Negli anni Ottanta rischia l'isolamento dalla comunità rock, per aver espresso apprezzamento verso gli Europe. Sapevo benissimo che violavano quelle 300-400 regole non scritte del mondo duro e puro, ma aggiungevo: forse in questa maniera conducono un po' di pecorelle smarrite ad affacciarsi alla porta del paradiso, dove poi incontreranno il rock scatenato e vero.
Era la tentazione della propaganda, e del tradire anche un po' se stessi per avere successo, che per fortuna non mi avrebbe poi seguita più di tanto, forse perché preferiva creature più interessanti.
Oggi chiedo scusa a Tempest e compagni, perché Carrie è una vera canzone bastarda, come pochi rocker hanno avuto il coraggio di scrivere. Spesso, è un lamentarsi continuo, mi hai ferito, morirò e non ne troverai più come me, e via dicendo. Altre volte - orrore - è quel linguaggio comprensibile solo a (certi) maschi: ti amo, me ne vado.
Carrie sfoggia una musica sdolcinata, ma è maledettamente sincera come canzone. Parto dal finale: se ho commesso un crimine, perché non sento dolore?
Ma vogliamo saggiare l'inizio? Quando la luce si spegne, non vedo una ragione per cui devi piangere. Della serie: dai piantale di frignare, che tanto ci siamo passati altre volte?
Unico accenno di gentilezza, nel ritornello: le cose cambiano, amica mia. Attenzione, sembra cortese, ma intanto ti ha già scaricato al ruolo di amica, Carrie.
Insomma, grandi Europe: la sincerità premia. Persino le classifiche.
Carrie, Europe, canzone per la notte.
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