Giocherellando con l'ironia poco scaramantica dei Motley Crue, accetto che tutte le cose cattive abbiano una fine. Non so se rispetteranno il patto, pur mostrandosi determinati a chiudere una più che trentennale avventura qui.
Forse è marketing, forse è saggezza, forse è crescere. Fatto sta che prendo una canzone per cui hanno ricevuto il marchio d'infamia così diffuso nel rock. Quando non sanno più che dire di un gruppo, sicuramente sarà amico del diavolo.
Invece, questa canzone è un grido beffardo a quello laggiù, all'alibi che spesso costituisce, spalancando i nostri occhi innocenti. Sono sue le bugie, la rabbia ce l'ha offerta lui, morbida come una mela, ed è lui che ha pugnalato nella schiena.
Come se la paternità del gesto, l'inconfondibile firma non spettasse a noi. E allora essere seri con se stessi, essere forti e irriducibili e urlare, urlare agli strumenti che tocca poi a noi usare o ripudiare.
Shout at the devil, Motley Crue, canzone per il giorno.
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