In casa li porto solo se scrivo o - miracolo - guardo la tv, quindi scivolano sul tavolo o in borsa. Ma quando devo andare fuori, prontamente li prendo per orientarmi in un mondo di difficile lettura.
Solo che ciò accade pochissimo in questo periodo di lotta comune al coronavirus e io non mi scordo solo la sensazione di uscire, bensì anche le abitudini che lo precedevano. Come piccoli riti, frantumati da una routine che non ho scelto, ammesso che avessi scelto quella prima.
Ora eccomi qui, all'aperto: vedo solo pochi metri nitidamente, la luce grigia mi parla troppo in fretta e all'improvviso mi sento vulnerabile, colta da una vertigine. Come se un nemico potesse comparire e nuocermi, ancora più beffardo.
Infatti è così, potrebbe sbucare: solo che il nostro nemico è un virus invisibile, che dei miei occhiali - come delle nostre abitudini - si fa un baffo. Eppure, mi dico rientrando impacciata, i peggiori mali erano invisibili anche prima. Una volta in casa, rimetto subito gli occhiali e inseguo certezze nel cielo dalla finestra. Ma anche queste non si lasciano intrappolare da uno sguardo.
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