venerdì 31 gennaio 2020

Quella strana allergia

Un ingrediente segreto e malandrino mi impedisce di nutrirmi della cucina tradizionale di un Paese. Non dico quale per rispetto, oltretutto sulla carta sono ghiottissima dei suoi menù.

Questa situazione anzi rappresenta una maledizione per me, curiosa per definizione di conoscere.

Il primo assaggio risale all’estero più di vent’anni fa: notte da paura. Va be’, mi son detta, sarò stata già indisposta. Dopo un paio d’anni riprovo: disastro sfiorato. Una mini porzione di un piatto qualche anno dopo mi guasta il compleanno.

Finalmente ho detto: basta. Non c’è bisogno di provare tutto e insistere. Se qualcosa ti fa star male, puoi anche stargli alla larga: non è colpa tua, è così.

Non è colpa tua. Perché spesso - me l’ha fatto capire una persona saggia - non si vogliono ascoltare campanelli d’avvertimento, ma si insiste incolpandosi di essere sbagliati: si cerca di raddrizzare se stessi, invece di prendere atto.

Ci può essere semplicemente qualcosa che ti fa star male. E si può mangiare qualcos’altro.

Così quella strana allergia diventa anche una strana allegria.

Se tu corri nel buio

Corri nel buio, inosservato quanto basta per essere libero. La torcia pronta a scattare solo in caso di estrema emergenza.

Nell'oscurità ti senti protetto ed esposto, allo stesso tempo. Poi, quando quel buio è così fitto da farti male, trovi un punto chiaro, splendente davanti a te. E siccome sei realista a sufficienza, pensi di aver schiacciato inavvertitamente la torcia. Quando ti accorgi che è una luce troppo delicata: allora sarà la luna, ti dici.

Ma il cielo è color carbone e tu non ti raccapezzi più, finché ti arrendi.

Quella luce c'è, e basta. Da dove venga conta meno di dove andrai. Così, sospinto dal suo tocco gentile, stai già camminando. Dolcemente.

giovedì 30 gennaio 2020

Parlano le finestre

Dentro il mormorio della sera, si insinuano tante voci. Una è quella delle finestre. Passo sotto una di esse e ricordo come qualcuno mi abbia detto stamattina con malinconia: «Ogni giorno guardavo quella finestra aprirsi nel palazzo, adesso non accadrà più».  Alzo la testa e per la prima volta mi rendo conto dove abitava una persona, che oggi abbiamo salutato per sempre.

Ad un tratto, mi sembra di capire cosa dicono le finestre. Lo fanno per giorni, mesi, anni. Lo fanno davanti ai più distratti, agli avidi e ai compassionevoli.  Quelle che chiacchierano di luce, quelle che sonnecchiano ai riflessi della televisione, e quelle silenziose. A volte il loro silenzio si interrompe, altre resiste ancora un po'.

Altre volte ancora, quel silenzio si rivela un discorso fitto. Ti parla di vita e di assenze, ti fa sperare che qualcosa accada e forse sarà proprio così.

Un giorno quella finestra si aprirà, ancora. Solo, si affaccerà un altro volto, sconosciuto, e così rimarrà per un po' o per sempre. Dipende se riconosceremo le voci, dentro il mormorio della sera, se sapremo fermarci ad ascoltare, ancora.

martedì 28 gennaio 2020

Parole spacciate, parole sincere

Parole da brivido, buttate a caso sulle vite. Anche quando vuoi fare conversazione e ingannare un'attesa, con innocenza puoi colpire o essere colpito.

Volevi consolare una persona che soffre la lontananza da casa, subìta per motivi di lavoro, e ti improvvisi esperta della sua terra, per un elemento che credi di conoscere: il cibo. Tu sei certa, che da loro si mangi piccante e invece il ragazzo ti spiega che la sua città è l'unica dove non entra il peperoncino in cucina.

Ti senti goffa, come quando poco prima qualcuno ha voluto fare il brillante toccando l'argomento per te più delicato.

Parole spacciate per conversazione e spacciate si sentono, in un mondo in cui corrono troppo in fretta tra eterni sconosciuti.

Ma poi, durante l'esame, stai ad ascoltare quel ragazzo fino in fondo. Gli viene chiesto dove vivrebbe se potesse, invece che nella sua terra.

Lui appassionatamente si rifiuta anche solo di coltivare quel pensiero, se ne frega dell'esame,  spalanca il suo cuore: «Io voglio tornare a casa. Voglio stare a casa mia».

Io allora prendo di nascosto quelle parole e per un attimo di fronte a quello slancio mi sembra che possano esistere parole sincere, parole capaci di non nuocere a nessuno, bensì di dare una speranza.

sabato 25 gennaio 2020

Un solo modo

Un amico dal talento esplosivo ha un locale e sta organizzando un evento, ma poi indica: «Sarà solo per amici».

Non per chi pensa: «Va be’, proviamo anche questo». Oppure: «Stasera tanto non ho niente da fare».

Non so nemmeno se c’entri, ma mi viene in mente la frase di un uomo saggio, che ho conosciuto soltanto per le voci altrui.

- C’è un solo modo di fare le cose.

Non è che faccio quel tratto di strada per te e ti frego, ma sono tuo amico, eh. Non è che mi comporto male in quell’ambito, ma mantengo un rapporto umano, eh.

C’è un solo modo di fare le cose e richiede pure sacrificio. Ma chi pensa di poterti fregare e restare amico, tanto sono settori differenti, sbaglia.

Perché in questo treno contorto, le carrozze sono dirette alla stessa meta. E chi non lo pensa, può scendere.

venerdì 24 gennaio 2020

Appunti per sempre

Qualcosa di più caro dell’intervista a Elio Fiorucci. Qualcosa che conservo più di quell’articolo stampato, sono gli appunti. Tempestati con un insolito per me colore, sullo schermo del computer. Nel suo ufficio milanese, con le piante che cantavano e lui che doveva parlarmi di Expo, ma parlava di vita.

Quella minuscola, quella socchiusa, quella celata dal tepore di madre natura e che l’uomo non può strappare. Ho scritto ogni frase, anche quelle che non ho pubblicato perché non erano pertinenti al tema.

Lo erano, lo sono, alla vita. E ogni tanto afferro la borsa variopinta che mi diede e in cui infilo figurine, libri, persino una Coca Cola. Ricordo che quel giorno, per coccolare la mia mamma alla quale non avevo potuto dedicare il tempo che volevo, avevo preso una pizza al prosciutto dal fornaio. Io allora non ero ancora vegetariana, anche se so che la mia ribellione per la vita è cominciata quando io ero piccola.

E mi sentii in colpa, quando mi ricordai di questa presenza nel sacchetto vicino alla borsa. Poi dai, che figura essere da Elio Fiorucci con un sacchetto profumato di pizza. Tanto che gli dissi la verità, compreso che l’avevo presa per mamma. E a me pare di ricordare che sorride, ma potrei sbagliarmi perché in realtà il sorriso è qualcosa che mi ha accompagnato tutto quel tempo di conversazione.

A volte, ancora attingo alla sua borsa variopinta e guardo una figurina, e ogni tanto anche a quegli appunti silenziosi. Li apro e li scruto per afferrare un nuovo filo e non perdermi, non perdermi mai più. Sentire cantare le piante e pensare che la bellezza, la bellezza della vita trionfi ancora.
Appunti per sempre, di Elio e di vita.

giovedì 23 gennaio 2020

La mia fatica

Quando scendo dal treno e mi autoproclamo detentrice di una giornata faticosa, sotto i neon della sera  incrocio lui.

Le nostre direzioni sono opposte e si sfiorano per una manciata di istanti. Vai a casa, gli chiedo ed è una parola strana perché il mio amico è africano. Non è preciso definirlo mio amico: lo è, di tutti. Quando cammino nel rione, scambio pochi saluti solitamente, in un flusso anonimo. Se mi capita di condividere un tratto con lui, ci metto un’ora a compiere la stessa, frettolosa strada perché tutti devono dirgli qualcosa. Che sia il barista, il passante, l’operatore ecologico: mi pare che il bus rallenti.

Stasera non c’è nessuno oltre a noi e lui va in cerca di un treno per tornare a Milano. A casa.

Non si legge nel suo sorriso la fatica, non so che lavoro faccia e se ortodosso. Non so cosa significhi, nemmeno, ortodosso.

So che la mia fatica ora mi appare poca cosa, di fronte a quella di un uomo che deve chiamare casa il luogo dove non può abbracciare la sua famiglia. Perché i suoi figli sono in Africa e ci va quando è possibile, meno di una volta all’anno.

La mia fatica di un giorno e cinquecento metri. E il suo viaggio verso casa che non si concluderà mai.

I fragili

Fin dall’alba inciampo in sogni fragili. Fragili come le creature, spesso meno arroganti. Con una bellezza che vacilla alla luce.

I fragili: volti in coda oscurati da un pensiero, una giovane donna che sbaglia uscio e tutto le cade dalle mani. E tu, che ti appoggi al mio braccio, come se potesse aiutarti davvero. Perché i fragili siamo noi.

martedì 21 gennaio 2020

Un cielo in cui correre

La notte scende con un pensiero che calpesta i sogni. Apprendo che non c’è più una persona con la quale ho assaggiato i prati di corsa per la prima volta da bambina. Via dalla città e dal suo grigiore, ferirsi gioiosamente le dita per strappare le castagne dai ricci. E quando pioveva, i giochi per domare il tempo intriso di noia, non di malinconia. 

Un prato in cui correre. Poi, crescendo, in quella libertà lì non so più chi di noi abbia creduto.

Ma adesso piccoli flash di ricordi si posano dentro di me, frasi, gesti, sorrisi. Finché si stende questo cielo sulla città, o meglio, qualcuno l’avrà dipinto mentre noi eravamo distratti. 

E ci ha fatto trovare questo cielo, traboccante di colori, un cielo in cui correre, un cielo in cui tu corri già.

lunedì 20 gennaio 2020

Intravedo

La mattina ancora aggrappata alla notte, il lago che si nasconde dietro rami spogli. Sul treno intravedo  il mondo fuori e riflessi di ciò che siamo.

E mi dico che forse c’è qualcosa di più bello di afferrare tutto con lo sguardo e portarselo via; è questo intravedere, senza chiedere nulla e anzi ringraziando di questi lampi di verità.

venerdì 17 gennaio 2020

Brezza di antichità o nuovo mondo

Sul treno verso una nuova meta, così antica, in vaghe tracce di antichità mi imbatto. Una è il controllore che mi straccia a metà il biglietto, a dire il vero.

Poi una ragazza sale e fa per sedersi accanto a me, nella carrozza semivuota.

- posso?

Certo, le dico un po’ stupita. Lei mi chiede se so quando arriverà il treno, perché è ansiosa per una coincidenza. Io vado automaticamente a controllare sul telefono, osservata da questa nativa digitale come frettolosamente definiamo.

Comunico, annuisce con un sorriso e afferra un libro. Ha un titolo bellissimo.

Brezza d’antichità o di nuovo mondo.

Quel che ricorda la pioggia

Compare così all’improvviso, così dimenticata, che stenti a riconoscerne il suono.

Chissà dov’era finita, chissà dov’eri finito tu.

Quel che ricorda la pioggia: un brivido di gioia, un desiderio di giustizia. Tutto torna, anche la pioggia.

mercoledì 15 gennaio 2020

La bellezza, di riflesso

Un riflesso che sembra avere vita propria, ti ferma, disorienta, accarezza.

Con lo sguardo frughi nei dettagli e ti immergi nel loro abbraccio.

Di riflesso, la bellezza ti sembra ancora più preziosa: ti chiedi come tu abbia talvolta (e sempre troppo spesso) fatto ad allontanarti per vivere di riflesso ad altro e altri.

Solo qui di riflesso, sembra così sincero.

Come due baci che si inseguono, per poi perdersi, come te nelle vie di Venezia.

domenica 12 gennaio 2020

Venezia ed è subito pace

La sera che scosta con delicatezza il sole generoso, le vie che si lasciano vivere con naturalezza, senza folle asfissianti. Venezia mi convoca dopo tanti anni in cui nemmeno l’avevo cercata. E vi respiro dentro una pace inattesa.

Ogni passo, una benedizione di colori e riflessi: persino tracce di silenzio.

Venezia, ed è subito pace.



sabato 11 gennaio 2020

Là fuori, l’umanità

Che sia il caldo o il freddo, là fuori qualcosa ti morde. Si mostra gentile, perché tu le tenga il posto, una borsa, un’illusione. Trova persino la voce, l’umanità, quando ha bisogno.

Perché di solito è silenziosa, l’umanità, quando crede che tu non sia necessaria.

Solo così si può sopravvivere all’umanità. Vedendo oltre la sua momentanea gentilezza, scoprendo la sua essenziale disumanità e capendo che non ti tocca, più.

Perché anche tu sei umanità, e sai chi ti ha dato questo abito. Chi non ti tradirà mai.

venerdì 10 gennaio 2020

Sì ma… e le fiamme dei social

Una copertina riposta gelosamente, riaffiora via social. "1984", in quelle cifre si rincorrono i significati, ma le copre quel gioioso inno alla vita, ad andare avanti che era "Jump". Le note dei Van Halen, i sintetizzatori che squarciavano le regole non scritte di ruvidezza, tanti pensieri si sciolgono di fronte a quella copertina.

Un angelo, un bimbo, così innocente e con quelle sigarette che suonano come uno schiaffo. Ora, qualche polemica ci fu, sì. E del resto viaggiavamo dentro l'epoca segnata da quattro lettere, non cifre: Pmrc.

Parents Music Resource Centre.

Una trovata per vegliare su figli, invece di dialogare e magari ascoltare la musica con loro. No, i bollini che avvertivano della pericolosità di espliciti testi, erano più spicci e facevano risparmiare questo tempo. 

Del resto, rivelarono un altro nobile scopo, seppure imprevisto: aiutando a vendere un numero più significativo di dischi. Mi ricorda un po' l'assegnazione dei libri di inglese per le letture estive a scuola: a settembre, tutti avevamo divorato "L'amante di Lady Chatterley", grazie alla reputazione creata dalla censura.
Tornando alla musica, allora ero furibonda con la signora Gore e tutta questa gente che portava in tribunale i miei idoli capelloni.

Oggi ne sento quasi la mancanza. Perché immagino cosa accadrebbe, o ci provo, se uscisse una copertina del genere e io la condividessi.

L'innocenza, mascherata di ironia, non pervenuta. Se io postassi una simile copertina, e prima ancora se un gruppo la scegliesse per un suo lavoro, non ci sarebbe un malinconico PMRC in azione, con il resto del mondo che andrebbe avanti tranquillamente per la sua strada.

Temo che tutte le attività del mondo che è attivo sui social, si scatenerebbero e concentrerebbero sul giudicarla. Per un po'.
- Ma che vuol dire?
- Cosa, incitare un piccolo a fumare?
- Un angelo che fuma! Basta con gli attacchi ai simboli della religione.

Sono pessimista? In questi giorni le reazioni alla tragica vicenda di una famiglia, su cui non oso spendere mezza parola, sono state fotografate con una forza e una delicatezza (al contempo) trascinanti da Alberto Pellai.

Uso i social per lavoro e per poche altre attività, come aiutare chi ha smarrito cani e gatti, ad esempio. Quante volte, qualcuno chiede aiuto e arrivano puntuali i "Sì, ma…".
- Sì, ma come hai fatto a lasciarlo scappare?
- Sì, ma non potevi stare attento?
- Sì, ma a me non capiterebbe mai.

Ci sentiamo sempre migliori degli altri, probabilmente è cosa antica quanto l'umanità. Ma questa urgenza di dichiararlo davanti a tutti, colpendo chi sta male, per diversi motivi, invece di aiutarlo mi sfoglie il fiato.

Quei "sì ma…" sono le fiamme dei social molto più pericolose di una sigaretta in mano a un bambino su una copertina. Che poi era di cioccolato.

- Sì ma… sembrava vera.

Ridatemi il comitato dei bollini. Che ci faceva ridere e sentire più liberi e adulti, lo fossimo o no. Non feriti e timorosi di pronunciare la parola sbagliata, come accade adesso davanti al comitato infinito dei "sì ma…" sui social.

giovedì 9 gennaio 2020

La luna abbracciata ai suoi sogni

Stare vicino contro ogni condizione dettata dal tempo. Questa bellezza ci regalano e ci prendiamo, silenziosamente.

Nessuno può notarlo se non noi. O forse ha sbirciato la luna, perché poi l’ho vista lì, abbracciata ai suoi sogni, confondendo i confini. Come le nostre distanze, sciolte da un giorno in cui ci siamo solo noi.

mercoledì 8 gennaio 2020

Tutti i piccoli del mondo

A dieci anni non mi avventuravo cento metri da casa. A tredici ho percorso la strada più lunga da sola per raggiungere la classe in pizzeria, una sera: ricordo mio padre che scrutava dal balcone e vegliava. Tempi antichi: infatti adesso i bambini, li scortano con l’auto quasi fin sul marciapiede della scuola, spesso.

E oggi un bimbo trovato morto nel carrello di un aereo, arrivato dall’Africa.

E prima, il ragazzo fuggito con la pagella sul cuore.

E quanti bambini scivolati via dal mondo, senza che ce ne accorgiamo.

Tanti piccoli del mondo, diventati grandi così in fretta e mai cresciuti, volati via mentre cercano la vita. Mi sembrano oggi tutti i piccoli del mondo, tanto procura dolore.

E noi, qui a spacciarci per adulti, inconsapevoli, vigliacchi o impotenti, alla deriva sul mare dell’umanità.

martedì 7 gennaio 2020

La terra, sotto i piedi

Fossi un’esperta di politica estera (perché interna, è anche più complicato) mi metterei ad analizzare gli scenari tra America e Iran.

La terra, la terra, i confini, gli umani che cavalcano i cieli.

Intanto in Australia la terra ci brucia sotto i piedi. O meglio, la bruciamo.


domenica 5 gennaio 2020

La vita zeppa di agende

Nei raid periodici di pulizia sostenuta bisogna prestare molta attenzione prima di buttare le agende.

Dentro, ci puoi trovare pezzi di vita insospettabili. Quando la vita era zeppa di agende, perché ogni ente del mondo te le riversava, ciò si tramutava anche in un’abbondanza di pensieri, ispirazioni, brividi che restavano impigliati nelle pagine.

Oggi si contano sulle dita e tendo a usarle per il loro originario scopo. Ma ogni tanto ci scappa dentro una riflessione, un sospiro, un punto esclamativo che resta sospeso.

Mozziconi di pensieri sui fogli, chissà se nella mente.

Perché la vita zeppa di agende ti faceva sembrare saggio, anche quando non lo eri affatto.

sabato 4 gennaio 2020

Inesauribili le magie

Le magie, sono quelle che ti aspettano ma non ti mettono fretta: perché sanno che tu arriverai.

Le sfiori, ti sfiorano, poi ti prendi del tempo e le osservi, grata. Le luci, la musica, i fremiti di gioia. Ad un tratto, senti che ne sei immersa e non potrai farne a meno. Che non si esauriranno, che il Natale non si porterà via tutte le luci.

E mentre cammini nella Città dei Balocchi a Como, che regala gioie, non illusioni, in questi ultimi lampi di feste, ti viene da pensare.

Inesauribili le magie. Danzanti sulle mura o nel segreto del cuore.

venerdì 3 gennaio 2020

Il film che non rivedrò

Sono abbastanza rassegnata all’idea di non poter sviluppare una saggia scorza. Forse persino di perdere quelle briciole che ritengo di possedere.

Una lezione mi arriva dai film. È vero, fin da ragazza ho evitato frammenti di film che facevano male. Spesso i finali e siccome adoro i musical, ne cito due follemente diversi: Hair e il Rocky Horror.

Via via la faccenda si è fatta ulteriormente impegnativa. Già la prima scena dell’Attimo Fuggente mi risulta insopportabile, perché mi fa venire in mente una raffica di sequenze finali. E anche l’uscita di scena di un grande attore.

Ho già avuto molto coraggio a vedere “Pinocchio”, considerando i terribili e temibili passaggi che lo attraversano. E non so se potrei rivederlo.

Anche quando conosco il rassicurante finale, evito il film come la peste se so che in mezzo dovrò soffrire.

Perché un film, come la vita, può mostrarti il senso di una sofferenza, ma non la smorza.

Il film che non rivedrò, per provare a vivere, ancora. 

giovedì 2 gennaio 2020

Il giorno in cui nessuno ti dice cosa fare

Scivolare nel secondo giorno dell’anno è un piacere lento e irresistibile. Non ha nulla di speciale, come l’inizio del dissolversi delle feste.

Schiacciato dall’eco del frastuono e dal ritmo della musica gentilmente travolgente in tv. Già un po’ a dieta, anche solo a provarci.

Eppure camminarci dentro è affascinante, come il freddo lieve che accarezza la pelle.

È il giorno senza etichette, cliché, abitudini a cui sottomettersi o sottrarsi.

È il giorno in cui nessuno ti dice cosa fare.

mercoledì 1 gennaio 2020

Cuore di pietre

I primi passi dell’anno devono condurmi da mio padre. So che lui è già al mio fianco, sempre, in ogni tempo, ma mi pare di rivolgergli un’altra carezza. A lui e a tutti coloro che mi hanno permesso di arrivare fino a qui, senza disturbare il loro riposo.

Attraverso i viali ghiaiosi e salgo le scale del mio tragitto, imbronciata per non poter più deporre una piantina, viva di colori, davanti a una lapide con un volto caro. Avevo promesso di farlo sempre, ma il  signor regolamento ammonisce con i cartelli: fiori e lumini sul pavimento verranno rimossi.

E mentre borbotto, non lontano scorgo delle ombre minuscole e sorridenti. Sono pietruzze posate sul pavimento: insieme formano un cuore.

Cuore di pietre, omaggio e forse morbida sfida a cuori di pietra.