Mi sottopongo a compiti alternativi per domarmi sugli altrui ritardi. Mi esercito con la seria Kabbalah e con profani stratagemmi.
Ma tutta questa ricerca della pazienza rivela la mia natura impaziente. Arriva lei, la gatta sconosciuta, e mi studia, seduta. Calcola il grado di comodità, forse conosce la mia bilancia, e zac, mi salta in grembo, per sprofondare nel sonno dei giusti. Se l'accarezzo, rilassa le zampine; se smetto, ficca le unghiette nella carne, incurante delle mie proteste.
Un'ora intera in cui non mi posso muovere, tra le risatelle attorno. Tanto arrivano visite e lei si metterà in guardia. Un corno: si sveglia, si stira e torna alla sua posizione, per l'intera conversazione. Dopo due ore e crampi, mi sento paziente. Persino quando decide di andarsene, ma non prima di aver fatto pipì sui fiori novelli.
Sono paziente. Ripetimelo ancora.
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