venerdì 18 settembre 2015

La lunga notte di Edimburgo (1) - un anno fa indyref on the road

LA LUNGA NOTTE A EDIMBURGO
Such a long night in Edinburgh
“Huge day for Scotland today… let’s do this” 18 settembre 20.08 @andy_murray

(In a misty Edinburgh I met a lot of yes voters: no supporters looked shy. I had the opportunity of listening to many people, but Fiona impressed me a lot. The long night was just beginning)

Il benvenuto arriva in modo terribilmente convenzionale: con una nebbia
fredda che veste Edimburgo in abbondanza. Ammetto, arrampicandomi tra le meraviglie del castello: non ho mai visto la capitale così grigia.

Anzi, conto le mie visite negli ultimi vent'anni e ho quasi sempre condiviso la fortuna del sole, contro ogni scommessa, contro ogni tradizione conclamata. In questo grigiore, ci sono solo i colori del referendum a farsi notare.
Non nell'area del castello, come un'isola sacra della storia. Eppure proprio da qui, mi ricordo le ragioni dei secoli, che portano il peso della sofferenza. Dettagli per sorridere, il ricordo di una vecchia guida che bacchettava gli inglesi a suon di battute. Una, sui cannoni: noi spariamo alla una, non a mezzogiorno, mica siamo sciocchi come gli inglesi. Undici colpi sonoramente risparmiati, vuoi mettere.
Uno dei luoghi che amo di più, tuttavia, è la cappella di Santa Margherita. Anche qui ricordo un aneddoto del nostro baldo Virgilio. Ne decantò le virtù, poi simulò un singhiozzo nell'ammettere un'ombra devastante: era inglese. Santa nella compassione, nell’amore coniugale e filiale. Quello filiale in particolare, a giudicare dalla santità dei suoi figli.

Di solito, cercavamo apposta negli anni quella guida, istruttiva e simpatica. Ci ridevamo su e proseguivamo nella visita. Ma oggi non è un giorno qualunque. Nella cappella mi soffermo sull'amore, che più assomiglia a devozione, tra i sovrani, la regina che muore alla notizia della scomparsa del consorte e del figlio. E’ un piccolo, pacifico gioiello, che prende le distanze dall'immenso cannone appena fuori: peraltro, si tratta di una old lady, come avvisa l’insegna, ovvero Mons Meg, che più di mezzo millennio fa terrorizzava i nemici, ma ora implora un livello di rispetto minimo, tipo non arrampicarcisi sopra. Non basta a ridare fiato alle battaglie la presenza di una vetrata dedicata a William Wallace. Qui vince l'armonia, scandita dalla preghiera e dai colori luminosi insinuati tra le pietre.
Quando esco, la nebbia marina è più compatta che mai e della città, si vede poco o nulla. Un maxi cartello con un “Yes” fora il muro soffice con un tocco di impertinenza, per il resto si danno il cambio corvi e gabbiani.

Bisogna scendere dolcemente, lasciarsi alle spalle la porta e il motto: nemo me impune lacessit. Ripenso anche al cardo, l'angelo custode della Scozia, che si unisce a questa fiera dichiarazione. La notte dell'agguato, quando gli scozzesi dormivano ignari nell'accampamento, ma i vichinghi si avvicinavano. Per coglierli di sorpresa, vollero procedere a piedi nudi, in pieno silenzio.
Il cardo si ribellò per primo all'astuzia e invocò almeno leale combattimento: punse la loro pelle nuda e i soldati gridarono dal dolore. Così la vittoria facile divenne sconfitta e il cardo, le sue spine protettive, si legarono alla storia della Scozia.
Come si capovolgono, le umani sorti. Ma questa notte, chi dovrà proteggere, il cardo custode?

La tregua, fuori dal castello, è subito interrotta. Mi ero immersa nel clima di battaglia civile, fin dalla zona del bed and breakfast: sulla sua porta un tenace adesivo "yes", che si replicava sulle soglie circostanti, ma spuntava anche qualche no e si faceva notare una bandiera del Regno Unito.
Ci si può guardare così, negli occhi, quasi con sfida, ma conservando il rispetto. Su Broughton Street apro l’Ipad e scatto una fotografia: la via sullo sfondo, in primo piano un sito Facebook, dove le immagini delle due possibilità di voto sono unite, in pace tracciando il cammino a partire dal 19 settembre, comunque vada. Affrontare il percorso verso il e dal castello vuol dire incontrare tante persone con adesivi minuscoli sulla giacca e – poche – altre che si espongono con bandiere, palloncini, ulteriori modi di attirare l’attenzione: questi ultimi appartengono soprattutto al movimento pro indipendenza e fermano i passanti senza timidezze.
Verso Leith Street un drappello più visibile con i colori della Croce di Sant’Andrea. Mi offre un adesivo che conservo, un ragazzino biondissimo che mi ricorda tanto il mio figlioccio. Penso che sì, avrà sedici anni e con un garbo da piccolo lord consegna la sua indicazione di voto ai passanti, da lui spesso visibilmente incantati. Penso che non è troppo piccolo, però, che voterà, che gli hanno dato fiducia e comunque vada per lui sarà una vittoria. Una sconfitta delle sue convinzioni o un sogno da dipingere nella vita del suo Paese, comunque una base solida da cui ripartire più forte. Sono molto giovani, questi militanti e quasi nessuno sa resistere dal prendere un gadget, a volte persino indossarlo. Io metto istintivamente l’adesivo sul polso, sotto la giacca. Voglio tenere in una simile giornata quel “yes” per ricordarmi l’incontro e nello stesso tempo non tenere lontano chi la pensa diversamente. Ho bisogno di ascoltare chi la pensa diversamente.
Invece, è terribilmente difficile. Me ne renderò conto con chiarezza più tardi, quando finito il giro al castello mi vengono date le istruzioni sul primo articolo da mandare all’Eco di Bergamo: righe e soprattutto tempi. Strettissimi, perché c’è un’ora di differenza con l’Italia e io non ho ancora trovato un no dichiarato.
Nel frattempo, di sì ne sono sfilati a iosa. Anche come l’improbabile sfida di Izzy, artista di strada che dalle sei di mattina – assicura – sta suonando con la fisarmonica “Flower of Scotland”. Il cartello che espone questo cowboy scozzese, chiede provocatoriamente: conoscete un novoter che sappia cantarlo? Non senza un nodo alla gola, scherza.
Si chiama come il chitarrista dei Guns N’ Roses: improbabile, penso, ma mi fermo un po’ con lui visto che la folla si sta diradando con lo spegnersi del pomeriggio. E’ difficile capire chi ci creda, chi ci stia attirando attenzione, chi cerchi anche di farci un piccolo business come sussurra la scatola in cui cadono le monete degli ammiratori. Lui tra poco se ne andrà e seguirà lo scrutinio con un amico. In un pub, magari. Non lontano, nelle strade che si stanno svuotando più veloci della luce settembrina, c’è l’Oxford Bar, irrinunciabile tappa per i fans dell’ispettore Rebus. E’ riparato dal cuore turistico, come a rivendicare la propria identità. Un pub semplice e irresistibile, dove il calore delle discussioni scorre con la birra. Sarà ancora più rovente stasera, come tanti altri locali.
Festeggerete? Vi commisererete? Siete indifferenti? E’ comunque una buona occasione per passare a prendere una bottiglia di champagne, oggi assicura il Villeneuve Wines.
Per le celebrazioni in casa, ma è il filo conduttore di questa notte in Scozia. I pub hanno una licenza speciale e potranno restare aperti per accogliere chi non vuole aspettare in casa. Chi vuole condividere con il maggior numero di persone, anche sconosciute, il verdetto che segnerà il futuro della Scozia.
Tra i più rumorosi, ci sono i catalani. Vestono la bandiera e si aggirano festosi per Edimburgo, come se votassero loro. Toccherà a loro, certo, tra un mese e mezzo: ma non sarà proprio la stessa cosa, visto che il referendum non avrà alcun valore legale. Ma non è ancora ufficiale oggi e i gruppi ospiti quasi battono per volume quelli scozzesi.


A Edimburgo, devo confessare, mi accade una cosa strana. Un fuori programma di amena modernità, oserei definirlo. Perché mi convinco di aver lasciato la penna e il blocnotes nel bagaglio a mano, nel bed and breakfast, quindi mi lancio alla ricerca di una cartoleria per rifornirmi. Incontro un sacco di negozi di abbigliamento o tecnologici, tant’è che mi rifornirò di altro, ma per trovare una biro devo frugare in un locale di souvenir. Eppure me la dimenticherò in fondo allo zaino, quando incontrerò uno dei personaggi più mirabili e continuerò ad appuntarmi tutto sullo smartphone.
Signori, è entrata in scena Fiona.
LE BANDIERE IN TESTA
Mettiamolo così. Tu lavori, tutto il giorno, dalle nove alle fatidiche cinque anglosassoni e cerchi di rimanere concentrato nella giornata che ritieni fondamentale per il tuo Paese. Quando hai finito, senza dare a vedere quel fuoco che ti scava, esci. E ti trasformi.
Come un Clark Kent qualsiasi, entri in una cabina immaginaria. Trovi un rifugio e ti cambi: la bandiera di Sant’Andrea annodata come un foulard al collo, adesivi di misura aggressiva con “yes” sulle maniche e altri più piccoli sul volto, una fascia sui capelli, una borsa di accompagnamento e infine bandierine conficcate nella fascia vicino alle orecchie. C’è anche un adesivo particolare, riservato a un tema che le sta molto a cuore: il sistema sanitario nazionale.
Fiona non passa inosservata, perché non vuole. Affronterà tutto il percorso di casa così e avrà un’arma in più: il sorriso. Oh sì, è chiaro, le numerose persone che si fermano a parlare con lei, tra cui qualche giornalista, sono attirate dalla dichiarazione sfacciata di sostegno all’autonomia.
Ma Fiona non è sfacciata: «Sei di un giornale? Ti prego, fotografami pure, ma non mettere il mio cognome».


Attorno a lei, non sapevano di questa sua idea. Della sua determinazione a sfruttare queste ultime ore per una propaganda massiccia. Vi sembrerà un’incongruenza, visto che la sua immagine comparirà sui giornali e quindi sarà riconosciuta. Eppure capita spesso. Penso anche durante il mio lavoro giornalistico quante volte sia accaduto di sentire questa richiesta: come se il nome fosse qualcosa di più prezioso, qualcosa in grado di garantire una reale protezione rispetto al volto. Si può essere un viso tra la folla, da confondere, ma il nome ci definisce, irrimediabilmente, in barba anche alle omonimie.
Fiona sembra una donna generosa: non ha figli, ma pensa al futuro dei bambini. E questo per lei è essere scozzese.
«Noi abbiamo una maggiore consapevolezza sociale – afferma – A me importa questo, come l’educazione. L’ambiente, la società, la sanità per i più deboli sono priorità per noi, non le guerre». Si preoccupa dei ragazzini – in Scozia gli studenti universitari non pagano tasse, sapete -  e ancora di più degli anziani.
Westminster. Quando sussurra questa parola, è come se evocasse un mondo lontano. Nulla contro Londra, è Westminster. Concetto che mi ripeteranno altri yesvoters.
«Ora vado – dice Fiona – devo raggiungere una mia amica e stasera aspetteremo l’esito del referendum insieme». Si allontana in quella nebbia gelida che non è nebbia, in quel respiro del mare che non vuole lasciare la costa e la sua storia. Fiona continua un viaggio, tra passanti che la fermano e implorano di scattare una foto con lei, specialmente se si tratta di turisti.
Fiona non è un’esaltata, è una donna gentile che crede nella cultura e nel prendersi cura degli altri. Non si aspetta la vittoria («Troppa propaganda mediatica contro, troppe paure»), ma nessuno potrà toglierle il diritto di sperare.
Fa sempre più freddo e la folla si dirada, anche tornando verso Prince Street. Determinata, fermo una coppia di anziane amiche. Accidenti se una di loro non voterà no. In un certo senso, non sbaglio. La scozzese è per il sì, ma la sorpresa è l’altra: inglese, naturalmente. Due amiche quasi inseparabili, che fingono anche di bisticciare ridendo per le inesistenti telecamere.
Sì, vanno in vacanza insieme, pure. E oggi la scozzese ha messo nero su bianco all’inglese che vuole separarsi dal suo bel Regno. Pazienza, è la replica dell’altra, che ha sposato uno scozzese. Continueranno a viaggiare insieme e si divertiranno un mondo. Del resto, se entrate nelle loro case, troverete uno specchio di questo mondo: chi ha il genero scozzese, chi la nuora inglese. Il Regno Unito è una famiglia che questa sera – la sera più importante dell’anno – sta facendo shopping insieme.
Il cane, è un’altra storia. Un signore, con barba e cappello da cowboy (ma nel segno del tartan) ha deciso di arruolare pure il cagnolino alla causa, avvolgendogli al collo un foulard bianco e blu. La bestiola, a onor del vero, non sembra convintissima, ma non ne fa nemmeno un dramma anche perché si prende coccole continue dai passanti.
NON E’ LA VIA
Di lì a pochi metri, un drappello che scandisce il sì, lancia attraverso una donna dai capelli lunghi e scuri un appello che sa più di anatema.
E i vicini di casa – con mio sommo sollievo di giornalista – sono i supporter del no. Così conosco Oliver. Quello che si può definire un gran bravo ragazzo.


Indossa jeans e un giubbotto e alla mia richiesta convoca i suoi soci di campagna elettorale per una foto tutti insieme. Ha 27 anni e proprio non capisce perché bisognerebbe pronunciare questo addio all’Inghilterra. «Non è questa la via – afferma, con un ardore composto che non mi suona affatto contraddittorio – Ce l’hanno con Westminster? Ma pensi, non è mai stato così vicino alla Scozia come negli ultimi anni. Cameron non è forse un nome scozzese?».
Ripasso. David Cameron, nato a Londra che più Londra non si può, nel 1966. Tuttavia, Oliver ha ragione: il padre di Cameron è scozzese, come trapela dallo stesso cognome, di un noto clan. E del resto, prima ancora e dall’altra parte politica, rammenta Oliver, c’era Tony Blair, nato a Edimburgo.
No, non bisogna staccarsi – insiste –e invece occorre cogliere le promesse fatte da Cameron sui maggiori poteri che verranno concessi alla Scozia.
Insieme, ripercorriamo anche il legame della famiglia reale. Mentre parla, ripenso al Glamis Castle, nei pressi di Dundee, uno dei castelli che mi ha sempre affascinato di più. Lì si sente il passaggio felice della Regina Madre, lì era nata anche la sorella di Elisabetta: come un mondo fatato, dove non entrano gli spettri o almeno si prova a tenerli lontani. Oppure a rispettarli, come la donna alla quale si lascia una sedia vuota per la messa nella cappella.
Proprio a Glamis, Carlo e Camilla (il castello appartiene ai Bowes-Lyon, nome che suggerisce anche il vincolo acquisito con quest’ultima) hanno inaugurato un memorial dedicato alla Regina Madre.
Ma poi riaffiora il tema di William e Kate, del loro amore sbocciato qui, in Scozia. Vorrà pur dire qualcosa. Che ormai non ha senso separare due popoli, il cui destino è forgiato insieme da un pezzo. Annuiscono gli amici di Oliver, mentre ormai si è pronti a sbaraccare. Si mettono in posa per la foto di rito, mentre le prime luci artificiali si impossessano della sera e illuminano il loro sorriso. Sembrano i quattro moschettieri e immagino che D’Artagnan, la guida, sia il signore con qualche anno in più, pantaloni bianchi, giubbotto e coppola; uno dei ragazzi invece porta calzoni rigorosamente con il tartan, una giacca e la cravatta, mentre esibisce con l’ultimo giovane del quartetto il cartello “No thanks”.
Accanto, l’anatema della donna prosegue e c’è un’unica parola che risuona nell’aria: yes.
Ma ora, i banchetti si smobilitano. E’ finito il tempo della propaganda, anche quello del voto. Adesso inizia l’attesa, l’ultimo momento – si spera – in cui essere divisi.


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