CHI LO DICE AL PRINCIPE. O A HARRY POTTER
I am Connor MacLeod of the Clan MacLeod. I was born
in
1518 in the village of Glenfinnan on the shores of
Loch Shiel. And I
am immortal. (opening of Highlander)
(Bonnie
Prince Charlie or Harry Potter? A hero or a wizard born from a novel? We can
experiment both in Glenfinnan. But never say “lake” here)
Se non si è immortali qui, non so dove si possa
esserlo. Lo riconosco, mentre entro in questo territorio che si stacca dalle
Highlands, pur facendone immensamente parte. Si avvicina la sera e dopo tanti
tentennamenti il sole si è affacciato giusto il tempo di congedarsi; non si può
nemmeno rimproverarlo, perché riesce a tingere d’argento il Loch Shiel, dove
appunto Connor MacLeod affermava di essere nato. E si preannuncia subito un
lago stregato, che gioca con la storia e con il cinema mostrando uguale
disinvoltura.
In realtà, Glenfinnan non si fa catturare dalle
telecamere mentre Christopher Lambert interpreta l’ultimo immortale: è solo
citato, rivendicato non si sa se con pudore e orgoglio, e resta poi nella
fantasia, perché il lago che vedete è quello che ospita un angolo incantevole
di Scozia, Eilean Donan. Un luogo che sa togliere il fiato a chi risale la
costa occidentale della Scozia, magari verso la magica isola di Skye, ormai non
più isola, visto il ponte costruito a perenne legame. Un castello che galleggia
sul Loch Duich, così appare improvvisamente a chi arriva. E anche per questo
castello si parla di un legame con Robert Bruce.
Il Loch Shiel, però, non si espone. Questa
meraviglia ci accoglie con tutta la sua freschezza, la sera in cui il
referendum è già storia e per i più delusi contro la storia.
Qui fierezza ferita e fantasia si uniscono, come
queste onde ricche di personalità. Qui il Bonnie Prince Charlie, l’aspirante
sovrano del quale troviamo tracce di devozione e malinconia nella Scozia
intera, partì carico di speranze, con un popolo che pur rimaneva diviso, come
si sarebbe dimostrato. E qui la certezza storica è entrata in competizione con
l’invenzione pura: il cartello a cui i turisti prestano più attenzione, è
probabilmente quello che indica l’orario del passaggio del treno sul viadotto.
Di per sé, uno spettacolo suggestivo, ma molto di più quando evoca Harry Potter
in viaggio verso la scuola di Hogswarts.
UN PRINCIPE SFORTUNATO
Ashley o Primula Rossa? A voi la scelta. Ma mi
affascina che Leslie Howard volesse realizzare un film su Bonnie Prince
Charlie. Profuma persino di libertà, come quella che stava a cuore all'attore britannico,
morto in circostanze misteriose nel 1943.
Lasciatelo solo mentre guarda Rossella O'Hara, da
lui ufficialmente respinta in nome dell'onore, allontanarsi in una delle scene
clou di "Via col vento".
Entrate nei suoi occhi magnetici che frugano già
verso un nuovo film. Che non potrà interpretare. Toccherà a David Niven, più
inglese di lui se si può. Leslie era figlio di un ebreo ungherese e nacque a
Londra nel 1893. Nella stessa capitale inglese venne alla luce David Niven, ma
con il
padre originario del Perthshire. Di più, si vantava
di essere nato a Kirriemuir, sempre la patria di Peter Pan, si trova su alcune
fonti. Ma nella sua autobiografia Niven non ha remore nel confessare il lampo
che si trasforma subito in tempesta e lascia poi i segni del naufragio. Viene
reclutato per “Bonnie Prince Charlie” da Alexander Korda, che l’avvisa: starai
via almeno otto mesi.
Riluttante per un delicato periodo familiare,
Niven accetta, ma spiega con triste precisione: fu una di quelle grandemente
floride stravaganze che sanno di disastro fin dall’inizio. Un cambio di regista
cha si ripete tre volte e una battuta sarcastica: a cinque mesi di lavoro
nessuno sa dirmi come finisce questa storia. Humour inglese che accompagna una
reale tragedia scozzese.
Ma, diciamolo, di scozzese c’era poco in quel
film del 1957. Lo riconosce lo stesso Niven, proseguendo nella descrizione
senza pietà: non lo scenario, non gli attori e basta pensare che i selvaggi
Highlanders furono arruolati tutti dall’East End di Londra. Tra gli aneddoti, almeno per David un lieto
fine c’è: incontrerà la donna che sposerà presto.
Il film resta però goffo e dimenticato.
Bisogna andare realmente a Glenfinnan, per
riprendere la strada del Bonnie Prince Charlie. Ci arriviamo verso le sette,
con una luce delicata e bizzarra. Poche case, il monumento sullo sfondo del
lago, l’incursione in un bosco individuando il segnale dell’albergo. C’è un
altro segnale, che sarà chiaro con il giorno. Un cartello con il “sì”, e un
altro con il grido opposto sopra: una pacifica convivenza, una confessione di smarrimento.
Ci aspetta Glenfinnan House Hotel, proprio
sulla baia. Prima di entrare nell’antica casa, bisogna fermarsi ad ascoltare il
lago che non vuole addormentarsi. Il monumento si fa intravedere, come il Ben
Nevis. Questo edificio fu costruito proprio come una locanda tra il 1752 e il
1755, pochi anni dopo l’avvenimento che segna il paese. Lo fa Alexander
MacDonald VII di Glenaladale, ferito nella disfatta di Culloden. Da fattoria a
casa, mentre viene costruita anche la chiesa, nell’Ottocento. Trecento anni
dopo, la casa e le terre non appartengono più alla famiglia e arrivano i
MacFarlane nel 1971 a risanare l’ampia casa e trasformarla in hotel.
Ampliando lo sguardo, tutto porta le tracce
dei MacDonald. Lo stesso ponte ferroviario, noto proprio come Glenfinnan
Viaduct. Lungo 416 yards e costituito da ben 21 archi, di cui il più alto
risulta alto 100 piedi. Altro particolare considerevole, la curvatura del
viadotto, che si dirige verso la valle del fiume Finnan. Non si tratta tuttavia
dell’unico segno di collegamento tra un piccolo mondo e ciò che lo circonda:
c’è anche un servizio di navigazione.
Due secoli fa, la popolazione difficilmente
superava le quaranta anime; ora è arrivata a quota cento, apprendo.
Una piccola barca sembra aspettare la sera, mentre
si spalancano le porte del nostro albergo, con il camino acceso e camere che
continuano a raccontare un’ospitalità leggendaria. E non si può non pensare che
su una piccola barca arrivò il Bonnie Prince Charlie, nel primo pomeriggio del
19 agosto 1745. Egli scese e incontrò una scorta di 50 MacDonald, poi si ritirò
e attese la risposta alle lettere inviate in tutte le Highlands. Altri 150
MacDonald si presentarono, quindi nulla accadde. Dolorosamente, come un’eco di
anticipazione, il principe si preparò a partire con un seguito così limitato,
per un’avventura immensa. Aveva 25 anni, questo Stuart, ed era animato dal
sogno del padre, ma il nemico era imponente.
Ci si può sentire molto soli, qui, anche se
la natura protegge e consola, cambia colori a ogni angolazione di sguardo. O
forse è proprio questa premura, paradossalmente, a comunicare la percezione del
proprio limite, della propria unicità dolorosa e confinante.
Aveva ragione lei, anche se tutto poté
dissolversi, quando un suono percosse le vallate: c’erano cornamuse nell’aria e
osservando il Loch Shiel in questa sera così mite e amichevole, pare di vedere
le note prendere corpo e unirsi all’acqua che non sta mai immobile un istante,
come a riprodurre la scena, viva e fiammante.
Potete persino vedere questo giovane,
aspirante re, che sa farsi ben volere da tutti, tanto da conquistarsi questo
nome amabile nella storia, ma deve aver tremato non poco. La luce delle
Highlands gli rivela la presenza di mille uomini pronti a partire con lui:
vengono dal Nord, dal clan Cameron. Ci saranno anche trecento MacDonnells, in
ritardo per un incidente: così si può definire un incontro con truppe
governative, quando si riesce a sfuggire.
Può bastare? Il condottiero deve prendere
coraggio, oltre che orgoglio, e decide di salire sulla collina dietro il punto
dove oggi si può trovare il Visitor Centre del National Trust of Scotland. Da
lassù, prende ancora più vigore la decisione e viene alzata la bandiera. Una
cerimonia breve, che dura poco di più solo per tradurre in Gaelico ciò che dice
il principe. Poi, lui ordina di distribuire brandy ai suoi uomini. Serve altra
forza, ancora.
Tutto il resto è storia. I primi successi, la
decisione – sbagliata – di puntare sull’Inghilterra, la sconfitta a Culloden
con ferite devastanti che si protraggono nel tempo per gli scozzesi. E il
principe che si salva, solo grazie al coraggio di alcuni concittadini, tra i
quali la giovane Flora MacDonald che lo fa fuggire, travestendolo da sua
servetta.
Vi devo una corona: nel film definito disastro,
vediamo il finale gentile, cavalleresco in cui David Niven si congeda da
Margareth Leighton.
E torniamo al 2014. Gli elettori delle
Highlands sostengono il no: il 53%. Se
la media dei votanti in Scozia è dell’84,5%, qui è dell’86,9%, quindi qualcosa
in più.
Teniamo stampate nella mente queste
dichiarazioni di appartenenza al Regno
Unito, mentre varchiamo la soglia dell’albergo. Talmente schiava
dell’incantesimo appena visto, mi sento in dovere di commentare: “The lake is
beautiful”.
La cortese signora dall’altra parte
interrompe le pratiche di registrazione: “Loch, please. ‘Lake’ is English”.
Percentuali, che cosa siete poi?
NON SI MANGIA L’INDIPENDENZA
In questo clima giacobita, ritengo sia
arrivato il momento giusto per gustarmi un haggis con tutti i crismi. Agli italiani e immagino non solo, spesso non
va giù perché si soffermano sulla descrizione dei particolari: un insaccato di
interiora di pecora, macinate con cipolla, grasso di rognone, spezie e avena,
il tutto da bollire nello stomaco dell’animale. Per sopravvivere nell’era
moderna, ne hanno anche ideato uno vegetariano. Intanto negli Usa è stato
bandito per anni e ora si torna a invocare una riapertura: in fondo, la
comunità scozzese è ampiamente rappresentata.
L’accostamento tradizionale di questo
pasticcio – celebrato magistralmente da Robert Burns in un’ode, tant’è che il
30 gennaio, compleanno del poeta, ne è raccomandata la preparazione – è con una
specie di rape e patate: whisky ampiamente raccomandato per valorizzarlo e
digerirlo.
Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei o cerchi
ancora di essere. Una doccia fredda pochi mesi prima del referendum è arrivata
da una ricerca, pubblicata sui giornali britannici, secondo cui almeno metà dei
bambini scozzesi non hanno mai assaggiato il pasticcio tradizionale.
L’inchiesta – firmata Travelodge - coinvolgeva mille piccoli inglesi e
altrettanti scozzesi, dai cinque ai sedici anni. Ancor meno pervenuto il black
pudding – un specie di sanguinaccio che spesso troverete servito anche come
Scottish breakfast – visto che il 72% non l’aveva mai toccato. Risultati
condivisi su altri cibi tradizionali. Di qui l’appello della catena: “Il cibo è
una parte consistente dell’eredità britannica e rischiamo di perdere alcuni dei
nostri piatti regionali più famosi, perché ai bambini non si offre
l’opportunità di provarli”.
Questo studio e la preoccupazione che ne
consegue rendono conducono un piatto così locale in una riflessione mondiale,
con i piatti che rischiano di scomparire e con essi la cultura.
Io la mattina dopo, vedo turisti spagnoli
fare colazione con salmone e stoicamente rifiuto il bis con l’haggis. Ma
porridge, sì, per favore, come del reso faccio in Italia a volte: così, per
sentirmi immersa in un viaggio a partire dal risveglio. O perché sono masochista,
commenta qualcuno.
Intanto risento le parole di Robert Burns:
Fair fa' your honest, sonsie face,
Great
chieftain o the puddin'-race
Ma sì, che faccia onesta e bella hai tu,
grande capo della razza dei pasticci.
SE CI FOSSE HARRY
Una faccia bella e onesta, come il lago
questa mattina. L’argento ha lasciato il posto all’oro e non sento parlare di
referendum per la prima volta dopo ore. Sono i turisti sulla scia di una
stagione che corre verso la chiusura ad attraversare questo incantesimo. Di
certo, le Highlands non tengono il broncio, come se non importasse. Come in
fondo questo rimane un loch, e nessun verdetto referendario potrà cambiare una
cultura, un’anima.
Allora, sentiamoci un po’ turisti. Nel
Visitor Centre la storia continua, ma è inutile nascondere quale cartello sia
il più sbirciato: quello che annuncia quando passerà il Jacobite Steam Train.
Il suggestivo treno a vapore giacobita oggi richiama i fans di Harry Potter: il
secondo e il terzo film della saga – Harry Potter and the Chamber of secrets,
Harry Potter and the Prisoner of Akzaban – offrono la ribalta a Glenfinnan
attraverso lo Hogwarts Express. Di più, gli alunni della Lochaber High School
vennero reclutati in abiti da maghi. E ancora, la sequenza della macchina
volante nel secondo film si lega comunque a questa zona, tant’è che si può
vedere il Loch Shiel.
Non ci arrendiamo e prima del film ci godiamo
la natura. Ci arrampichiamo fino alla chiesa di St. Mary e St. Finnan,
sottoposta a restauri. Fu progettata da Edward Welby Pugin ed edificata nel
1873. Su questa collina il verde che si sta intingendo nell’autunno e il lago
assumono contorni spettacolari. Un angelo sfodera una spada nella parete del
santuario, ma è la pace la sensazione dominante e sul pendio un cane gioca con
la padroncina grazie a un innaffiatoio rosso e ammaccato. Per accentuare le
emozioni si può scendere e arrivare al monumento: questa torre che culmina con
una scultura, a pochi passi dal lago, è come una vedetta rimasta sul posto per
tutti. Per ricordare, per guidare, per non far sentire smarriti. Sull’altra
sponda, vediamo il nostro albergo le cui pareti candide sono invase
gioiosamente dal rosso delle piante rampicanti. Chiunque si sieda su una di
quelle panche tra l’erba verdissima, si può sentire un Highlander.
Il monumento è protetto da una timida cerchia
di mura e vede un silenzioso pellegrinaggio. Niente a che vedere con la
frenesia frizzante poche decine metri più in là, che fruga tra i sogni con un
unico appiglio alla realtà. Sogni che sfrecciano con un treno.
C’è una parola magica racchiusa appunto nel
cartello del centro per i visitatori: viaduct, scritto a caratteri cubitali. Si
danno istruzioni precise per arrivarci, scritte a mano, e si spiega che ci
vorranno quindici minuti di cammino. Una folla di ogni età si dirige verso il
parcheggio per poi prendere la via, anzi le vie. C’è chi preferisce andare sul
sicuro, visto il poco tempo che manca alla prossima tappa, e osservare da
lontano; chi invece vuole andare fin sotto gli archi.
E’ un’arrampicata lieve, con il sentiero che
corre sull’erba incerta e qualche ultima traccia di fiore. Il treno passa e
sembra così fragile, con il suo buffo rumore. Presto ne sfreccerà un altro,
dallo stile più moderno, eppure trasmetterà in qualche modo un’altra magia.
Forse Harry Potter ha perso il primo convoglio e questa volta si affiderà ai
mezzi prediletti dai babbani, che lui non disprezza. Tutti, di ogni età,
rimaniamo a fissare lassù e tra quegli immensi archi ci sentiamo minuscoli, ma
se li superiamo con gli occhi e la mente, vediamo come anch’essi siano nulla,
rispetto alle vallate che li abbracciano.
Tutto sembra così fragile, eppure così
eterno, a Glenfinnan. Ci facciamo foto improvvisate, finché si ferma un’anziana
coppia inglese. Lei ha le stampelle, ma scende con disinvoltura e ci chiede se
vogliamo una foto insieme.
Così accade mentre si mischiano le nuvole e
l’ultimo tocco di blu in una giornata che comunque non vuole lasciare l’estate
di un’avventura. C’è una foto che mi importa quasi quanto questo panorama mozzafiato,
che nessuna parola, nessuna immagine saprà rendere, ne sono consapevole.
Quei due cartelli – yes e no – appesi su un
albero, in pacifica convivenza. Ma il “sì” oltre che più grande, è situato
sopra: netto messaggio, una sola parola nei colori della croce di Sant’Andrea;
il “no”, sotto, con l’invito a votare e un civile “thanks” com’è lo slogan
della campagna.
Le percentuali sbiadiscono, nei riflessi di
un lago che non si ferma mai, come se andasse avanti a precedere una nuova
storia, soffiando come un treno.
CANZONE
Who wants to live forever, Queen, 1986.
Forse qui a Glenfinnan si potrebbe avere la
tentazione di sognare l’eternità. E siccome ci piace scherzare, in puro spirito
britannico, avrà ragione Wikipedia e sarà stata scritta a Londra da Brian May
per la solida legge del contrappasso.
Ma come si fa a vivere per sempre, quando
tutto attorno invecchia e muore?
Di sicuro, non c’è un tempo per noi, non c’è
un posto. A Glenfinnan pare chiaro che questo mondo abbia un solo, dolce
momento per noi. Che per il sempre sia oggi. Sul prato verdissimo di Glenfinnan
House ci sono panchine di legno che invitano a fermarsi e sarà questa la musica
che culla le acque del lago. Chiunque venga avvistato qui, solitario e pensieroso,
potrà essere scambiato per un Highlander. E magari vivere per sempre, ovvero
oggi.
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