Se potessi scegliere delle pagine cangianti eppure capaci di perfezione (o forse proprio per questo motivo, chissà), sfoglierei in eterno il dialogo sulla casa aerea de "L'arpa d'erba".
Voi sapere che sono innamorata di questi due autori più degli altri, Truman Capote ed Elsa Morante, che sembrano distanti ma hanno anche libri come specchi, ragazzini in ricerca di se stessi e della propria provenienza, adulti dalle colpe inconfessabili che cedono e diventano umani, una miriade di personaggi meravigliosi a partire dai volti della natura.
Dialogo è impreciso, perché si tratta più di un dibattito, visto il numero di persone; tuttavia questo termine mi sembra tolga intimità.
Ero convinto che la mia vita sarebbe passata inosservata, senza traccia... Esordisce il giudice e le posizioni si uniscono, si contrappongono, dall'impotenza di fronte alla vera giustizia agli atti accettati, o pretesi dalla società. Il personaggio incantevole - e non siamo suggestionati solo dal suo nipotino, il protagonista del libro - è Dolly, uno spirito, creatura che non può essere giudicata con i soli occhi, come osserva il giudice.
Parole che ci tengono più avvinti del parapiglia e degli sviluppi successivi, perché trasmettono un'esigenza insopprimibile: quella di una casa costruita tra gli alberi, piccola e inaccessibile, dove prendere le opportune distanze dalla vita quotidiana, per poi decidere cosa fare, da che parte stare.
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