Lo scatto fotografico mentre sono felice con un amico, eppure quando lo riguardo,
sobbalzo. C'è nella mia espressione qualcosa di familiare, qualcosa che mi racconta qualcun altro e allo stesso tempo mi svela con precisione.
Conosco quell'espressione.
L'ho vista nei momenti in cui dovevi essere serio, ma non riuscivi, forse perché era troppa la felicità, oppure la responsabilità o entrambe le cose. Immortalata al massimo della potenza il giorno del matrimonio: la domavi a stento persino davanti al prete mentre ogni tanto controllavi che fosse davvero lì, assorta e impeccabile, come non sappiamo - né vogliamo - essere io e te. E poi l'apoteosi: fuori dalla chiesa, al terzo o quarto scatto della zia ti sciogli in parte dal braccio della tua novella sposa, esegui un gesto inequivocabile che grida "era ora" e il volto si illumina di libertà e nuova vita.
In quel giorno eccezionale, traboccavi di quell'espressione, ma l'ho ritrovata in tante immagini stampate sulla carta o nel cuore.
Si è posata sull'ultima fotografia, quella che ho scelto per lasciarti andare. E quando sono triste guardandoti, osservo meglio e mi scappa un sorriso: faccia da teppa - quella buona, che scherza per vivere, non per schiacciare - mi dico, ricordando le tue battute, le tue barzellette e i tuoi innumerevoli scherzi. Perché noi, in barba alle nostre paure e fragilità, siamo degli "scherzoni".
Da 14 anni oggi, non la posso guardare sul tuo volto davanti a me, papà, ma la ritrovo nelle foto.
E infine, sul mio volto. Faccia da teppa, come te.