpo direttamente. Penso alle poche volte in cui l'ha fatto: doveva essere proprio esasperato. Adesso mi ha opposto un no gentile, e poi mi ha sussurrato: non c'è fretta.
Solo che quando mi sono guardata attorno, dove tutti corrono quanto me, ho scoperto che tutto stava rallentando. E non certo ad aspettarmi. Dolori, allarmi, pandemia, forse no, parole a vanvera, parole che devo fermare, nelle mie orecchie e nei miei occhi.
Ho scoperto, che non c'è più fretta. Che possiamo rimandare. Che possiamo sederci ad aspettare. Che non c'è dietro qualcuno che ci incalza, se non per qualche bizzarra fissazione inculcata da una subdola scuola di pensiero.
Non c'è più fretta.
Tomorrow is another day
And you won't have to hide away
(Run Boy Run)
Non c'è più fretta di nascondersi, di dover fare tutto proprio adesso. C'è forse solo un pizzico di fretta, di amarsi ancora un po', di assaggiare la mostarda che ancora ti attendeva, di aprire una bottiglia che ti riportasse avanti, con calma.
Pochi giorni fa, un intervistato mi ha detto no perché tossivo: «Mi telefoni, piuttosto». Avevo fatto fatica per essere lì, avevo corso, ma ho acconsentito alla sua richiesta.
Solo più tardi ho pensato: questo è un po' come sentirsi esclusi. È come capire che adesso tocca a te bussare e non essere certa di vedere aperto, solo per della tosse, della febbre.
E capisci quanto è carogna e saggia la febbre, anche la più innocente.
Ti fissa negli occhi e ti dice: accomodati, non c'è fretta.
E ha ragione lei.
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