L’irruzione
delle breaking news della Bcc arriva alle 5.23 di mattina. Ma la verità è già
risuonata prima: l'indipendenza non è stata conquistata, voluta, votata.
La sera
fredda non smorza il fuoco delle aspettative a Edimburgo. Le famiglie, gli amici si
riuniscono in casa. I pub saranno anche aperti a oltranza, ma intanto trovare un
luogo dove cenare, oltre l’orario canonico scozzese, si conferma arduo. Ci
fermiamo in un ristorante elegante e non suggestivo, come il delizioso bistrot
in salsa piratesca che avevamo assaggiato nel primo pomeriggio, addentando uno
scone di benvenuto. Qui servono un delizioso salmone, carne di prima qualità e
la birra arriva come un aiuto a combattere quest’aria autunnale. Le compagnie
discutono di molti temi, ma il referendum tiene banco tra una portata e
l’altra.
Eppure
che tutto stia finendo si sente, si vede. Nei cartelli già diradati, negli
adesivi di ambo le parti che si trovano bagnati e illeggibili sui parabrezza
delle auto, se non per terra. Come se fosse già tutto passato, mentre in un
certo senso sta iniziando ora.
Dovremmo
restare a vegliare tutta notte, ma il verdetto arriverà di prima mattina. Penso
che dobbiamo ricaricare le batterie, alcune ore almeno. Punto la sveglia per le
cinque, ma a destarmi è un urlo della notte: in qualche modo, viene da Dundee.
Come al
solito, i rumorosi sono quelli che hanno operato e sostengono la scelta più
radicale. E’ la passione, è la voglia di trasmettere anche così la propria
determinazione, magari anche di superare le paure che una scossa così forte al
destino può iniettare.
Alla 1.40 un primo pronunciamento
c’è: Clackmannanshire – rende noto la Bbc – ha dichiarato il suo no
all’indipendenza con 19.036 no contrapposti ai 16.350 sì.
Alle
4.34 è però Dundee a far gridare e a svegliare anche chi vigliaccamente come me
non ha resistito a fare una piccola siesta. I pub si colorano di entusiasmo e
l’atmosfera si scalda all’improvviso. Un grido come liberatorio si sprigionerà
anche con Glasgow, ma non è la medesima cosa. Le vie e Internet raccontano con
un’intensità simile la delusione degli indipendentisti, che spalancano gli
occhi di fronte ad esempio al risultato di Aberdeen. Ma in fondo, di questa
scelta non c’è da stupirsi, mi spiegano: Aberdeen, il petrolio, le società
internazionali, la minaccia e la paura di trovarsi senza lavoro.
Torniamo
all’economia, al gioco dei duri, specialmente di quelli che provengono da
fuori. La Camera di commercio britannica ha già pubblicato un rapporto
dettagliato, secondo il quale la maggior parte degli affari fuori dalla Scozia
vogliono che resti parte del Regno Unito: l’85% delle società intervistate,
contrapposte all’11% di aziende pro indipendenza. E un quarto delle compagnie
afferma che il Parlamento scozzese debba avere più potere, il 21% opta
addirittura per il meno.
Ad
Aberdeen, il 58,61% dei votanti ha detto no. Non è molto diversa la situazione
di Edimburgo, del resto: così legata alla propria storia, eppure anche al
mondo, segna il 61% a favore della permanenza nell’Uk.
Allora
Glasgow? Già, la calda Glasgow, dove ci saranno anche tensioni. Quella che a
scuola ti indicavano come la capitale economica della Scozia, vince il sì, al
53%.
Ripenserò
a te, Glasgow, ma adesso guardo il volto sconsolato degli edimburghesi che
hanno creduto nel sogno, una minoranza nella minoranza. Che stanno già
togliendo i cartelli, perché ormai è finita. Anche nel nostro bed and
breakfast, di prima mattina, si è immersi nel lavoro per garantire una completa
e ottima colazione scozzese: i sorrisi sono di rito, ma si ammette come sia
triste aver smarrito questa opportunità.
Non c’è
voglia di parlare, ma di ascoltare sì. La tv mostra Alec Salmond e gli occhi
sono puntati su di lui, come sulla scritta sottostante: la Scozia vota no
all’indipendenza. Sembra un contrasto, ma è la realtà. Salmond annuncerà presto
le dimissioni, intanto però non molla e afferma che ora si aspetta presto la
devolution promessa.
Tranquilli,
i no voters. Sconsolati gli indipendentisti, anche se entrambi i fronti
sembrano tornare alle loro occupazioni con lo stesso spirito. Ma la festa che
si era osato preparare per la notte, non c’è stata e un servizio della Bbc
fotografa due persone emblematiche.
Due
amici che vestono il loro kilt e che sembrano particolarmente sconsolati,
questo termine ormai lega tutti. Una donna con loro, neanche riesce a
parlare.
Alasdair, 49 anni,
un ingegnere preferisce un’altra espressione “Distrutto. Penso che abbiamo
buttato via una reale opportunità Non posso credere che il 55% degli scozzesi
abbiano votato contro la possibilità per il loro Paese di diventare un Paese”.
Anche lui indossa
un kilt. Doveva essere una festa, per lui e altri che ci hanno creduto. Si
toglieranno l’abito ufficiale, ma lo riporranno soltanto: un kilt è per sempre,
come una nazione. E’ per le grandi occasioni, quelle speciali che siano di un
popolo o di una famiglia: c’è poi molta differenza?
Il silenzio è
glaciale, come questo risultato.
NO 2,001,926 (55%)
YES 1,617,989 (45%)
Turnout 84.59%
Canzone, Flower of Scotland
In realtà, la Scozia è stata indipendente a lungo, da sempre, come vi ho
anticipato. La nazionale di calcio e quella di rugby sono un esempio lampante.
E non è un caso se hanno sempre ostentato questo inno, che è valso in fondo
come ufficiale, digerito dagli inglesi.
Il fiore di Scozia che ha cantato per tutto il giorno il nostro artista
di strada Izzy, è un’opera relativamente recente, che è entrata nel cuore degli
scozzesi. E’ sbocciato grazie ai Corries, un gruppo di musica folk dei primi
anni Sessanta, dove determinante fu l’incontro tra Roy Williamson e Ronnie Browne. Parla della battaglia
dell’indipendenza contro re Edoardo, ma è un messaggio forte affidato ai
posteri di quei guerrieri: quando vi vedremo ancora così, scozzesi, come quelli
che lottarono e morirono di fronte all’esercito dell’orgoglioso Edoardo?
Mandandolo a casa a ripensare ai propri errori, è la sintesi di una
vittoria.
A Bannockburn, dove avvenne tutto ciò,
arriveremo presto. Ci arriveremo per caso, perché volevamo fare una tappa a
Stirling, ma un cambio di strada ha portato anche a una modifica del programma.
Questa canzone, tuttavia, non parla di
Bannockburn, non solo. Prende il passato per mano, come il vento che gioca con
i petali di un fiore. Poi, sospinge la sua vitalità, la sua delicatezza, la sua
voglia di crescere più lontano. Vede che ci sono colline nude e foglie autunnali
che giacciono immobili, specchio di una terra perduta.
Sì, questi giorni sono passati e nel
passato devono rimanere. Ma i Corries, e tutti coloro che hanno cantato queste
parole, sognano che si possa ancora sollevare l’orgoglio di un popolo, essere ancora
una nazione. E rimandare re Edoardo a meditare sui propri errori, a casa sua.
A onore di Buckingham Palace, va detto
che non ha mai battuto ciglio su questa canzone, scandita ufficialmente nelle
competizioni sportive.
Del resto, la statua di Robert Bruce,
liberatore contro l’oppressione inglese, fu scoperta dalla Regina cinquant’anni
fa. Vale la pena tornare su questo terreno, scoprendo cosa sia cambiato. E
cantando “Flower of Scotland”, comunque la pensiamo.
http://neicassettidimalu.blogspot.it/2015/09/la-lunga-notte-di-edimburgo-1-un-anno.html
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