domenica 20 settembre 2015

Glenfinnan, il loch che disse no

CHI LO DICE AL PRINCIPE. O A HARRY POTTER
I am Connor MacLeod of the Clan MacLeod. I was born in
1518 in the village of Glenfinnan on the shores of Loch Shiel. And I
am immortal. (opening of Highlander)
(Bonnie Prince Charlie or Harry Potter? A hero or a wizard born from a novel? We can experiment both in Glenfinnan. But never say “lake” here)


Se non si è immortali qui, non so dove si possa esserlo. Lo riconosco, mentre entro in questo territorio che si stacca dalle Highlands, pur facendone immensamente parte. Si avvicina la sera e dopo tanti tentennamenti il sole si è affacciato giusto il tempo di congedarsi; non si può nemmeno rimproverarlo, perché riesce a tingere d’argento il Loch Shiel, dove appunto Connor MacLeod affermava di essere nato. E si preannuncia subito un lago stregato, che gioca con la storia e con il cinema mostrando uguale disinvoltura.
In realtà, Glenfinnan non si fa catturare dalle telecamere mentre Christopher Lambert interpreta l’ultimo immortale: è solo citato, rivendicato non si sa se con pudore e orgoglio, e resta poi nella fantasia, perché il lago che vedete è quello che ospita un angolo incantevole di Scozia, Eilean Donan. Un luogo che sa togliere il fiato a chi risale la costa occidentale della Scozia, magari verso la magica isola di Skye, ormai non più isola, visto il ponte costruito a perenne legame. Un castello che galleggia sul Loch Duich, così appare improvvisamente a chi arriva. E anche per questo castello si parla di un legame con Robert Bruce.
Il Loch Shiel, però, non si espone. Questa meraviglia ci accoglie con tutta la sua freschezza, la sera in cui il referendum è già storia e per i più delusi contro la storia.

Qui fierezza ferita e fantasia si uniscono, come queste onde ricche di personalità. Qui il Bonnie Prince Charlie, l’aspirante sovrano del quale troviamo tracce di devozione e malinconia nella Scozia intera, partì carico di speranze, con un popolo che pur rimaneva diviso, come si sarebbe dimostrato. E qui la certezza storica è entrata in competizione con l’invenzione pura: il cartello a cui i turisti prestano più attenzione, è probabilmente quello che indica l’orario del passaggio del treno sul viadotto. Di per sé, uno spettacolo suggestivo, ma molto di più quando evoca Harry Potter in viaggio verso la scuola di Hogswarts.

UN PRINCIPE SFORTUNATO
Ashley o Primula Rossa? A voi la scelta. Ma mi affascina che Leslie Howard volesse realizzare un film su Bonnie Prince Charlie. Profuma persino di libertà, come quella che stava a cuore all'attore britannico, morto in circostanze misteriose nel 1943.
Lasciatelo solo mentre guarda Rossella O'Hara, da lui ufficialmente respinta in nome dell'onore, allontanarsi in una delle scene clou di "Via col vento".
Entrate nei suoi occhi magnetici che frugano già verso un nuovo film. Che non potrà interpretare. Toccherà a David Niven, più inglese di lui se si può. Leslie era figlio di un ebreo ungherese e nacque a Londra nel 1893. Nella stessa capitale inglese venne alla luce David Niven, ma con il
padre originario del Perthshire. Di più, si vantava di essere nato a Kirriemuir, sempre la patria di Peter Pan, si trova su alcune fonti. Ma nella sua autobiografia Niven non ha remore nel confessare il lampo che si trasforma subito in tempesta e lascia poi i segni del naufragio. Viene reclutato per “Bonnie Prince Charlie” da Alexander Korda, che l’avvisa: starai via almeno otto mesi.
Riluttante per un delicato periodo familiare, Niven accetta, ma spiega con triste precisione: fu una di quelle grandemente floride stravaganze che sanno di disastro fin dall’inizio. Un cambio di regista cha si ripete tre volte e una battuta sarcastica: a cinque mesi di lavoro nessuno sa dirmi come finisce questa storia. Humour inglese che accompagna una reale tragedia scozzese.
Ma, diciamolo, di scozzese c’era poco in quel film del 1957. Lo riconosce lo stesso Niven, proseguendo nella descrizione senza pietà: non lo scenario, non gli attori e basta pensare che i selvaggi Highlanders furono arruolati tutti dall’East End di Londra.  Tra gli aneddoti, almeno per David un lieto fine c’è: incontrerà la donna che sposerà presto.
Il film resta però goffo e dimenticato.
Bisogna andare realmente a Glenfinnan, per riprendere la strada del Bonnie Prince Charlie. Ci arriviamo verso le sette, con una luce delicata e bizzarra. Poche case, il monumento sullo sfondo del lago, l’incursione in un bosco individuando il segnale dell’albergo. C’è un altro segnale, che sarà chiaro con il giorno. Un cartello con il “sì”, e un altro con il grido opposto sopra: una pacifica convivenza, una confessione di smarrimento.

Ci aspetta Glenfinnan House Hotel, proprio sulla baia. Prima di entrare nell’antica casa, bisogna fermarsi ad ascoltare il lago che non vuole addormentarsi. Il monumento si fa intravedere, come il Ben Nevis. Questo edificio fu costruito proprio come una locanda tra il 1752 e il 1755, pochi anni dopo l’avvenimento che segna il paese. Lo fa Alexander MacDonald VII di Glenaladale, ferito nella disfatta di Culloden. Da fattoria a casa, mentre viene costruita anche la chiesa, nell’Ottocento. Trecento anni dopo, la casa e le terre non appartengono più alla famiglia e arrivano i MacFarlane nel 1971 a risanare l’ampia casa e trasformarla in hotel.
Ampliando lo sguardo, tutto porta le tracce dei MacDonald. Lo stesso ponte ferroviario, noto proprio come Glenfinnan Viaduct. Lungo 416 yards e costituito da ben 21 archi, di cui il più alto risulta alto 100 piedi. Altro particolare considerevole, la curvatura del viadotto, che si dirige verso la valle del fiume Finnan. Non si tratta tuttavia dell’unico segno di collegamento tra un piccolo mondo e ciò che lo circonda: c’è anche un servizio di navigazione.
Due secoli fa, la popolazione difficilmente superava le quaranta anime; ora è arrivata a quota cento, apprendo.
Una piccola barca sembra aspettare la sera, mentre si spalancano le porte del nostro albergo, con il camino acceso e camere che continuano a raccontare un’ospitalità leggendaria. E non si può non pensare che su una piccola barca arrivò il Bonnie Prince Charlie, nel primo pomeriggio del 19 agosto 1745. Egli scese e incontrò una scorta di 50 MacDonald, poi si ritirò e attese la risposta alle lettere inviate in tutte le Highlands. Altri 150 MacDonald si presentarono, quindi nulla accadde. Dolorosamente, come un’eco di anticipazione, il principe si preparò a partire con un seguito così limitato, per un’avventura immensa. Aveva 25 anni, questo Stuart, ed era animato dal sogno del padre, ma il nemico era imponente.
Ci si può sentire molto soli, qui, anche se la natura protegge e consola, cambia colori a ogni angolazione di sguardo. O forse è proprio questa premura, paradossalmente, a comunicare la percezione del proprio limite, della propria unicità dolorosa e confinante.
Aveva ragione lei, anche se tutto poté dissolversi, quando un suono percosse le vallate: c’erano cornamuse nell’aria e osservando il Loch Shiel in questa sera così mite e amichevole, pare di vedere le note prendere corpo e unirsi all’acqua che non sta mai immobile un istante, come a riprodurre la scena, viva e fiammante.
Potete persino vedere questo giovane, aspirante re, che sa farsi ben volere da tutti, tanto da conquistarsi questo nome amabile nella storia, ma deve aver tremato non poco. La luce delle Highlands gli rivela la presenza di mille uomini pronti a partire con lui: vengono dal Nord, dal clan Cameron. Ci saranno anche trecento MacDonnells, in ritardo per un incidente: così si può definire un incontro con truppe governative, quando si riesce a sfuggire.
Può bastare? Il condottiero deve prendere coraggio, oltre che orgoglio, e decide di salire sulla collina dietro il punto dove oggi si può trovare il Visitor Centre del National Trust of Scotland. Da lassù, prende ancora più vigore la decisione e viene alzata la bandiera. Una cerimonia breve, che dura poco di più solo per tradurre in Gaelico ciò che dice il principe. Poi, lui ordina di distribuire brandy ai suoi uomini. Serve altra forza, ancora.
Tutto il resto è storia. I primi successi, la decisione – sbagliata – di puntare sull’Inghilterra, la sconfitta a Culloden con ferite devastanti che si protraggono nel tempo per gli scozzesi. E il principe che si salva, solo grazie al coraggio di alcuni concittadini, tra i quali la giovane Flora MacDonald che lo fa fuggire, travestendolo da sua servetta.
Vi devo una corona: nel film definito disastro, vediamo il finale gentile, cavalleresco in cui David Niven si congeda da Margareth Leighton. 
E torniamo al 2014. Gli elettori delle Highlands sostengono il no: il 53%.  Se la media dei votanti in Scozia è dell’84,5%, qui è dell’86,9%, quindi qualcosa in più.
Teniamo stampate nella mente queste dichiarazioni di appartenenza al  Regno Unito, mentre varchiamo la soglia dell’albergo. Talmente schiava dell’incantesimo appena visto, mi sento in dovere di commentare: “The lake is beautiful”.
La cortese signora dall’altra parte interrompe le pratiche di registrazione: “Loch, please. ‘Lake’ is English”.
Percentuali, che cosa siete poi?
NON SI MANGIA L’INDIPENDENZA
In questo clima giacobita, ritengo sia arrivato il momento giusto per gustarmi un haggis con tutti i crismi.  Agli italiani e immagino non solo, spesso non va giù perché si soffermano sulla descrizione dei particolari: un insaccato di interiora di pecora, macinate con cipolla, grasso di rognone, spezie e avena, il tutto da bollire nello stomaco dell’animale. Per sopravvivere nell’era moderna, ne hanno anche ideato uno vegetariano. Intanto negli Usa è stato bandito per anni e ora si torna a invocare una riapertura: in fondo, la comunità scozzese è ampiamente rappresentata.
L’accostamento tradizionale di questo pasticcio – celebrato magistralmente da Robert Burns in un’ode, tant’è che il 30 gennaio, compleanno del poeta, ne è raccomandata la preparazione – è con una specie di rape e patate: whisky ampiamente raccomandato per valorizzarlo e digerirlo.


Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei o cerchi ancora di essere. Una doccia fredda pochi mesi prima del referendum è arrivata da una ricerca, pubblicata sui giornali britannici, secondo cui almeno metà dei bambini scozzesi non hanno mai assaggiato il pasticcio tradizionale. L’inchiesta – firmata Travelodge - coinvolgeva mille piccoli inglesi e altrettanti scozzesi, dai cinque ai sedici anni. Ancor meno pervenuto il black pudding – un specie di sanguinaccio che spesso troverete servito anche come Scottish breakfast – visto che il 72% non l’aveva mai toccato. Risultati condivisi su altri cibi tradizionali. Di qui l’appello della catena: “Il cibo è una parte consistente dell’eredità britannica e rischiamo di perdere alcuni dei nostri piatti regionali più famosi, perché ai bambini non si offre l’opportunità di provarli”.
Questo studio e la preoccupazione che ne consegue rendono conducono un piatto così locale in una riflessione mondiale, con i piatti che rischiano di scomparire e con essi la cultura.
Io la mattina dopo, vedo turisti spagnoli fare colazione con salmone e stoicamente rifiuto il bis con l’haggis. Ma porridge, sì, per favore, come del reso faccio in Italia a volte: così, per sentirmi immersa in un viaggio a partire dal risveglio. O perché sono masochista, commenta qualcuno.
Intanto risento le parole di Robert Burns:
Fair fa' your honest, sonsie face, 
Great chieftain o the puddin'-race
Ma sì, che faccia onesta e bella hai tu, grande capo della razza dei pasticci.

SE CI FOSSE HARRY
Una faccia bella e onesta, come il lago questa mattina. L’argento ha lasciato il posto all’oro e non sento parlare di referendum per la prima volta dopo ore. Sono i turisti sulla scia di una stagione che corre verso la chiusura ad attraversare questo incantesimo. Di certo, le Highlands non tengono il broncio, come se non importasse. Come in fondo questo rimane un loch, e nessun verdetto referendario potrà cambiare una cultura, un’anima.
Allora, sentiamoci un po’ turisti. Nel Visitor Centre la storia continua, ma è inutile nascondere quale cartello sia il più sbirciato: quello che annuncia quando passerà il Jacobite Steam Train. Il suggestivo treno a vapore giacobita oggi richiama i fans di Harry Potter: il secondo e il terzo film della saga – Harry Potter and the Chamber of secrets, Harry Potter and the Prisoner of Akzaban – offrono la ribalta a Glenfinnan attraverso lo Hogwarts Express. Di più, gli alunni della Lochaber High School vennero reclutati in abiti da maghi. E ancora, la sequenza della macchina volante nel secondo film si lega comunque a questa zona, tant’è che si può vedere il Loch Shiel.
Non ci arrendiamo e prima del film ci godiamo la natura. Ci arrampichiamo fino alla chiesa di St. Mary e St. Finnan, sottoposta a restauri. Fu progettata da Edward Welby Pugin ed edificata nel 1873. Su questa collina il verde che si sta intingendo nell’autunno e il lago assumono contorni spettacolari. Un angelo sfodera una spada nella parete del santuario, ma è la pace la sensazione dominante e sul pendio un cane gioca con la padroncina grazie a un innaffiatoio rosso e ammaccato. Per accentuare le emozioni si può scendere e arrivare al monumento: questa torre che culmina con una scultura, a pochi passi dal lago, è come una vedetta rimasta sul posto per tutti. Per ricordare, per guidare, per non far sentire smarriti. Sull’altra sponda, vediamo il nostro albergo le cui pareti candide sono invase gioiosamente dal rosso delle piante rampicanti. Chiunque si sieda su una di quelle panche tra l’erba verdissima, si può sentire un Highlander.

Il monumento è protetto da una timida cerchia di mura e vede un silenzioso pellegrinaggio. Niente a che vedere con la frenesia frizzante poche decine metri più in là, che fruga tra i sogni con un unico appiglio alla realtà. Sogni che sfrecciano con un treno.
C’è una parola magica racchiusa appunto nel cartello del centro per i visitatori: viaduct, scritto a caratteri cubitali. Si danno istruzioni precise per arrivarci, scritte a mano, e si spiega che ci vorranno quindici minuti di cammino. Una folla di ogni età si dirige verso il parcheggio per poi prendere la via, anzi le vie. C’è chi preferisce andare sul sicuro, visto il poco tempo che manca alla prossima tappa, e osservare da lontano; chi invece vuole andare fin sotto gli archi.

E’ un’arrampicata lieve, con il sentiero che corre sull’erba incerta e qualche ultima traccia di fiore. Il treno passa e sembra così fragile, con il suo buffo rumore. Presto ne sfreccerà un altro, dallo stile più moderno, eppure trasmetterà in qualche modo un’altra magia. Forse Harry Potter ha perso il primo convoglio e questa volta si affiderà ai mezzi prediletti dai babbani, che lui non disprezza. Tutti, di ogni età, rimaniamo a fissare lassù e tra quegli immensi archi ci sentiamo minuscoli, ma se li superiamo con gli occhi e la mente, vediamo come anch’essi siano nulla, rispetto alle vallate che li abbracciano.
Tutto sembra così fragile, eppure così eterno, a Glenfinnan. Ci facciamo foto improvvisate, finché si ferma un’anziana coppia inglese. Lei ha le stampelle, ma scende con disinvoltura e ci chiede se vogliamo una foto insieme.


Così accade mentre si mischiano le nuvole e l’ultimo tocco di blu in una giornata che comunque non vuole lasciare l’estate di un’avventura. C’è una foto che mi importa quasi quanto questo panorama mozzafiato, che nessuna parola, nessuna immagine saprà rendere, ne sono consapevole.
Quei due cartelli – yes e no – appesi su un albero, in pacifica convivenza. Ma il “sì” oltre che più grande, è situato sopra: netto messaggio, una sola parola nei colori della croce di Sant’Andrea; il “no”, sotto, con l’invito a votare e un civile “thanks” com’è lo slogan della campagna.
Le percentuali sbiadiscono, nei riflessi di un lago che non si ferma mai, come se andasse avanti a precedere una nuova storia, soffiando come un treno.
CANZONE
Who wants to live forever, Queen, 1986.
Forse qui a Glenfinnan si potrebbe avere la tentazione di sognare l’eternità. E siccome ci piace scherzare, in puro spirito britannico, avrà ragione Wikipedia e sarà stata scritta a Londra da Brian May per la solida legge del contrappasso.
Ma come si fa a vivere per sempre, quando tutto attorno invecchia e muore?

Di sicuro, non c’è un tempo per noi, non c’è un posto. A Glenfinnan pare chiaro che questo mondo abbia un solo, dolce momento per noi. Che per il sempre sia oggi. Sul prato verdissimo di Glenfinnan House ci sono panchine di legno che invitano a fermarsi e sarà questa la musica che culla le acque del lago. Chiunque venga avvistato qui, solitario e pensieroso, potrà essere scambiato per un Highlander. E magari vivere per sempre, ovvero oggi.

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