Il disegno non fa per me: me lo sono sentita dire, me lo sono detta, dai primi pennelli o pastelli in mano, fino a scuola e oltre. Per forza: perché mi misuravo. Avevo un padre che disegnava in modo impeccabile e arguto; mia madre non sa cosa significhi andare oltre un bordo mezzo millimetro nel colorare mentre io lo faccio immancabilmente.
Un disastro, la scultrice. Con la plastilina, evocavo mostri neanche spaventosi, goffi e un po' sciocchini, mentre papà, a ogni età, ci faceva capolavori. Il ricamo, lo rinfaccio ancora come lavoro forzato alle suore dell'oratorio quasi quanto "sbucciare" le uova sode all'asilo: nel secondo compito, sono quasi brava per forza e per amore, al primo ho detto allora addio. Nella casa paterna, tutte erano regine di lana e uncinetto: io ho creato masse informi fino alla resa.
Ho procurato anche un solenne spavento il primo giorno di scuola a mamma, quando vide che non scrivevo seguendo le righe, ma partivo da un punto e schizzavo a un altro. Non ci avrebbe mai creduto, a un mio futuro di scrittura, focalizzandosi sul mezzo: per fortuna, una salvezza che mi ha trasmesso proprio lei è la tastiera, prima della macchina da scrivere, poi mi sono impadronita facilmente del computer.
Non fanno per me, un sacco di cose, e me le sono precluse. Dove non potevo fare bene, con la certezza di un verdetto che mi schiacciava, mi sono ritratta per decenza. Non è stato facile, perché io sono curiosa per natura. Mi piace esplorare di tutto e questo mi fa anche perdere l'intensità di una strada, avendo energie umane. Potevo andare avanti a studiare il pianoforte, ma avrei tolto tempo ad altre esplorazioni. La mia chitarra mi ha sempre guardata in cagnesco: non è perché non sarai mai Jimmy Page, Eddie Van Halen o Joe Perry, che mi lascerai in preda alla polvere.
L'elenco è lungo, lunghissimo, ma grazie a Manuela Carnini, sono tornata a meditare sul disegno. L'ho fatto, per un crocevia di circostanze nelle medesime ore. Una bellissima, l'apertura di Casa Fridami e le opere piene di vita di Manuela, del suo talento profondo dell'anima, affiorato per diffondere una luce di cui in tanti abbiamo bisogno. L'altra, carica di tristezza, la morte di mio zio: un lutto che non potevo gridare, tanto non mi voleva o poteva ascoltare nessuno. Allora, ho lasciato perdere le matite che ho affidato a mamma per i suoi compiti e mi sono presa una confezione di pastelli. Di loro, mi piace la fusione tra morbidezza e decisione.
Quel giorno, ho cercato di esprimere così ciò che provavo, con la partenza dello zio dai nomi belli - come molti di quelli trasmessi dalla bisnonna lettrice - con le nostre lentiggini e i nostri occhi chiari, la passione comune per la musica espressa in maniere differenti. È un mondo che si chiude per sempre, in me, e non ho a chi dirlo veramente.
Ho provato a dire a me. Da allora, ho sfogliato pagine bianche e le ho riempite di colori. È stato importante capire che non bisogna per forza essere "bravi", ovvero obbedire a standard, parametri, paragoni. Che ogni cosa ci esprime per come la facciamo, noi e solo noi.
Tutto ciò che non sapevo fare, è diventato via via possibile. Anzi necessario.