Con la complicità dei mici e dei pensieri, ho battuto l’alba. Ho messo in moto la macchina di casa, l’unica che posso avviare tra colazione e cure agli animali. recuperando lo svantaggio accumulato in questi svogliati passi di primavera.
Non è una gara, o meglio preferirei perderla. Le uniche albe operative di una vita precedente furono quelle di studentessa. Di giorno sognavo e scrivevo più che studiare, così aprivo i libri all’alba per recuperare, prima di precipitarmi al treno.
Poi ho trovato un lavoro che mi ha permesso almeno di realizzare un lato della mia personalità, perché mio padre mi aveva scattato la perfetta fotografia: nottambula. Davo il meglio di notte, scrivevo capitoli interi e ascoltavo musica. La mattina mi concedevo un’ora in più, i giornali avevano i loro ritmi sfasati sul mondo, eppure con una loro umanità. Andavo in redazione alle 10 e mi ricordo che se arrivava la telefonata del direttore prima di mezzogiorno, c’era il fuggi fuggi: era un raro e pessimo segnale.
Adesso non c’è mai un limite liberatorio, scorre tutto. Però all’alba penso tantissimo, anche quando i pensieri bruciano.
Stamattina battendo l’alba, è come se potessi riprendere il giorno, afferrarlo e dirgli: adesso ti raddrizzi come dico io.
Non ho ancora sentito un elicottero e se accadrà, infilerò la testa sotto il cuscino. Perché non so difendermi in altro modo da un suono che in questi tempi di guerra di trincea mi è insopportabile.
Eccolo... coraggiosamente lo faccio.
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