venerdì 18 settembre 2015

Un urlo nella notte - Scozia e referendum

L’irruzione delle breaking news della Bcc arriva alle 5.23 di mattina. Ma la verità è già risuonata prima: l'indipendenza non è stata conquistata, voluta, votata.

La sera fredda non smorza il fuoco delle aspettative a Edimburgo. Le famiglie, gli amici si riuniscono in casa. I pub saranno anche aperti a oltranza, ma intanto trovare un luogo dove cenare, oltre l’orario canonico scozzese, si conferma arduo. Ci fermiamo in un ristorante elegante e non suggestivo, come il delizioso bistrot in salsa piratesca che avevamo assaggiato nel primo pomeriggio, addentando uno scone di benvenuto. Qui servono un delizioso salmone, carne di prima qualità e la birra arriva come un aiuto a combattere quest’aria autunnale. Le compagnie discutono di molti temi, ma il referendum tiene banco tra una portata e l’altra.

Eppure che tutto stia finendo si sente, si vede. Nei cartelli già diradati, negli adesivi di ambo le parti che si trovano bagnati e illeggibili sui parabrezza delle auto, se non per terra. Come se fosse già tutto passato, mentre in un certo senso sta iniziando ora.
Dovremmo restare a vegliare tutta notte, ma il verdetto arriverà di prima mattina. Penso che dobbiamo ricaricare le batterie, alcune ore almeno. Punto la sveglia per le cinque, ma a destarmi è un urlo della notte: in qualche modo, viene da Dundee.
Come al solito, i rumorosi sono quelli che hanno operato e sostengono la scelta più radicale. E’ la passione, è la voglia di trasmettere anche così la propria determinazione, magari anche di superare le paure che una scossa così forte al destino può iniettare.

Alla 1.40 un primo pronunciamento c’è: Clackmannanshire – rende noto la Bbc – ha dichiarato il suo no all’indipendenza con 19.036 no contrapposti ai 16.350 sì.
Alle 4.34 è però Dundee a far gridare e a svegliare anche chi vigliaccamente come me non ha resistito a fare una piccola siesta. I pub si colorano di entusiasmo e l’atmosfera si scalda all’improvviso. Un grido come liberatorio si sprigionerà anche con Glasgow, ma non è la medesima cosa. Le vie e Internet raccontano con un’intensità simile la delusione degli indipendentisti, che spalancano gli occhi di fronte ad esempio al risultato di Aberdeen. Ma in fondo, di questa scelta non c’è da stupirsi, mi spiegano: Aberdeen, il petrolio, le società internazionali, la minaccia e la paura di trovarsi senza lavoro.

Torniamo all’economia, al gioco dei duri, specialmente di quelli che provengono da fuori. La Camera di commercio britannica ha già pubblicato un rapporto dettagliato, secondo il quale la maggior parte degli affari fuori dalla Scozia vogliono che resti parte del Regno Unito: l’85% delle società intervistate, contrapposte all’11% di aziende pro indipendenza. E un quarto delle compagnie afferma che il Parlamento scozzese debba avere più potere, il 21% opta addirittura per il meno.
Ad Aberdeen, il 58,61% dei votanti ha detto no. Non è molto diversa la situazione di Edimburgo, del resto: così legata alla propria storia, eppure anche al mondo, segna il 61% a favore della permanenza nell’Uk.
Allora Glasgow? Già, la calda Glasgow, dove ci saranno anche tensioni. Quella che a scuola ti indicavano come la capitale economica della Scozia, vince il sì, al 53%.
Ripenserò a te, Glasgow, ma adesso guardo il volto sconsolato degli edimburghesi che hanno creduto nel sogno, una minoranza nella minoranza. Che stanno già togliendo i cartelli, perché ormai è finita. Anche nel nostro bed and breakfast, di prima mattina, si è immersi nel lavoro per garantire una completa e ottima colazione scozzese: i sorrisi sono di rito, ma si ammette come sia triste aver smarrito questa opportunità.
Non c’è voglia di parlare, ma di ascoltare sì. La tv mostra Alec Salmond e gli occhi sono puntati su di lui, come sulla scritta sottostante: la Scozia vota no all’indipendenza. Sembra un contrasto, ma è la realtà. Salmond annuncerà presto le dimissioni, intanto però non molla e afferma che ora si aspetta presto la devolution promessa.


Tranquilli, i no voters. Sconsolati gli indipendentisti, anche se entrambi i fronti sembrano tornare alle loro occupazioni con lo stesso spirito. Ma la festa che si era osato preparare per la notte, non c’è stata e un servizio della Bbc fotografa due persone emblematiche.
Due amici che vestono il loro kilt e che sembrano particolarmente sconsolati, questo termine ormai lega tutti. Una donna con loro, neanche riesce a parlare. 
Alasdair, 49 anni, un ingegnere preferisce un’altra espressione “Distrutto. Penso che abbiamo buttato via una reale opportunità Non posso credere che il 55% degli scozzesi abbiano votato contro la possibilità per il loro Paese di diventare un Paese”.
Anche lui indossa un kilt. Doveva essere una festa, per lui e altri che ci hanno creduto. Si toglieranno l’abito ufficiale, ma lo riporranno soltanto: un kilt è per sempre, come una nazione. E’ per le grandi occasioni, quelle speciali che siano di un popolo o di una famiglia: c’è poi molta differenza?
Il silenzio è glaciale, come questo risultato.
NO 2,001,926 (55%)
YES 1,617,989 (45%)
Turnout 84.59%


Canzone, Flower of Scotland
In realtà, la Scozia è stata indipendente a lungo, da sempre, come vi ho anticipato. La nazionale di calcio e quella di rugby sono un esempio lampante. E non è un caso se hanno sempre ostentato questo inno, che è valso in fondo come ufficiale, digerito dagli inglesi.
Il fiore di Scozia che ha cantato per tutto il giorno il nostro artista di strada Izzy, è un’opera relativamente recente, che è entrata nel cuore degli scozzesi. E’ sbocciato grazie ai Corries, un gruppo di musica folk dei primi anni Sessanta, dove determinante fu l’incontro tra Roy Williamson e Ronnie Browne. Parla della battaglia dell’indipendenza contro re Edoardo, ma è un messaggio forte affidato ai posteri di quei guerrieri: quando vi vedremo ancora così, scozzesi, come quelli che lottarono e morirono di fronte all’esercito dell’orgoglioso Edoardo? Mandandolo a casa a ripensare ai propri errori, è la sintesi di una vittoria. 
A Bannockburn, dove avvenne tutto ciò, arriveremo presto. Ci arriveremo per caso, perché volevamo fare una tappa a Stirling, ma un cambio di strada ha portato anche a una modifica del programma.
Questa canzone, tuttavia, non parla di Bannockburn, non solo. Prende il passato per mano, come il vento che gioca con i petali di un fiore. Poi, sospinge la sua vitalità, la sua delicatezza, la sua voglia di crescere più lontano. Vede che ci sono colline nude e foglie autunnali che giacciono immobili, specchio di una terra perduta.
Sì, questi giorni sono passati e nel passato devono rimanere. Ma i Corries, e tutti coloro che hanno cantato queste parole, sognano che si possa ancora sollevare l’orgoglio di un popolo, essere ancora una nazione. E rimandare re Edoardo a meditare sui propri errori, a casa sua.
A onore di Buckingham Palace, va detto che non ha mai battuto ciglio su questa canzone, scandita ufficialmente nelle competizioni sportive.
Del resto, la statua di Robert Bruce, liberatore contro l’oppressione inglese, fu scoperta dalla Regina cinquant’anni fa. Vale la pena tornare su questo terreno, scoprendo cosa sia cambiato. E cantando “Flower of Scotland”, comunque la pensiamo.

1 commento:

  1. http://neicassettidimalu.blogspot.it/2015/09/la-lunga-notte-di-edimburgo-1-un-anno.html

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