domenica 20 settembre 2015

Dundee the brave - indyref on the road (one year later)

DUNDEE THE BRAVE
“Dundee sarà un campo di battaglia chiave per il referendum” Alistair Darling, 16 luglio 2014
(Dundee is a, the yes city. A city involved in changing, ever and ever. Or able to seize the moment, as Brian Cox said?)

20 settembre 2014 - Arriviamo a Dundee. Una sera indimenticabile

Chi arriva, come me, a Dundee dopo qualche anno di assenza, è candidato a perdersi. Ringrazio l’allerta data dagli amici e la stella polare Discovery Point. Grazie al museo dedicato al capitano Scott e ai suoi uomini riesco a convincermi di non essere finita nella città sbagliata e trovo il posteggio, per poi contemplare in pace lo spettacolo del fiume Tay. Dove sventolano ancora insieme la bandiera del Regno Unito e quella di Sant’Andrea. Nonostante siamo nella Yes City.

GLI ULTIMI PASSI
Sono volati più di 200 chilometri, prima restando tra gli scorci più selvaggi, poi ammorbidendoci con i prati che alternano verde e giallo, mucche e pecore. Una tappa nella meravigliosa cornice di Blair Castle, la cui storia inizia ottocento anni fa.  Una tappa casuale, perché nel tour de force volevo anche mostrare e rivivere un castello diverso, ancora scaldato dal cuore di una famiglia. Ma poi, mi ricordano che qui non solo è passato Bonnie Prince Charlie: questa è stata proprio una tappa del principe, scendendo da Glenfinnan, come noi.
E’ come se avessimo condiviso un tratto di strada, ma ora dobbiamo separarci: mi aspetta il futuro.  Saluto il Perthshire e ripasso il risultato qui: Perth e Kinross, il no al 60,19%.
Mancano poche miglia a Dundee, la città del sì, la prima che incontrai in Scozia quasi vent’anni fa, quando costrinsi la truppa di amici a trascorrere la prima notte qui. Se richiudo gli occhi, rivedo la pioggia battente, la visita al Mercantile per bere una birra e stupirsi, da turisti italiani alle prime armi, della repentina chiusura del pub. Quindi la raccomandazione dell’albergatore la mattina dopo: andate a vedere il museo sul capitano Robert Falcon Scott. Noi a dargli retta, nonostante friggessimo per correre su, nella Scozia delle Highlands e dei sogni: invece, io rimasi ancorata a quel sogno stupendo del Polo Sud.
Dovrei conoscerla a menadito, Dundee, e rimiro il messaggio  dei miei amici, quell’avvertimento composto su una deviazione per lavori. Qualche piccolo cantiere anche qui, avevo pensato. Alla faccia.
Tutto attorno, il vuoto che sta per diventare pieno. Dall’albergo alla stazione, è scomparso un mondo e ne sta sorgendo uno nuovo. Si tratta del cosiddetto progetto “Dundee Waterfront” che una adorabile Dundonian mi ha spiegato nella sua filosofia: riportare la città – 148mila abitanti, un passato nel segno delle tre “j” iuta, giornalismo e marmellata e un presente tecnologico e turistico – alla propria sorgente. In modo fisico e metaforico, più vicino al fiume che da tutti può essere visto, come la cortina di edifici storici si ripresenta con orgoglio.
Tra pochi mesi, mi riperderei ancora se va tutto in porto. Il cuore di questo progetto è il “V&A museo di design”, firmato dall’archistar giapponese KengoKuma. Un progetto che sul sito internet è definito “coraggioso e ambizioso£ e sarà il primo museo del design costruito sì nel Regno Unito ma fuori Londra. L’idea di un salotto in questa fiera metropoli scozzese, piace molto. Anche agli investitori, a giudicare dal fermento e dai soldi che si stanno scommettendo dopo il lancio ufficiale nell’aprile 2014.  I consulenti di Drivers Jonas (ora sotto Deloitte Real Estate) hanno stimato che una volta completamente terminato il Central Waterfront offrirà qualcosa come 5mila posti di lavoro.
Cambiare sempre, cambiare ancora. Penso alla fedeltà di Dundee a se stessa, proprio nel voler imprimere svolte anche in tempi sospetti, duri. Abituata alle batoste, da quella plateale quando costruì il ponte dei record nel 1879 e poco tempo dopo il crollo durante una bufera costò la vita a sessanta persone. Quei pilastri sono rimasti lì a testimoniare il disastro e la ricostruzione.
A Dundee c’è sempre da ricostruire.

YES CITY
Alistair Darling lo dichiara il 19  luglio, con sondaggi dal sapore ancora svogliati: Dundee sarà un campo di battaglia chiave per il referendum. Salmond l’ha dichiarata una “yes city”, ma il leader di Better Together cerca di contrattaccare in un’apparizione proprio sulle rive del Tay, dove sta cambiando il mondo: “Sono fiducioso che possiamo vincere e vincere bene”. E aggiunge: la gente sa da dove arriva il lavoro, dal Regno Unito”. Il riferimento è anche a questo museo che cambierà la vita della città, come a mettere in guardia. Ciò, a quanto pare, funziona ad Aberdeen, con il petrolio.
Qui, niente da fare. Nella notte più lunga, la città sarà la prima a scandire il suo yes: 57%, vale a dire 53.620 persone, contro 39.880 che si sono pronunciate per il no. Hanno partecipato il 79% degli elettori e 92 schede sono state respinte.
Così troviamo personaggi come Brian Cox, l’attore che è anche rettore dell’università, con il cuore spezzato a metà: demoralizzato per l’esito generale, carico per la risposta della sua città. Brian: me lo ricordo nella magistrale interpretazione di re Enrico II, già, il temibile e astuto monarca inglese (anche se non abbastanza da governare la moglie Eleonora e i figli, con la macchia del tradimento sempre sui Plantageneti) che con la Scozia alzò la voce, ma imparò anche a trattare. E’ anche rettore dell’Università di Dundee, una delle più frizzanti, che danno un piglio giovane e irresistibile alla città.
Seize the moment: cogli l’attimo. Il suo discorso di questa Hollywood star – come lo definisce il Courier con fierezza – resta in tutta la sua bellezza, invita ad abbattere gli steccati dei partiti e a cavalcare un momento storico. “E’ sempre più chiaro – enuncia nel comizio – che Westminster non lavora per il bene del popolo scozzese. Il 70% delle persone detiene solo il 25% della ricchezza”.
L’ingiustizia sociale, quella che la yes city non digerisce. La città che ha creato navi capaci di andare nei punti più lontani del mondo, come l’Antartide, sotto bandiera britannica. E che oggi ospita sia la Discovery appunto sia la Unicorn, fregata di 46 cannoni, costruita per la Royal Navy: una delle sei più vecchie navi del mondo.

Ricominciare, cosa vuoi che importi ricominciare a Dundee, che dalla iuta è passata alla tecnologia e al turismo. Il turismo... Prima di correre al bed and breakfast a lasciare i bagagli, incontriamo un’amica che ci crede e crea meravigliosi percorsi culturali. Ci porta a bere un caffè al Malmaison, ora affacciato su una terra in fermento oltre che sul fiume Tay. Ha 120 anni e una scala in ferro battuto da sogno: restaurato, è diventato l’hotel numero 13 della catena Malmaison.
Tutto sembra immenso qui, ma fuori vediamo uno spettacolo delizioso: ragazze e donne poi di ogni età che bevono, ridono e scherzano con buffi occhiali. Un travestimento festoso, che significa un addio a un nubilato, spiega la nostra amica. Lei è un’accesa sostenitrice del sì e non sa darsi pace: “Potevamo cambiare. Dundee è sempre stata più radicale, è vero. Ma soprattutto ha il coraggio di cambiare”.
Sono le ultime ore a Dundee, in Scozia. Non ci posso credere che abbiamo divorato miglia e giorni così. Ripenso ai volti, ai commenti, alle storie. I luoghi che parlano non meno intensamente.
L’ultima sera è con una famiglia speciale: che si è divisa nel voto, ma chi ha optato per il no, l’ha fatto convinto che le promesse di Cameron debbano avverarsi, che lui si sia spinto troppo in là. Altrimenti, gli presenteranno il conto.
Siamo a cena in un ristorante, dove incrociamo il banchetto di un matrimonio. C’è un’euforia che sembra cancellare ogni delusione delle ore precedenti. E tanta eleganza, sana e spontanea. La sposa si lascia fotografare con noi, accettando felice l’invito tra la folla.
Quanti kilt, osserviamo. Uomini adulti e giovani come in una processione che si scioglie dopo la compostezza del rito: l’abito prezioso che contraddistingue, che offre identità a una persona, a una famiglia. Chi se ne frega se affermano – attirandosi fior di dispute – che l’abbia inventato un inglese: nelle Highlands la tradizione era già seminata in tempi non sospetti, è la replica che viaggia in rete e negli articoli.
Mentre parliamo ancora di referendum, brindando con il vino ai nostri due Paesi, io guardo questo elemento di riconoscimento di un popolo e mi commuove che oggi abbia il suo ruolo nei momenti di festa, o ufficiali.  Un tempo, era quasi un kit di sopravvivenza: un tessuto che si poteva usare di notte in modo differente, come coperta per far fronte al freddo delle ore più buie. I reggimenti delle Highlands lo scelgono e lo fanno amare anche a Sud del confine. Matrimoni, i giochi ufficiali, le danze celtiche: un momento in cui essere eleganti, essere se stessi e ricordare a chi si appartiene.
Ho chiuso gli occhi: pensa in Italia uno che dice “Vado a votare”  mettendo l’abito più bello, magari quello del matrimonio. Si vede che è sera e ho voglia di sognare. Forse è meglio scegliere il posto adatto per farlo.
LA CITTA’ DELLA LUCE
Ci vuole sempre un istante solenne quando ci si congeda dagli amici. Girare per Dundee è tutto tranne che facile, persino la notte, con le deviazioni impartite a ripetizione.
Ma c’è un modo per abbracciarla interamente: si chiama Dundee Law. Quest’ultima parola è gaelica, non inglese: non c’entra con la legge, bensì significa collina. Siamo a 174 metri sul mare e c’è un memoriale dedicato ai caduti delle guerre.

Lo spazio di manovra qui è minimo e non possiamo sostare a lungo, ma è una sera meravigliosa per cui salire e divorare il panorama con gli occhi. Limpido, il cielo, che spesso viene percosso dal vento a Dundee. Sembra una piccola Los Angeles, la città delle luci, della vita, cantata dai Doors.
Ma non è la canzone con cui chiudo il viaggio, perché questa notte è già sospinta verso il domani. Verso il ritorno a Edimburgo, passando dalle infinite campagne e salutando l’ormai imminente Ryder Cup dai cui cartelli si viene tempestati. Verso la partenza per l’Italia.
Verso il futuro della Scozia e del Regno Unito, di ogni nazione e di ogni angolo di terra, comunque si chiamino o si chiameranno un giorno.
La canzone
- WHEN TOMORROW COMES – Eurythmics
Annie Lennox e David A. Stewart: lei scozzese, lui inglese. Una miscela esplosiva ed elegante per la musica britannica, che conquista i fans di tutto il mondo.
Impegnata in molte cause umanitarie, Annie – ragazza di Aberdeen - non si tira indietro sulla questione referendaria, ma va con i piedi di piombo: né giocatrice d’azzardo, né veggente, crede che si tratti di una questione troppo complessa, da soppesare cautamente. Quando posta su Facebook l’Union Jack, si scatenerà il putiferio, ma lei replicherà: “Non c’erano messaggi nascosti, io neanche posso votare non risiedendo lì, spetta solo al popolo scozzese scegliere”.
Andrà giù più pesante cogliendo i sospiri postreferendari:  “Basta con i sentimenti anti inglesi, crescete”.
Il bello di questa canzone che vuole essere d’amore, ma di un amore mai stretto nei confini, è quanto ci sentiamo piccoli nell’universo. E’ che c’è qualcosa di eterno, e lo ricordano le stelle con la loro luce proveniente da milioni di anni. Quelle stelle che sulle Highlands hanno un sorriso magnetico e che sulle città di Scozia impallidiscono di fronte alle luci artificiali sempre più vivaci.
In queste note d’amore è racchiusa la promessa, per quando il futuro arriverà: esserci, sempre; essere la persona (o il popolo) che fa la differenza, che aspetta, che abbraccia chi appare fragile come un bambino.
Essere la persona su cui si può contare. Quando il domani arriverà, non sarà con un referendum, sarà anche solo rimanendo fedeli a se stessi. E quel “solo” sta già stretto come una frontiera.
C’è un sì che si può pronunciare, sempre, ed è quello che permette di stare accanto all’altro, in questo mondo pericoloso.
Aspettando il domani, spero che chi ha detto no, aiuti a ricucire con quella gentilezza, quell’attenzione all’altro che sono squisitamente scozzesi. E chi ha scritto sì, continui a metterlo in pratica rimanendo leale a se stesso e alla propria storia.

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