DUNDEE THE BRAVE
“Dundee sarà un campo di battaglia chiave per il referendum” Alistair
Darling, 16 luglio 2014
(Dundee is a, the yes city. A city involved
in changing, ever and ever. Or able to seize the moment, as Brian Cox said?)
20 settembre 2014 - Arriviamo a Dundee. Una sera indimenticabile
Chi arriva, come me, a Dundee dopo qualche anno di assenza, è candidato
a perdersi. Ringrazio l’allerta data dagli amici e la stella polare Discovery
Point. Grazie al museo dedicato al capitano Scott e ai suoi uomini riesco a
convincermi di non essere finita nella città sbagliata e trovo il posteggio,
per poi contemplare in pace lo spettacolo del fiume Tay. Dove sventolano ancora
insieme la bandiera del Regno Unito e quella di Sant’Andrea. Nonostante siamo
nella Yes City.
GLI ULTIMI PASSI
Sono volati più di 200 chilometri, prima restando tra gli scorci più
selvaggi, poi ammorbidendoci con i prati che alternano verde e giallo, mucche e
pecore. Una tappa nella meravigliosa cornice di Blair Castle, la cui storia
inizia ottocento anni fa. Una tappa
casuale, perché nel tour de force volevo anche mostrare e rivivere un castello
diverso, ancora scaldato dal cuore di una famiglia. Ma poi, mi ricordano che
qui non solo è passato Bonnie Prince Charlie: questa è stata proprio una tappa
del principe, scendendo da Glenfinnan, come noi.
E’ come se avessimo condiviso un tratto di strada, ma ora dobbiamo
separarci: mi aspetta il futuro. Saluto
il Perthshire e ripasso il risultato qui: Perth e Kinross, il no al 60,19%.
Mancano poche miglia a Dundee, la città del sì, la prima che incontrai
in Scozia quasi vent’anni fa, quando costrinsi la truppa di amici a trascorrere
la prima notte qui. Se richiudo gli occhi, rivedo la pioggia battente, la
visita al Mercantile per bere una birra e stupirsi, da turisti italiani alle
prime armi, della repentina chiusura del pub. Quindi la raccomandazione
dell’albergatore la mattina dopo: andate a vedere il museo sul capitano Robert
Falcon Scott. Noi a dargli retta, nonostante friggessimo per correre su, nella
Scozia delle Highlands e dei sogni: invece, io rimasi ancorata a quel sogno
stupendo del Polo Sud.
Dovrei conoscerla a menadito, Dundee, e rimiro il messaggio dei miei amici, quell’avvertimento composto
su una deviazione per lavori. Qualche piccolo cantiere anche qui, avevo
pensato. Alla faccia.
Tutto attorno, il vuoto che sta per diventare pieno. Dall’albergo alla
stazione, è scomparso un mondo e ne sta sorgendo uno nuovo. Si tratta del
cosiddetto progetto “Dundee Waterfront” che una adorabile Dundonian mi ha
spiegato nella sua filosofia: riportare la città – 148mila abitanti, un passato
nel segno delle tre “j” iuta, giornalismo e marmellata e un presente
tecnologico e turistico – alla propria sorgente. In modo fisico e metaforico,
più vicino al fiume che da tutti può essere visto, come la cortina di edifici
storici si ripresenta con orgoglio.
Tra pochi mesi, mi riperderei ancora se va tutto in porto.
Il cuore di questo progetto è il “V&A museo di design”, firmato
dall’archistar giapponese KengoKuma. Un progetto che sul sito internet è
definito “coraggioso e ambizioso£ e sarà il primo museo del design costruito sì
nel Regno Unito ma fuori Londra. L’idea di un salotto in questa fiera metropoli
scozzese, piace molto. Anche agli investitori, a giudicare dal fermento e dai
soldi che si stanno scommettendo dopo il lancio ufficiale nell’aprile
2014. I consulenti di Drivers Jonas (ora sotto Deloitte Real Estate)
hanno stimato che una volta completamente terminato il Central Waterfront
offrirà qualcosa come 5mila posti di lavoro.
Cambiare sempre,
cambiare ancora. Penso alla fedeltà di Dundee a se stessa, proprio nel voler
imprimere svolte anche in tempi sospetti, duri. Abituata alle batoste, da
quella plateale quando costruì il ponte dei record nel 1879 e poco tempo dopo
il crollo durante una bufera costò la vita a sessanta persone. Quei pilastri
sono rimasti lì a testimoniare il disastro e la ricostruzione.
A Dundee c’è
sempre da ricostruire.
YES CITY
Alistair Darling
lo dichiara il 19 luglio, con sondaggi
dal sapore ancora svogliati: Dundee sarà un campo di battaglia chiave per il
referendum. Salmond l’ha dichiarata una “yes city”, ma il leader di Better
Together cerca di contrattaccare in un’apparizione proprio sulle rive del Tay,
dove sta cambiando il mondo: “Sono fiducioso che possiamo vincere e vincere
bene”. E aggiunge: la gente sa da dove arriva il lavoro, dal Regno Unito”. Il
riferimento è anche a questo museo che cambierà la vita della città, come a
mettere in guardia. Ciò, a quanto pare, funziona ad Aberdeen, con il petrolio.
Qui, niente da
fare. Nella notte più lunga, la città sarà la prima a scandire il suo yes: 57%,
vale a dire 53.620 persone, contro 39.880 che si sono pronunciate per il no.
Hanno partecipato il 79% degli elettori e 92 schede sono state respinte.
Così troviamo
personaggi come Brian Cox, l’attore che è anche rettore dell’università, con il
cuore spezzato a metà: demoralizzato per l’esito generale, carico per la
risposta della sua città. Brian: me lo ricordo nella magistrale interpretazione
di re Enrico II, già, il temibile e astuto monarca inglese (anche se non
abbastanza da governare la moglie Eleonora e i figli, con la macchia del
tradimento sempre sui Plantageneti) che con la Scozia alzò la voce, ma imparò
anche a trattare. E’ anche rettore dell’Università di Dundee, una delle più
frizzanti, che danno un piglio giovane e irresistibile alla città.
Seize the moment:
cogli l’attimo. Il suo discorso di questa Hollywood star – come lo definisce il
Courier con fierezza – resta in tutta la sua bellezza, invita ad abbattere gli
steccati dei partiti e a cavalcare un momento storico. “E’ sempre più chiaro –
enuncia nel comizio – che Westminster non lavora per il bene del popolo
scozzese. Il 70% delle persone detiene solo il 25% della ricchezza”.
L’ingiustizia
sociale, quella che la yes city non digerisce. La città che ha creato navi
capaci di andare nei punti più lontani del mondo, come l’Antartide, sotto
bandiera britannica. E che oggi ospita sia la Discovery appunto sia la Unicorn,
fregata di 46 cannoni, costruita per la Royal Navy: una delle sei più vecchie
navi del mondo.
Ricominciare,
cosa vuoi che importi ricominciare a Dundee, che dalla iuta è passata alla
tecnologia e al turismo. Il turismo... Prima di correre al bed and breakfast a
lasciare i bagagli, incontriamo un’amica che ci crede e crea meravigliosi
percorsi culturali. Ci porta a bere un caffè al Malmaison, ora affacciato su
una terra in fermento oltre che sul fiume Tay. Ha 120 anni e una scala in ferro
battuto da sogno: restaurato, è diventato l’hotel numero 13 della catena
Malmaison.
Tutto sembra
immenso qui, ma fuori vediamo uno spettacolo delizioso: ragazze e donne poi di
ogni età che bevono, ridono e scherzano con buffi occhiali. Un travestimento
festoso, che significa un addio a un nubilato, spiega la nostra amica. Lei è
un’accesa sostenitrice del sì e non sa darsi pace: “Potevamo cambiare. Dundee è
sempre stata più radicale, è vero. Ma soprattutto ha il coraggio di cambiare”.
Sono le ultime
ore a Dundee, in Scozia. Non ci posso credere che abbiamo divorato miglia e
giorni così. Ripenso ai volti, ai commenti, alle storie. I luoghi che parlano
non meno intensamente.
L’ultima sera è
con una famiglia speciale: che si è divisa nel voto, ma chi ha optato per il
no, l’ha fatto convinto che le promesse di Cameron debbano avverarsi, che lui
si sia spinto troppo in là. Altrimenti, gli presenteranno il conto.
Siamo a cena in
un ristorante, dove incrociamo il banchetto di un matrimonio. C’è un’euforia
che sembra cancellare ogni delusione delle ore precedenti. E tanta eleganza,
sana e spontanea. La sposa si lascia fotografare con noi, accettando felice
l’invito tra la folla.
Quanti kilt,
osserviamo. Uomini adulti e giovani come in una processione che si scioglie
dopo la compostezza del rito: l’abito prezioso che contraddistingue, che offre
identità a una persona, a una famiglia. Chi se ne frega se affermano – attirandosi
fior di dispute – che l’abbia inventato un inglese: nelle Highlands la
tradizione era già seminata in tempi non sospetti, è la replica che viaggia in
rete e negli articoli.
Mentre parliamo
ancora di referendum, brindando con il vino ai nostri due Paesi, io guardo
questo elemento di riconoscimento di un popolo e mi commuove che oggi abbia il
suo ruolo nei momenti di festa, o ufficiali. Un tempo, era quasi un
kit di sopravvivenza: un tessuto che si poteva usare di notte in modo
differente, come coperta per far fronte al freddo delle ore più buie. I
reggimenti delle Highlands lo scelgono e lo fanno amare anche a Sud del confine.
Matrimoni, i giochi ufficiali, le danze celtiche: un momento in cui essere
eleganti, essere se stessi e ricordare a chi si appartiene.
Ho chiuso gli
occhi: pensa in Italia uno che dice “Vado a votare” mettendo l’abito più bello, magari quello del
matrimonio. Si vede che è sera e ho voglia di sognare. Forse è meglio scegliere
il posto adatto per farlo.
LA CITTA’ DELLA
LUCE
Ci vuole sempre un
istante solenne quando ci si congeda dagli amici. Girare per Dundee è tutto
tranne che facile, persino la notte, con le deviazioni impartite a ripetizione.
Ma c’è un modo per
abbracciarla interamente: si chiama Dundee Law. Quest’ultima parola è gaelica,
non inglese: non c’entra con la legge, bensì significa collina. Siamo a 174
metri sul mare e c’è un memoriale dedicato ai caduti delle guerre.
Lo spazio di
manovra qui è minimo e non possiamo sostare a lungo, ma è una sera meravigliosa
per cui salire e divorare il panorama con gli occhi. Limpido, il cielo, che
spesso viene percosso dal vento a Dundee. Sembra una piccola Los Angeles, la
città delle luci, della vita, cantata dai Doors.
Ma non è la canzone
con cui chiudo il viaggio, perché questa notte è già sospinta verso il domani.
Verso il ritorno a Edimburgo, passando dalle infinite campagne e salutando
l’ormai imminente Ryder Cup dai cui cartelli si viene tempestati. Verso la
partenza per l’Italia.
Verso il futuro
della Scozia e del Regno Unito, di ogni nazione e di ogni angolo di terra,
comunque si chiamino o si chiameranno un giorno.
La canzone
- WHEN TOMORROW COMES
– Eurythmics
Annie Lennox e
David A. Stewart: lei scozzese, lui inglese. Una miscela esplosiva ed elegante
per la musica britannica, che conquista i fans di tutto il mondo.
Impegnata in molte
cause umanitarie, Annie – ragazza di Aberdeen - non si tira indietro sulla
questione referendaria, ma va con i piedi di piombo: né giocatrice d’azzardo,
né veggente, crede che si tratti di una questione troppo complessa, da
soppesare cautamente. Quando posta su Facebook l’Union Jack, si scatenerà il
putiferio, ma lei replicherà: “Non c’erano messaggi nascosti, io neanche posso
votare non risiedendo lì, spetta solo al popolo scozzese scegliere”.
Andrà giù più
pesante cogliendo i sospiri postreferendari:
“Basta con i sentimenti anti inglesi, crescete”.
Il bello di questa
canzone che vuole essere d’amore, ma di un amore mai stretto nei confini, è
quanto ci sentiamo piccoli nell’universo. E’ che c’è qualcosa di eterno, e lo
ricordano le stelle con la loro luce proveniente da milioni di anni. Quelle
stelle che sulle Highlands hanno un sorriso magnetico e che sulle città di
Scozia impallidiscono di fronte alle luci artificiali sempre più vivaci.
In queste note
d’amore è racchiusa la promessa, per quando il futuro arriverà: esserci,
sempre; essere la persona (o il popolo) che fa la differenza, che aspetta, che
abbraccia chi appare fragile come un bambino.
Essere la persona
su cui si può contare. Quando il domani arriverà, non sarà con un referendum,
sarà anche solo rimanendo fedeli a se stessi. E quel “solo” sta già stretto come
una frontiera.
C’è un sì che si
può pronunciare, sempre, ed è quello che permette di stare accanto all’altro,
in questo mondo pericoloso.
Aspettando il domani, spero che chi ha detto no,
aiuti a ricucire con quella gentilezza, quell’attenzione all’altro che sono
squisitamente scozzesi. E chi ha scritto sì, continui a metterlo in pratica
rimanendo leale a se stesso e alla propria storia.
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