mercoledì 30 dicembre 2020

Niente di scontato


 C’è un’ora, anzi due in cui amo socchiudere le persiane e guardare i vecchi cortili: l’alba e il tramonto, quando cambiano sfumature con rapida dolcezza. Quest’anno la neve rende tutto ancora più morbido e il brindisi si avvicina con minore trepidazione, perché questo istante potrebbe durare per sempre.

Casa. Io ci sono sempre stata bene, a casa. Grata. I cortili mi hanno sempre richiamato quelli fiorentini di tanti anni fa, quando feci un mini soggiorno da un’amica. Rigenerante perché ci arrivai pulcino ferito e fiero, dopo che qualcuno aveva pensato di fermarmi complice la mia giovane età. Sono tornata più forte e mi sono ripresa tutto, ma non ho mai smesso di lottare.

Il mio paese è piccolo, non è neanche un paese, ma non si rassegna a essere un rione. Quando lo guardo da qui, mi viene da dargli ragione.

Ho viaggiato tanto, ho la pelle graffiata dai chilometri. Ora sono a casa, consapevole come non ci sia niente di scontato, a partire dall’essere qui. Ho preso il treno quasi senza accorgermene, Homebound Train di Bon Jovi nelle mie orecchie.

Non c’è niente scontato, tutto da lottare, con la gratitudine di chi non si è mai allontanato davvero perché ama socchiudere le persiane, piano piano.

lunedì 28 dicembre 2020

Si scioglie lo stupore

La neve si cristallizza in certezze, incurante di come si sia svuotato questo termine, ma i miei occhi velocemente si riempiono di stupore. Così cammino, cammino furiosamente, con i bastoni di Nordic Walking che mi fanno sentire un esploratore urbano
Penso che finché la neve sia così morbida, io debba gioiosamente viverla, che presto quell'ingenuità si trasformerà in lastre di dubbi e malinconie, che la vita stia reclamando la mia attenzione. 

Si scioglie lo stupore e sto macinando metri e la dolcissima fatica di immergere i piedi in questa polvere avvolgente. Così ancorata a terra, sono gli occhi che corrono su, spinti dalla meraviglia di questo spettacolo mai visto, davvero.

 

domenica 27 dicembre 2020

Ci vediamo sotto la neve

 


Quando tutto ti schiaccia abbastanza, da non credere di poter vedere oltre, quando tutto cambia così in fretta da non cambiare più, tu cerchi un lampo da qualche parte. Qualcosa che forse rimarrà, anche se sembra andare via per prima: la neve.

Allora la aspetti, sbirci fuori dalla finestra sperando che sia già qui; detesti i bollettini, se tarda, ma sei convinto che comparirà. Spolverando appena i pensieri oppure radicandosi, cocciuta.

Ci vediamo sotto la neve. Dai appuntamento a chi lo sa, che c'è un gelo più insopportabile.

Ci vediamo sotto la neve, che mette a tacere tutto, con il suo soffio infantile ed eterno.

Ci vediamo sotto la neve, o non ci vediamo affatto, perché è la neve che non cambia, né la nostra attesa.

Affacciati al balcone

All'ombra di un palazzo ammutolisce un motorino. Lo scorgiamo mentre siamo immersi in una diligente attesa: un uomo si toglie il casco e afferra il cellulare. 

La sua voce ci raggiunge, il suo sguardo si arrampica: «Affacciati al balcone, che ti saluto». Adesso non guardiamo più, come a temere di infrangere un momento privato e prezioso, con le loro distanze che si abbattono con gli occhi. 

Affacciati che ti saluto.

Penso al compleanno di un'amica in un Paese lontano, che mi manca moltissimo. Lei pensava di trascorrerlo con il marito, isolati per il virus, perché non era prudente che tutta la famiglia si riunisse. Poi, un movimento alla porta: nessuno varca la soglia, ma ciascuno si presenta con fiori, doni e un sorriso che sprizza dagli occhi. È stato un giorno speciale, mi confida.

Io non ho visto quella scena, però grazie al suo lieve ritratto via mail mi sento lì. Anch'io vicina e anzi una volta terminato di farle gli auguri, avverto la tentazione di affacciarmi al mio balcone: magari c'è qualcuno che sta pensando proprio a me e passa apposta o finge di farlo per caso, così io spalanco subito la porta del cuore.

sabato 26 dicembre 2020

Non rinuncerò (eh no)

 

Si riversa su di me lo spazio della musica, quello in combutta con il tempo e i desideri. Parto dalla Scozia, arrivo dritto al Mediterraneo, anzi mi tuffo nell'oceano. Angelita, di Umberto Tozzi, una delle canzoni che più li accarezzano, i desideri. Ne parlai una vita fa  e ora mi chiedo perché le frasi chiave cambino così nel galoppo di una vita. 

Non rinuncerò. è la frase che precede la raffica di "eh no". 

Non so bene cosa mi aspetti, non so bene cosa io abbia combinato finora e cosa combinerà. So solo che già ho costruito amorevoli inizi verso questa destinazione.

Non rinuncerò eh no eh no. Perché sono figlia di un'idea e anche qualcosa di più.

Viali ritrovati

Pomeriggi di Santo Stefano, trascorsi a chiacchierare, giocare, un po' poltrire o gustarsi un vecchio film. Fino a quando non c'è la cagnolina da portare fuori, a respirare il sole e a seguire le sue regole naturali.

Così anche oggi, deve avvenire la passeggiata rigorosamente vicino a casa, ma c'è qualcosa di insolito nei viali che identifico solo più tardi. In passato vuoti, ora cosparsi di file minime e ordinate. Famiglie o pezzi di famiglie, amici che camminano diligentemente.

Mi vengono in mente le passeggiate domenicali della nonna della Valle, che erano importanti come per noi viaggiare o godersi chissà quale passatempo. Lei camminava stretta al suo uomo, di cui andava fierissima, e si fermava per uno scambio di saluti: conversare troppo no, il giusto.

Adesso ci osserviamo timidamente a distanza, persino le famiglie non osano procedere a braccetto, quasi a temere di essere giudicate. 

C'è però qualcosa di solenne in questi viali ritrovati, la libertà che si scioglie in riconoscenza per la vita e anche quando torneremo a viaggiare, forse, ci ricorderemo la bellezza di questi spazi e la gioia di condividerli

venerdì 25 dicembre 2020

eVenti di Natale


 Dopo la prima uscita dell’alba, la seconda si avventura  nei venti che frugano i pensieri. Il viale è sferzato dalla solitudine, senza malinconia.

È come se questo gelo raccontasse il Natale più di inutili bagliori. Solo più tardi, mi trovo con altre persone, in un’incerta coda. Una rapida consultazione sui turni, poi ci scambiamo gli auguri. Il tempo scorre e il freddo alterna qualche lacrima; noi all’inizio scherziamo per combattere l’attesa, ma il silenzio si riprende la scena.

Venti di Natale, in un tempo senza eventi ma con l’unico che conta. E tu guardi una donna che si rialza con il pugno sullo schermo del cielo (Via col vento, già, anche qui c’è una corrente sembra spingere tutto via), ma non ti senti più così. Senti che c’è solo un evento, che nessuno può cambiare, che ti sei già rialzata perché qualcuno ti ha preso per mano.

eVenti di Natale, l’aria corre a gridare l’unico evento che conta.

giovedì 24 dicembre 2020

Una certezza nel ghiaccio


 Nel ghiaccio dei piani e delle certezze, si fa strada lei. Una lunga strada, che percorre da almeno 35 anni.

La cartolina di auguri dal mio amico norvegese, con la sua calligrafia gentile e precisa, il foglio che si illumina con il tratto di un sorriso.

Oggi gli amici si perdono con un clic, non solo sui social. Io penso alla fortuna di avere ancora due pen friends del liceo: era una forma così fragile e invece è arrivata fino a questo terribile 2020.

A una di questi amici di penna, di cui invece ho smarrito le tracce, ho pensato molto quest’anno. Abitava nell’allora DDR, mi chiedeva album di Romina e Al Bano e altri cantanti italiani, che le spedivo. Una volta aveva taciuto a lungo, poi mi rivelò la ragione: una polmonite, ma ciò che l’aveva provocata era anche peggio ai miei occhi.

Aveva fatto la coda per due ore al freddo, per comprare le arance. Quest’anno, specialmente questo autunno, ho pensato a lei quando vedo le code fuori dagli uffici pubblici o dai negozi.

Ma questo ghiaccio non mi fa bene. Voglio pensare a una certezza buona, la cartolina dal mio amico norvegese. God Jul. 


mercoledì 23 dicembre 2020

Piccole natività

Di piccole natività è costellato il cammino annebbiato. Luci fatte cadere come per caso, perché è più facile credere così, per qualche perversione umana: creature che cercano ruolo e conforto.

È un padre che ti intervisti, mentre tutti ci lamentiamo delle nostre limitazioni, e lui ti dice con semplicità che suo figlio più grande, l'ha lasciato in un altro Paese, in un altro continente: adesso sono cinque anni che non lo vede, perché non ha abbastanza soldi per rientrare ad abbracciarlo o per farlo venire con sè.

È un gattino solo, che piange disperato e proprio quando per salvarlo stiamo pensando di portarlo al gattile, perché forse era ancora allattato, arrivano dei signori e spiegano che è sfuggito dalla sera prima a mamma gatta. Lei lo sta cercando con tutta l'ansia materna e appena lo riportano, il pianto si trasforma in poppate.

Sei tu, che non ho abbracciato,  neanche una volta, e adesso chi sa se ti confortano o magari sei tu, piccola creatura generosa, che stai accarezzando via le lacrime di qualcuno.

Piccole natività, di cui è cosparso il mondo, aspettando di vedere (perché credere agli umani non basta) che quelle luci non sono lasciate cadere per caso


domenica 20 dicembre 2020

Umanamente

Dalle immagini di una giornata, se ne distaccano due apparentemente così lontane.

Un uomo che nella vita ha fatto tanto, un uomo importante direbbero, che per me è uno dei papà affacciatisi sui miei passi, ha sentito un mio annuncio che sentivo di dovergli fare dal vivo. I suoi occhi si sono annebbiati di lacrime e alla mia reazione anche i miei hanno dovuto.

Poi, una donna che non ho mai visto, intervistata al telefono una volta, una donna che svolge un umile e prezioso lavoro, mi ha contattata per farmi gli auguri e sapere come sto. Lei sola, in una terra che a volte forse le sembra ancora straniera, che si preoccupa per me.

In mezzo, lo stuolo di umanità che non si ferma a guardare nessuno, che corre come prima nonostante l’apparente immobilità a cui siamo condannati, che fa scivolare telefonate e sguardi.

Ma l’umanità, per me, significa queste due persone. Opposte e uguali, perché umanamente sanno prendere a cuore gli altri. 

sabato 19 dicembre 2020

Solo un velo, forse

 C'è un velo che si stende sulla giornata, lo fa con precisione bastarda eppure potrebbe scivolare per caso. Un velo che nasconde all'improvviso i volti, che hanno fatto parte da sempre delle vite.

Un velo di lacrime che separa dagli amici, dalle creature più fedeli. Un velo così lieve, appare di piombo. Finché passi sotto la grande finestra di una scuola e senti le voci dei bambini intrecciare un canto di Natale, le note che si impastano con le parole, poi tutto si scioglie in applausi.

Allora quel piombo si scioglie e torna a essere un velo. Solo un velo, forse. Che non passa più o aspetta il canto di un bambino.

martedì 15 dicembre 2020

Sempre dalla parte giusta

 

Ho lasciato scorrere le immagini che non mi appartenevano più o che mi sono appartenute in un modo nuovo. All'inizio con un po' di pudore, perché avevo la seccante sensazione di essere stata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quei giorni lì, in cui la Nazionale stravolgeva le abitudini intrise di pessimismo, io ero dalla parte sbagliata.

Allora, pensavo, che diritto ho oggi di emozionarmi, scuotere la testa di gioia, poi di dolore quando Pablito se ne va. È forse che oggi rileggo quei giorni, negli occhi delle persone che amavo e che sopportavano tutto, anche le mie contestazioni adolescenti: il mio voler essere da un'altra parte, sempre.

Loro me lo dicevano già: un giorno sarai dalla parte giusta, che è compiere atti savi o folli, senza rimanerne intrappolati sempre. E saper esclamare 38 anni dopo...

Dio mio, Paolo Rossi

Perché amando, si è sempre dalla parte giusta, che non ha colori, che non si divide.

 

domenica 13 dicembre 2020

Sul confine con la nebbia


 Scivola via la nebbia dalla brughiera, si rintana in angoli di sogni e noi rimaniamo sul confine.

Ci fermiamo a contemplare uno spettacolo così normale, da rabbrividire di stupore. La terra cattura ogni briciola di sole e così noi, ma il nostro sguardo continua a frugare negli ultimi sospiri di nebbia.

In questi giorni, quando le vie si sono popolate, ho avvertito contraddittorie sensazioni. Come uno stordimento di fine guerra, qualcosa che non avevo mai vissuto se non nei racconti. Ma non c’è liberazione, non ancora, solo prove di tregua qua e là.

Forse per questo respiriamo questo scenario pegno di una normalità sincera, qualcosa che non cambia per il travaglio umano. Non qui, non ora. 

La nebbia sul confine dei sogni e noi con lei.

venerdì 11 dicembre 2020

Le luci corrono

 

Finalmente cammino dentro il Natale, la luce di una promessa. Non conta più quello che sto facendo, ma che ti sto cercando. Le luci corrono e io le seguo.
C’è una fila sbarazzina e so dove conduce, a te. Le seguo fino al tuo santuario, lo sguardo tenacemente rivolto in alto senza timore di inciampare.
Le luci corrono, ma io mi fermo a cercare te, anche nell’angolo più buio dell’anima.

domenica 6 dicembre 2020

A chi tirare le palle di neve

Nello scampolo di giardino libero resistono sprazzi di neve e il bambino accorre facendone scorta. Plasma delle palle per tirarle e lanciarsi in un gioco scatenato. 

I miei occhi frugano attorno, alla ricerca dei suoi compagni di gioco, ma non riescono a individuarli. È una nonna che compare sul balcone a dare corpo ai miei dubbi, ma lo fa con una gentilezza che vuole attenuare il malessere: «Hai trovato altri ragazzi che giocano con te?».

Il quesito sembra sferzare il ragazzino, che esita come se fosse stato scoperto. È riuscito a impastare le palle di neve, ma non sa a chi scagliarle. Questo mi ricorda i giochi solitari di quando ero bambina, figlia unica, e in un modo o nell'altro i compagni di gioco me li trovavo, al limite me li inventavo.

Questo mi ricorda la situazione attuale di molti di noi. Non sappiamo a chi tirare le palle di neve, con chi ridere, piangere o scherzare senza appoggiare la testa sulla spalla o tendendo una mano. Nei momenti più bui, chiusi tra le nostre pareti, e anche la neve dei sogni si dirada, quando non possiamo sorridere a qualcun altro e confidarglieli.

Eppure possiamo sempre trovare, inventarci, scoprire a chi tirare le palle di neve.


sabato 5 dicembre 2020

La neve, in confidenza

Chissà dove la sentono silenziosa, la neve stamattina faceva un gran fracasso. Sussurrava, sì, di continuo, alimentava un’incessante conversazione tra alberi, animali e mura, facendo trovare un linguaggio comune.

Si fa ciarliera, la neve, senza tradire i segreti di nessuno, come se le spiacesse lasciarci così, dopo averci illuminato gli occhi. Difatti quest’immagine nel cassetto è già svanita.

Eppure la neve, in confidenza, è un’adorabile passeggera. Tu pensi di averla fatta salire a bordo, ma è lei che tiene il volante. Per un minuto, un giorno, una vita, lei entra nel nostro viaggio e non se ne va mai davvero. Perché anche quando è andata, è rimasto il suo profumo, o il suo cicaleccio sottile: ci guidano verso il futuro offrendoci un ricordo, un brivido e un sorriso, l’eco di quel suo parlottare discreto che invita noi ad aprirci.

Quante ne deve sapere, eppure rispetta tutti.

venerdì 4 dicembre 2020

Non è poetica


 Da stamattina avrei voluto scattare foto poetiche, ma la giornata e i suoi accidenti mi hanno preso la mano.

Non è poetica la neve, quando sei in emergenza e il destino esercita accanimento nei tuoi confronti. Non è poetica, quando sei immerso in pragmatici spostamenti, o quando dai tetti ti grida la sua voglia di vivere.

Alla fine ti trovi sull’orlo di una giornata, di cui la sera si è già impossessata. Allora scatti una foto giustificandoti: non è peccato, questo è Marte..

Non è poetica quest’immagine. È solo un assaggio di felicità.

mercoledì 2 dicembre 2020

Cercarsi ai piedi dell'inverno


Per salvarti dalla furia dei gatti, ti faccio scivolare su un foglio bianco: un tappeto candido per te, non certo un rifugio. Allora guardo fuori e mi chiedo dove vorresti stare.

Dove saresti di più al sicuro.

Non lo so, piccola coccinella. So che cammini, ogni tanto ti inalberi e sbatti furiosamente le ali, ma poi torni compatta, e di corsa da me. Scali le mie dita, con una carezza che mi scalda di incertezza. Ti rimetto giù e tu ti arrampichi, ancora, come se non volessi che stare con me, uno degli animali più pericolosi della terra.

Mi cerchi, forse perché io cerco te. 

Cercarsi, è tutto ciò che resta ai piedi dell'inverno.  Aprire la finestra e poi richiuderla, senza soluzioni. Quanto dura la vita di una coccinella, non lo sappiamo, mi dice un amico.

E la nostra, forse sì? Noi creature minuscole ai piedi dell’inverno.

GLI ANIMALI NEL MIO ROMANZO CHI HA BISOGNO DI WILLY
 

lunedì 30 novembre 2020

Al primo sguardo

Correva l'anno 2019: dodici mesi esatti, e un mondo fa. In un anno già movimentato, decisi che sarei andata in giornata ad Assisi. Strada mai fatta e dopo una vita di pendolare avevo maturato una certa avversione a stare al volante.

Eppure in 17 ore andata e ritorno: dentro il viaggio con ogni luce e condizione meteo, la certezza che sarebbe cambiato qualcosa, prima o poi.

Ma non è andata così: è cambiato al primo sguardo. Mi ricordo quando sgusciando fuori dalla nebbia, mi trovai immersa nella luce che abbracciava Assisi. Dovetti fermarmi a guardarla e a recuperare il fiato.

Al primo sguardo si può cambiare, infilare nella valigia fede e libertà.

E poi ripartire, verso di sé.

Possiamo rialzarci

Sant'Andrea quest'anno mi rimanda più che mai alle emozioni della terra che inspiegabilmente sento come mia. Dentro la testa, risuona "Flower of Scotland", plasmata da un fiero musicista di strada il giorno del referendum dell'indipendenza.

Oggi più che mai Sant'Andrea mi ricorda che ogni tanto qualcuno viene a fare l'arrogante nella tua terra, o meglo nella terra che ti ospita. Ti credeva fragile, pensava fosse una formalità, e tu l'hai rispedito a casa sua a pensarci su.

Se l'hai fatto una volta, due, quante altre ancora, hai acquisito questa energica consapevolezza: possiamo rialzarci, ancora. E lo stai già facendo, avanti rispedisci a casa sua l'armata arrogante. Avrà molto a cui pensare.

 

domenica 29 novembre 2020

Cresco di curiosità

 Per quasi cinquant'anni, mi sono fermata all'ultimo piano conclamato. Quello in cui abitano persone e sogni.  In queste ore, sono salita puntuale fino a quell'ultimo piano, poi ho guardato la cagnolina che spingeva il muso su, verso l'altra rampa.

Lassù che cosa c'era? Detto in modo realisticamente banale, la porta a cui accedono i tecnici dell'ascensore, ma io per la prima volta l'ho vista in un altro modo: un ulteriore luogo da esplorare. Gradini in più, il fiato corto e felice di aver superato un livello, una sazietà.

Siamo arrivate su, come se avessimo scoperto l'America. E forse un po' è stato così.

Perché cresco di curiosità.

venerdì 27 novembre 2020

Insolita e leggera come la nebbia

La nebbia così leggera, non l’avevo mai intuita. Due merli che si muovono dentro, come due pupille, dandole l’autorevolezza di uno sguardo che sa scavare  nei tempi e nei pensieri. 

La nebbia data per scontata, impalpabile e vera, era sparita e solo allora abbiamo capito quanto fosse importante per noi. Insolita, riappare ed è come se fosse tornata a casa.

Leggera e insolita come la nebbia, mi sento, indifferente alla pesantezza di chi pensa di poter schiacciare gli altri. La nebbia, non si può schiacciare: se n’è già andata, verso casa.

giovedì 26 novembre 2020

Lo sguardo bambino di Maradona

Lo sguardo bambino di Maradona, me l’ero dimenticata crescendo. E non sono stata più bambina io.

Quando se n’è andato, stavo pensando al futuro e non ho capito bene cosa stesse accadendo. È bastato il film su Rai3 a riportarmi un sorriso liberatorio, uno sguardo che mi riportava a un tempo troppo lontano. 

Ogni domenica è una rivincita.

Ero troppo brasiliana, Pelè il mio idolo indiscusso e il Brasile che mi scorreva nelle vene di romanista senza accorgermi che i miei eroi erano già qui. Eppure i campionati mondiali dell’82 mai si disputarono, fu la mia decisione dopo che il Brasile uscì di scena ed è troppo tardi per vergognarmene. Una ragazzina distratta da troppi sentimenti, ma poi si accorse di quanto stava accadendo a Napoli. È quando il calcio ti dice che anche nella vita ogni domenica, ogni giorno è una rivincita. 

Ti hanno detto che rimarrai sempre sempre schiacciato dai potenti, che successo non avrai mai. Perché cosa sia il successo, lo hanno decretato loro.

Sento che la gente mi vuole bene.

Poi le loro convinzioni non ti toccano più. Perché sai per chi stai giocando. Quello stadio zeppo di volti e sogni, oggi sembra un lampo conficcato nella preistoria.

Me lo dice lo sguardo bambino di Maradona, che mi fa ritrovare il mio. Ti stanno gridando cose che anche se qualcosa di profondo dentro di te, conosci. E sai cosa rispondere.

Tanto, io gli faccio gol lo stesso.

Lo sguardo bambino di Maradona,  Solo i mediocri condannano senza appello le fragilità dei geni. (cit. Luca Di Bartolomei). Lo sguardo bambino suo, e io che mi ci ritrovo.

Grazie Diego, tanti anni dopo di sonno dopo.

Scusate, mi viene da piangere. (Argentina-Inghilterra 1986)


martedì 24 novembre 2020

Quello che ti diranno (la paura è loro)

Sono cresciuta tanto timida quanto spavalda, i miei primi regali tangibili furono una chitarrina elettrica e un’automobilina con cui sfrecciare sul terrazzo. Con la prima urlai versioni strillate di “Pensiero” che mio padre registrò orgogliosamente. Fu lui ad affidarmi un altro pilastro di vita come primo disco: “Io vagabondo”.

Ci ha provato, a dirmi: tu sei donna, meglio che fai così e così. Ma quando la situazione gli è sfuggita di mano, non ha fatto molto per riprendersela. Aveva, anche in famiglia, la consapevolezza di donne rocciose di cui mi ha parlato molto più insistentemente delle altre figure.

Sono cresciuta così, con un'incoscienza preziosa. Solo più tardi mi sono scontrata con onde sempre più alte, alimentate da tanti uomini (e anche qualche donna), resi testardi da un solido alleato.

Ho imparato qualcosa, anche a livello linguistico, perché le parole sono preludio delle azioni o meglio azioni stesse. Lo ripercorro e sento addosso a me quello che è accaduto anche a tante altre.

Tu sarai coraggiosa: ti diranno che sei isterica.

Se tu ti emozioni, ti diranno che sei fragile.

Quando ti affideranno un compito inaspettatamente, ti potranno dire: perché serve la sensibilità di una donna.

Te ne diranno tante e arriveranno a fartene di più. Qualcuno arriverà ad alzare le mani e cercherà incredibilmente di farti  sentire in colpa. Se non chinerai il capo, potrà sforzarsi di farti terra bruciata attorno e peggio ancora. E il male che potranno procurarti, sarà immenso. Sempre per la loro solida alleata.

La paura. Ti faranno che diranno tutto questo perché hanno paura: la sentono massicciamente e si mascherano da supereroi, si acconciano da duri, pensano che tutto questo sia da "uomini". Ma non sono uomini, no davvero. Sono dei fifoni, incapaci di esistere se non schiacciando gli altri.
 
L'importante è non sentirla noi, la paura (o meglio sconfiggerla, perché non ce ne vergogniamo) fin da quando iniziano le parole. 

Quello che ci diranno, faranno, possiamo combatterlo, sempre. Non sempre fermarli, è vero, ma non diventare come loro, sì. 

lunedì 23 novembre 2020

Quell’impossibile del Natale


 Avvolta di luci e colori, ma soprattutto stupore, mi osservo. Me ne intendo dell’impossibilità del Natale. Ho perso mio padre un mese prima delle feste e l’aria fu risucchiata via assieme a tutto ciò che conteneva. 

Abbozzai solo un presepe, perché strinsi un patto: l’avrei fatto se altrettanto avesse deciso una donna straordinaria, che aveva perso la figlia e da allora si era fermata.

Quell’impossibile del Natale, nei cuori feriti, prova a unirli più del dolore.

Impossibile quest’anno in cui le certezze umane sí sono ridotte a brandelli: noi eravamo invincibili, tutto era possibile con le nostre forze e si è sgretolato.

Io proprio per questo, afferro una coperta calda di luci e colori, che non copre le mie debolezze, né il mio vuoto. Ma mi ricorda che l’origine del Natale è qualcosa di impossibile, così minuscolo da battere il gelo e il buio, e per questo io ci credo.


domenica 22 novembre 2020

Solo un filo di trucco

 

Basta un filo di trucco per uscire allo scoperto, anche con se stessi.

Una linea di ombra su un pensiero, una pennellata di luce sull’altra, il pallore cupo della notte che si ravviva.

Solo un filo di trucco per tracciare ciò che sarà di te, senza montarsi la testa, senza farsi cancellare da maschere e illusioni.

Un filo di trucco e finalmente sei tu, sulle punte a danzare con l’alba.

sabato 21 novembre 2020

Il dolore immobile

Sei sempre tu, l’unico che ha intercettato il mio dolore tempo fa lungo la strada semivuota. Sister, tutto bene, non ti vedevo più. Tu che vieni da un Paese lontano, che ogni giorno affronti viaggi più brevi e incerti.

Ma ora sei diverso. Sei immobile, appoggiato al palo senza indolenza. È il dolore che ti tiene lì, mentre dalla chiesa cerca di riversarsi con ordine il flusso degli amici di un uomo speciale. 

Quell’uomo per tanti anni ha accolto anche te, nel suo negozio. Ti vedo che fai tappa tra le vetrine, chiedi, racconti, cerchi di vivere.

Come manifestare il tuo dolore, se non così: immobile.

Ma poi mi ricordo l’unica altra volta in cui ti vidi così. Immobile, appoggiato a una parete, persino le lacrime impietrite negli occhi: quando morì la moglie di quest’uomo, anni fa.

Tu che ti sposti sempre con una regolarità stupefacente, che abbracci un quartiere con le tue parole e il tuo sguardo, perché ne fai parte, anche se vieni da lontano. Soprattutto perché vieni da lontano.

Il tuo dolore immobile mi ha scavato dentro più di tutto. Ancora di più, quando una donna si accosta a te e ti raccomanda: stai attento.

Io non riesco più a guardarti e ti saluto alle tue spalle. Mentre mi allontano, mi accompagna la tua parola: sister. Tu non ti muovi, non ancora.

giovedì 19 novembre 2020

Poveri sotto la luce


Una manciata di istanti di pura luce, ora anni luce distanti mi sembrano. Noi che corriamo al cospetto dell’Albero illuminato. No, non è un trono, è il luogo caldo e accogliente che ci era mancato in questi mesi, è il tepore di una promessa. 


Poi, a pochi metri ci attendevano  sguardi sofferenti, la scoperta che quel viale, in realtà, era già diventato buio, perché qualcuno che vi apparteneva in modo indissolubile se n’era andato.

 

Questa mattina ci è parso stupefacente che l’albero fosse ancora illuminato. Perché noi siamo poveri, sotto la luce, ma lei resiste, tenue o abbagliante ci accompagna anche nel tratto più oscuro.

 

Le lacrime, dopo tutto

La corsa, fitta di parole, di immagini e di gesti, è finita. Chiudo fuori tutto, ma qualcosa si incastra sulla soglia della porta dell'anima e l'unica è fingere di non vederlo.

Finché nei primi morsi della sera accompagno fuori la cagnolina e scorgo un muto compagno di passeggiate a sei zampe. Stasera devo chiedergli come va e lui annuendo mi restituisce la domanda. Mi sento mentre gli dichiaro: sono stufa.

Così lui replica: «Già, non passa più».

Una fotografia realistica, vagamente impietosa come questa sera gelida da copione, non riesce a volare lontano da noi; così il mio sguardo corre oltre la strada e lambisce il viale, dove so che lui abita. 


- Sì.

Non c'è più niente da dire, non c'è da correre più, non c'è un'altra immagine che si infila dentro a mascherare il vuoto del viale, dove il Peppino, non lo incontrerai più. Sto già rientrando a casa, perché ci sono le lacrime, dopo tutto. 

Perché prima, in qualche modo le hai soffocate, sei riuscita persino ad ascoltare sfoghi sul nulla da interlocutori che senti già molto distanti; devi aver mangiato, hai scrupolosamente (o così ti sembra, se non speri) svolto il tuo compito e adesso sei qui.

Con le lacrime, dopo tutto, che dovevano venire prima e ora che ti hanno raggiunto dopo questa corsa vana, ti fanno compagnia.

martedì 17 novembre 2020

Ed è tutto chiaro

Tutto confuso, persino sotto questo cielo blu che grida la vita. Ma poi compari tu, albero che prometti di tornare a casa dopo Natale, adesso resti accanto a noi per non lasciarci in preda a quest'angoscia, dura da dissimulare.
Stiamo camminando sul viale, nel nostro ristretto confine, quando appari ed è tutto chiaro. Non c'è nemmeno bisogno di spiegare la gioia, la afferri e la accarezzi, così felice da tacere.

Perché è tutto chiaro.


 

lunedì 16 novembre 2020

Purché io trovi Willy (e la libertà)

 

Così trovo Willy. Non quello del mio romanzo edito da Mursia, ma non credo di andare poi così distante. Il mio Willy ha un volto tutto da scoprire, anche quando pensi di averlo individuato tra le pagine.

Oggi parlando con le magnifiche creature che si occupano del progetto Porcikomodi all'interno di quell'immenso abbraccio è che Vitadacani, il discorso è andato su di lui e ho dovuto incontrarlo, almeno virtualmente. 

Willy è un torello che ha deciso che il suo destino poteva essere scritto anche da lui. Che ha scelto la libertà, a ogni costo, e ha sfidato ogni ostacolo, anche recinzioni altissime e la testardaggine degli uomini a dover dettare la propria legge.

Ma Willy non aveva la minima intenzione di arrendersi, e anche quando è parso che la sua storia dovesse avere un drammatico, scontato epilogo non è andata così. Perché se sei vuoi essere libero, se lotti con tutte le tue forze, persino il destino ti può dare una chance.

C'è un passaggio particolarmente prezioso per  me, nel racconto di coloro che hanno portato a compimento la sua salvezza. 

 Lui aveva un nome, e il suo coraggio lo aveva affrancato dallo status di animale-cosa che condanna i suoi simili.

Ho pensato che forse questa mia passione, ossessione per molti di dare dei nomi agli animali che incontravo (e alle piante), con una inspiegabile eccezione, potesse avere questa segreta intuizione. Che era per poterli abbracciare nel nostro percorso comune di vita. Per stare al loro fianco e imparare da loro. Per non pensare che fossero al mio servizio, per imparare a smettere di nutrirmi della loro sofferenza. 

Il cammino è lungo e faticoso, ma che importa purché io trovi Willy (e la libertà).

LA STORIA DI WILLY

domenica 15 novembre 2020

Senza tempo

 

Sotto il vostro sole provvisorio, lampo di una stagione, cammino senza tempo.

Che poi, che moneta svalutata è, il tempo. Non lo si trova per rispondere a una chiamata o uno sguardo. Quello che si rintraccia in abbondanza, per schernire o scoraggiare. Quello che ci passa avanti e ha troppa fretta per guardarci, quello galantuomo è un’altra faccenda ma non è maniaco della puntualità.

Forse è meglio essere senza tempo, smarrirsi tra creature che non si fanno simili crucci. Sotto il loro sole provvisorio, sentirsi vivi in un istante che si dilata in eternità.


sabato 14 novembre 2020

Quando il mondo sembrava già cambiato


 Nell’oscuro sfondo di questi tempi, scorre qualcosa di più di una promessa e persino di un film.

“Indovina chi viene a cena”  raccontava non solo che potevamo cambiare, ma in fondo che era già successo.

Non posso attribuire la colpa al virus, se capisco che  non è proprio così. Pontifichiamo davanti a tutto, anche a un piccolo migrante inghiottito dal mare e dal nostro silenzio.

Liberali incalliti e l’inferno che già ci guarda.

Quando il mondo sembrava cambiato. E dobbiamo ancora cambiare, o provarci.

Marinai controvento


 Mi hai dato tutte le istruzioni per un’esistenza tranquilla, peccato che io abbia guardato te. Nella tua vita e quando ti sei dovuto fermare apparentemente nei tuoi occhi: il tuo guizzo ti rivelava così, papà.

Marinaio curioso, testardo, controvento. Pronto a fare tutto ciò che credevi giusto, a salpare ancora se te lo impedivano. Non erano le condizioni in cui ti trovavi a dettare la rotta, ma le tue convinzioni. 

Quando sei salpato troppo lontano perché io potessi vederti, dodici anni te, mi hai lasciato anche questo.

Marinai controvento, siamo io e te e sappiamo dove incontrarci, ancora. Anzi, salpando ogni volta io già ti incontro, ancora.

venerdì 13 novembre 2020

Willy otto volte gentile (perché niente è immobile)

 Grazie ai potenti mezzi del computer mi sono messa a cercare quante volte si posa sulle pagine di "Chi ha bisogno di Willy" e ne ho contate otto.


Mi piace questo numero, che fatto scivolare delicatamente diventa simbolo dell'infinito. Nella Giornata della Gentilezza, il libro si posa tra le ortensie con naturalezza e mi fa pensare a tutte le volte in cui le creature sono gentili con noi, che ce ne accorgiamo o no.

Willy otto volte gentile, in un mondo un po' spaesato, vuole raccontare anche questo. Che persino quando siamo in un isolamento, voluto oppure obbligato, possiamo non spegnere i nostri sogni e frugare con lo sguardo attorno a noi. Fermi, ma felici come il Gatto sotto l'ombrello di Carpugnino oppure come i muratori che con la gentilezza hanno salvato una farfalla. 

Perché niente, nessuno è immobile, se lo vogliamo. Se siamo premurosi l'uno con l'altro.

mercoledì 11 novembre 2020

La classe è anche acqua

Ci sono eleganze pacate, che si colgono anche dagli sguardi. Come la tua.

Quando mio padre volò via, in diversi si sono presi cura di me, con garbo. Tu sei sempre stato presente, con telefonate o visite quando riuscivi a venire qui, l'hai fatto finché potevi e te ne sono grata. L'eleganza indossata dai gesti e dalle parole, mai ostentata: dietro quello che eri riuscito a costruire, non dimenticavi mai cosa, chi c'era. I sacrifici tuoi e dei tuoi cari genitori, i loro tremori quando dovevi raggiungere la metropoli e i suoi pericoli. La tua generazione, che ha vissuto il coprifuoco, quello vero: ci ripenso e mi ritraggo dalle mie lamentele quotidiane. Difatti, quando venivi a trovarci, ci parlavi volentieri anche dei tuoi nonni, i miei bisnonni, e mi hai aiutato anche con il nostro libro di famiglia, perché ci tenevi anche tu.

L'anno scorso, abbiamo festeggiato tutti insieme un tuo magnifico traguardo e io ti guardavo con affetto e ammirazione:  sempre così elegante e con quel guizzo sincero negli occhi che abbracciavano con orgoglio la tua famiglia sul lago.

Allora, lascia che io ti ricordi anche così. Tra le tue visite, una quando il mio corpo combatteva con il dolore di aver perso papà, forse reandosi ferite. Ti raccontai che mi avevano operato a un occhio, per togliermi un fastidioso ospite, eppure questo si era riformato e non riuscivano a mandarlo via: volevano intervenire ancora, ma io ero riluttante a tornare in sala operatoria. 

Tu arrivasti a casa mia con un tomo dell'enciclopedia medica. Mi dicesti: devi fare così, impacchi di acqua calda e fredda, alternati. 

Interventi, pomate, e ora l'acqua? Tuttavia, se me lo dicevi tu, io ci credevo; quindi, ho eseguito. 

Sarà stato quello, sarà stato il sentire che mi volevi bene, o tutto insieme, fatto sta che io sono guarita. 

La classe è anche acqua, lasciami scherzare, perché noi Castiglioni-Crespi ci sforziamo di sorridere anche quando siamo addolorati.  E a me pare di vederti sorridere sul tuo lago, forse lo stai facendo davvero, ancora.

martedì 10 novembre 2020

È rimasta la luna

Quando i sogni già sono spenti e usciamo riluttanti, ci accorgiamo che ancora c’è lei. Saggia o ritardataria, anzi entrambe le cose.


È rimasta la luna, uno spicchio, un frammento che si scioglie nel cielo. Un promemoria di ciò che lasciamo, eppure ci attenderà ancora. Un’amica un po’ triste, di quelle nei cui occhi leggi l’antico peso del mondo, eppure capace di smarcarsi con un improvviso sorriso.

È rimasta la luna ed è il buio che si allontana per primo.

La stella segnatempo

 


Mi guardo attorno senza orientarmi nel tempo, che quando avevo più coraggio di essere filosofa credevo pure non esistere.

Adesso il cielo blu si colora di foglie gialle che si stanno polverizzando, l’erba verde e testarda cancella ogni tentazione di brivido.

Io non so che in tempo stiamo viaggiando. Non scrivo più nulla sull’agenda, uso incerti post-it che volano via. 

Poi arriva lei, silenziosa. Anzi loro. Una stella segnatempo, perché mi ricorda che arriverà Natale. Una, due, tre.

Una stella segnatempo che ha voglia di accendersi. E anche se non so in che tempo siamo, potrei persino sorridere.


lunedì 9 novembre 2020

Sui passi del mio mondo

Quando sono diretta verso il centro, devo spesso deviare i miei passi. O forse riportarli dove è giusto che ripassino il loro senso. 

Per tanti anni, avevo sfiorato il parco incantato, quando giocavo le mie incerte carte da cestista nel vicino palasport o quando scendeva la sera e vedevo mia zia uscire dagli uffici di fronte, ripiegarsi alle incursioni del freddo e tornare a casa.

Sono scivolati via, gli anni, e oggi so qualcosa di più di quel parco: lì hanno riposato tante persone, che avevano dovuto affrontare un'epidemia quattro secoli fa. Colpiti senza colpe, sprofondati nella terra e spero risaliti fino a questo cielo azzurro senza invadenze: sul suo sfondo la chiesetta, in cui non riesco a entrare da troppi anni. Il lazzaretto: lì dentro forse qualcuno dei miei avi che non ce l'ha fatta oppure è uscito con una muta preghiera.

Così quando entro nel parco, sento i piedi che vanno per conto loro. Sui passi del mondo, del mio mondo che procede, incespica, si interroga, proprio come faccio io. E camminiamo insieme, senza essere più certi del tempo e dei tempi.

Io qui, sono già stata. Sui passi del mio mondo, respiro una strana pace.




 

giovedì 5 novembre 2020

Forse è troppo presto

 Inghiottita dal buio questo mattina, mi sono disorientata, ma poi ho pensato: forse è troppo presto.

Le auto cercavano di spazzare la notte riluttante a ritirarsi, l’aria sprigionava già quello strano calore dell’alba. Eppure forse era troppo presto.

Chissà perché mi è venuto in mente che ti dicono che è troppo tardi per cambiare. Mentre forse solo è troppo presto. Poi, si allenta la morsa del buio e tu devi solo batterlo con passi di cuore.

Non ora, ma presto. Molto presto.

mercoledì 4 novembre 2020

Qualcuno che ti aspetta

 Ogni sera, ti aspettava dopo una dura giornata di lavoro, perché questo era, ma molto di più. Il giornalista, nel vecchio millennio.

Tu risalivi perché quello era il bello, la casa vicino la redazione, praticamente sopra e a tavola ritrovavi te stesso, la tua famiglia, un po' di pace tutto insieme. Ce n'è bisogno quando fai il giornalista nel vecchio millennio, quando lo fai sinceramente e con quella precisione che ti porti dietro da una vita. Quando devi rimanere freddo abbastanza, da non esserlo per niente, tanto più quando il destino un giorno colpisce proprio te.

Ma tu sapevi che tua moglie, a casa, ti aspettava e vi sareste seduti insieme, cenando e raccontandovi quella giornata solo apparentemente terminata. Finché, implacabile, sarebbe arrivata una telefonata, dalla redazione centrale o da una fonte: c'era da scendere, da ripercorrere quei pochi metri che dividevano dall'ufficio, da riaccendere le luci e da cambiare il giornale ancora. Il pasto fumante, che diventava freddo, e ogni volta tu le promettevi: mai più.

Quando c'è qualcuno che ti aspetta, che si sta prendendo cura di te, già mentre ti attende, tutto acquista un senso . Così corrono gli anni, la figlia che puoi abbracciare ti rende nonno ed è uno stupendo lavoro,  accudire la tua nipotina; scrivi romanzi come non osavi prima.

Finché devi andare via e lo fai senza rimpianti anche perché c'è qualcuno che ti aspetta lassù.

Così corrono gli anni e la donna che ti ha atteso per tanto tempo dopo una dura giornata di lavoro, deve andare via a sua volta. Lo fa senza rimpianti, perché nel frattempo è diventata bisnonna, ha respirato tanto amore fino all'ultimo, ma adesso deve proprio andare.

Perché c'è qualcuno che ti aspetta, lassù.

Buon viaggio, Isolina, dal tuo Gianni, dalla tua Daniela.

martedì 3 novembre 2020

Metti se il Paradiso

 

In questi tempi più che duri, scavati nelle lacrime, se sento la parola Paradiso, continuo a sentire le parole del nonno. Così generoso e giusto, come i contadini sanno essere anche quando li strappano dalla terra, da non temere di definirlo in dialetto: in pari alle radici.

Stasera che mi sento pure sotto terra, per la precisione, guardo la tv e compare Gigi Proietti. O San Filippo Neri.

Metti se il Paradiso fosse conficcato qua, tra le lacrime, la fatica, le ingiustizie. E noi a cercare di estrarlo, mentre già ci strappa via da questo vuoto, Lui.

lunedì 2 novembre 2020

Nel cortile della vita

Il mondo degli adulti è diviso, e noiosamente delatore: anch'io oggi stizzita facevo lo slalom tra chi non portava la mascherina e intanto mi imbronciavo con l'umanità per pochi ingiusti.

Vivere è diventato così complicato - ho proseguito il mio dialogo interiore - e non è che la porto gioiosamente questa mascherina, tanto più quando sono in giro a piedi con il cane e si appannano gli occhiali. Devo quindi alzarli e decidere come vedo di più, o di meno, se con le lenti annebbiate o senza. 

In quei momenti prenderei a calci le castagne matte - quelle che infilavamo in tasca perché così curavano contro il raffreddore, anzi lo prevenivano, ci veniva assicurato - come un bimbo indiavolato perché non può divertirsi come vuole.

Poi, sento proprio un rumore di giochi infantili. Esito davanti al cortile della scuola e lo spettacolo che mi accoglie, è una carezza.

Ci sono gli alunni che corrono e giocano, i loro volti coperti dalla mascherina, ma gli occhi no e anche le loro voci riescono a fluire gioiose. Non si pongono interrogativi, i bambini, perché troppo impegnati a essere felici in ogni condizione. In un'altra parola, a vivere.

Nel cortile della vita cammino e ora non sbuffo più. Guarda, così mi si appannano pure meno gli occhiali.

domenica 1 novembre 2020

Non ho paura della nebbia


 Dalle mie parti la nebbia si riveste di infiniti nomi. Non ce n’è uno che abbracci sufficientemente il generico concetto.

Negli anni, la nebbia si è ritratta da noi, eppure noi non ce ne siamo dimenticati. Nei miei perenni viaggi, quando la trovavo di notte, ero indecisa tra paura e il tepore che crea la familiarità. 

Adesso questo tempo è intriso di nebbia e non mi sento di aver paura. Perché da queste parti la nebbia è più concreta delle incerte stelle: la accarezzi e forse ci ascolta pure.

O forse possiamo cominciare ad ascoltarci noi.


sabato 31 ottobre 2020

Oggi rimando tutto (ma non di essere felice)

 Quando non posso rimandare nulla, o così mi convinco, sento il dolore fin nelle pieghe dell'anima. Talvola, prendo il coraggio e rimando una piccola cosa: tutto torna al proprio posto magicamente.

Il peggio che io possa fare, tuttavia, è altro: rimandare di essere felice. Oggi guardo dentro questa nota scarabocchiata con inchiostro invisibile, forse perfino prima del mio primo vagito. Così, prendo questa decisione senza particolare coraggio, quasi per inerzia.

Oggi rimando tutto. Ma non di essere felice.

A volte, devo rimandare qualcosa per vivere. Ma c'è qualcosa che per vivere non si può rimandare.

giovedì 29 ottobre 2020

La terza curva e un sorriso

Quando le salite le affronti con le gambe, ti ricordi ogni metro. Io da bambina dal paese contavo le curve della collina, almeno quelle vere, che persino le auto un tempo dovevano sfidare sul serio. Alla terza sapevo di poter contare sul refrigerio di una bibita, un gelato e più ancora un sorriso.

Il Valerio. Il ristorante, il bar, il primo sguardo rubato sul lago, il jukebox che per noi adolescenti era un tesoro. 

Però prima di tutto lui, il cravattino, un modo di accogliere che ti sentivi già a casa e la sua famiglia cortese come lui. Un luogo 

Quante volte ho percorso la distanza maggiore, scendendo dalla casa della collina: si correva e si scherzava.

Mio padre: "Vai dal Valerio? Salutamelo e portami a casa un gelato". Naturalmente, era un tiro mancino e ci sono cascata solo la prima volta: il gelato veniva consegnato già sciolto a mio padre, perché, risalendo, il tempo rallentava sotto il sole implacabile.

Per farsi perdonare, papà: "Mi hai salutato il Valerio?".

Quanti piccoli gesti, anche quando il ragazzino che mi faceva battere il cuore mi chiamava lì, al telefono a gettoni, perché a casa non voleva incrociare la voce di papà. Arrivavo di corsa sperando di ricevere quella telefonata, arrossivo e sorrideva il Valerio: quanta pazienza, aveva con noi ragazzi. 

La terza curva e un sorriso. E io, in questa notte del tempo .- in cui anche il Valerio sembra essere volato via - sento che resterà lì, a dare il benvenuto.

mercoledì 28 ottobre 2020

Non ti seguo



Passi a incerti , che accelerano e prendono coraggio andando incontro a un amico. Finché si avvicina un aereo.

Divento bambina, aggrappata alle reti di un campo verso Malpensa.

O ragazza, su un battello che solca l’Hudson: sopra di me un gabbiano, e io sono incredibilmente libera. Intercetto un movimento e lo abbandono al momento giusto, quando sono più libera di lui.

Non ti seguo, nonostante mi dicano quando e dove mi devo muovere.

martedì 27 ottobre 2020

C'è sempre una battaglia

Una battaglia è superata, non vinta: adotto la morale del nonno, "scampato pericolo, beviamo un bicchiere".

Ma ci vuole il bicchiere, perché ci vuole un filo che avvolga tutto. La bottiglia del Ruchè legato al ricordo di don Giacomo Cauda, accanto al libro di papà: le loro foto si accompagnano e io non colgo più i confini del tempo. Rivivo una grande amicizia, che è arrivata fino a me forse per spronarmi.

C'è una battaglia chiusa dopo giorni difficili e c'è sempre una battaglia in arrivo. Quante ne ha affrontate don Cauda, quante papà. Si sono sempre incontrati e aspettati, confidati anche in silenzio.

Fino all’ultimo.

Quanto devo imparare ancora, nella vigna della vita.

Anche che c’è sempre una battaglia, per cui valga la pena un brindisi: serve a dirsi che ce l'hai fatta e che speri, preghi di farcela ancora. E comunque vada, ci saremo incontrati, aspettati, confidati ancora.


 

domenica 25 ottobre 2020

Pochi suoni come la pioggia

 Quando tu sei tentata di pensare che sei intrappolata, divampa lei. Mette in ordine tutto, con il suo cadere fitto e predestinato.

Pochi suoni come la pioggia, ti incendiano l’anima, ti purificano, ti liberano dal piombo dei pensieri. Sei ancora a secco di piani sul futuro, e lei ti ride in faccia senza disprezzo.

Pochi suoni come la pioggia, ti chiariscono le idee. Vorresti spalancare le finestre e ascoltarla a massimo volume, ma devi lasciarla sussurrare, perché così vengono affidati i segreti.


sabato 24 ottobre 2020

Neanche troppa importanza

 Ho incontrato diversi fatti, da taluni chiamati impedimenti, per cui il significato delle cose cambiava. Aspettative, ansie, urgenze: afferrate all'improvvise da una mano e buttate alla rinfusa, cosicché non riuscivo più nemmeno a individuarle, nella loro natura.

Anche adesso: e magari non interviene neanche un corpo estraneo, si mettono a giocare splendidamente loro.

Non ha neanche troppa importanza. Tutto ha scarsa importanza, quella poca che rimane si scioglie così rapidamente che stenta a rimanere il ricordo.

Neanche troppa importanza, a ciò che prima ne aveva tantissima. E sei già un po' lontano da tutto, e vicino a te: tutto alla rinfusa, persino con un senso.

venerdì 23 ottobre 2020

Chi è più fragile

 Nel buio più fitto di quanto ti aspettassi, arriva una foto che ondeggia tra fragilità e tenerezza, destinate ad abbracciarsi, anche in tempo di pandemia.

Poi un grazie, immeritato, perché non hai potuto fare niente, come talvolta, troppo spesso, ti accade.

Chi è più fragile, tu che mi hai chiesto aiuto, io che non so farlo, il mondo schiamazzante su un intollerabile coprifuoco.

Io mi addormento così, cullata da ciò che non sono riuscita a fare, da una fragilità che qualcun altro ha alleviato per me.



giovedì 22 ottobre 2020

Più dei silenzi

 L’unico vaccino che io conosca in questo tempo tormentato, è ai silenzi. 


È al rumore, che forse non mi abituerò mai. Adesso le città ammutoliscono così maldestramente e noi ci affacciamo su un buio più cupo: quello dove tutti tempestano una tastiera di pensieri velenosi.

Più dei silenzi, che fanno parte di me, mi turba questo vociare molto più vuoto della notte. E niente abbastanza.

Ripercorro un giorno di troppe ferite, la voce sconsolata di un medico, un amico al quale vorrei essere a fianco, dibattiti  assurdi sul futuro e non saper nemmeno se riusciranno a vaccinarsi le persone più fragili accanto a me: contro l’influenza, mica contro il Covid.

Io mi tengo stretto l’unico vaccino garantito per me: quello al silenzio. E la notte mi appare così amica.



mercoledì 21 ottobre 2020

Serenamente, segui quello che sei

 

Serenamente, scende la sera più incerta di noi. Tra graffi e speranze, respiro Assisi grazie alla foto di un amico. Il cielo si tinge di pensieri.

La piccola Chiara l’aveva già accarezzato, una manciata di incalcolabili anni fa.

Quanti incontri oggi, che non posso definire virtuali, mi conducono lì. Da San Francesco, da Santa Chiara.

A una donna straordinaria oggi ho confidato uno sguardo che mi chiedeva aiuto pochi mesi fa e lei mi ha detto ciò che avrei dovuto fare.

- Segui quello che sei.

È una promessa che suona come una minaccia, se non la capissi davvero stasera: ti succederà ancora.

Ti capiterà ancora che una creatura, non vista da nessuno, ti chiederà aiuto. Tu potrai farlo solo se seguirai te stessa.

Stranamente, scende la sera più incerta di noi. Una farfalla si posa sulle mie preghiere e volo lontano con lei.



martedì 20 ottobre 2020

L'unico volto

Quando si impongono dolcemente i momenti per fare ordine, spuntano anche quelli da non smarrire. Un'amica in visita, la discesa al mio lago, fin sulle isole. La telefonata a un altro amico, distante, che adesso in apparenza si è allontanato di più.

Ma lo sentiamo accanto a noi, ancora stordite da quest'anno feroce e impalpabile. 

Distante, chi è. Chi non sa guardarti in faccia, chi fugge, chi se ne accorge e chi no. 

Quanti, però, sono presenti, nei silenzi e nei rumori. Mi appare un messaggio di un grande uomo, con la sua consueta umiltà. Un amico che non potrò vedere nei prossimi giorni, mi manda un vocale meraviglioso. 

Ce la faremo, sì, saremo più forti di tutto. Perché abbiamo sbandamenti, fragilità, scosse, ma abbiamo anche un unico volto. 

Io riguardo il mio, di ormai parecchie estati fa. Un anno in cui cercavo di sfuggire a un lockdown tanto desiderato, in cui Violetta - la mia protagonista di Chi ha bisogno di Willy - si avvicinava e mi guardava.

Ma io avevo questo volto qui. Quello che ho sempre avuto, meno bionda e con quel «buco nella gota» che fa sposare senza dota, mi ripeteva zia Giulia. 

E le mie amate lentiggini, che sembrano posata una per una da chissà chi: nessuna per caso, magari scompaiono quando l'inverno si fa invadente, ma poi tornano tutte dove devono. Come me.

L'unico volto, in un mondo distante, e io che torno da me. 


lunedì 19 ottobre 2020

Una strana consapevolezza

 Questa peste era di ieri e per sempre. Come noi e la nostra capacità, volontà di combattere.

Nelle minuscole e immense quotidiane cose, non ho più convinzioni sul finale, ma solo una strana consapevolezza.

Sono io, arrivata a questo punto, perché qualcuno l’ha deciso e io ho stranamente collaborato. Poco incline a tollerare vuoti fighettismi o aste di valori. 

Quella strana consapevolezza di esserci, per una ragione, più salda di me.

domenica 18 ottobre 2020

Cento metri per me

 Casa tua. È il centro da cui passiamo tutti, ma per me è  prima di tutto casa tua. Stasera dopo un brindisi disciplinato, ho pensato all’ultima colazione insieme. Hai percorso cento metri per arrivarci, come cento chilometri: eri stremato.

L’hai fatto per incontrarmi, forse per salutarmi come si doveva. Forse quel giorno assurdo mi hai detto quella frase assurda: il tempo è galantuomo.

Il tuo tempo, affermano le cronache, stava correndo via. L’ho intercettato, forse l’ho guardato negli occhi, come con te.

Che hai affrontato quei cento metri, per me in un universo di esseri così spesso comodamente immobili.

venerdì 16 ottobre 2020

Inadattabile

Una solida leggenda familiare riporta che ci si doveva trasferire in zona (allora) più comoda o accreditata. Si rinunciò, perché si sarebbe dovuto mutilare un mobile.

Era inadattabile, come mi sento io dopo il mezzo secolo.

Prima mi forzavo, oppure per essere più fighi pensavo che stavo applicando un sano principio di resilienza. Non è così, perché in talune situazioni ti devi forzare oltre la tua natura. Sei inadattabile a quel contesto, dovresti sottrarti un pezzo decisivo di te.

Che meraviglia essere finalmente inadattabile ed essere pronto ad entrare in altri mondi, dove nessuno mutila le tue verità. 

lunedì 12 ottobre 2020

Il cielo che mi dà fiducia


 Ho attraversato paesaggi meravigliosi in questo pur contorto periodo e vi ho intinto i pensieri.

Eppure pochi cieli mi hanno dato fiducia, come quello di Bergamo quest’autunno.

Un cielo che non ha dimenticato nemmeno un dolore, eppure la sua consapevolezza non tormenta. Le foglie che sono baciate dall’autunno, sanno di vita.

Il cielo che mi dà fiducia.

domenica 11 ottobre 2020

No, non è tutto uguale

Spesso cercano di convincerti che sia tutto uguale. Che se qualcuno ti ha ferito e dilaniato, sei sbagliata tu. Non importa nemmeno se l’abbia fatto con altre donne.

Saranno donne sbagliate.

Allora soffochi il dolore, fisico e metafisico. Ma per fortuna, per benedizione potresti trovarti a un punto che non ne puoi più. Che capisci che non puoi far parte di una recita collettiva. Che devi ribellarti, persino per le comparse che ci hanno guadagnato: cosa, lo sanno loro.

No, non è tutto uguale. 

No, non compio passi indietro. Non voglio solo stare immobile accanto a chi non lo merita nella recita collettiva di turno.

No, non è tutto uguale. Perché sono libera, a ogni costo.

Freedom is not Free.
Non ci sono donne sbagliate. Ci sono violenti sbagliati.

giovedì 8 ottobre 2020

Il mondo lassù

 Gli angeli hanno indossato paracaduti, anche se non ne avevano bisogno. Macchie di luce, con un fuoco buono, scendono su di me.

Il mondo lassù non ci guarda soltanto.

Il mondo lassù, si spoglia, ci spoglia. 

Così anch’io galleggio nell’aria e forse a qualcuno porterò la luce che non ho.

mercoledì 7 ottobre 2020

Un pizzico in più

 

Un pizzico in più, di quanto possa sopportare. Un granello che manda in frantumi tutto, in un disordine anticreativo.

Una generosità che già verga il prezzo, un vuoto che riempie la vita. Tu, luna mangiucchiata, che frughi nella finestra con invadenza sommaria.

Un pizzico in più, basta a far fuggire in una galassia senza luce.

Un pizzico in più mi schiaccia, persino mi rende libera. 

Basta poco e basta tutto per vivere, e per ritrarsi.

martedì 6 ottobre 2020

Tu salti via

 Mi stacco pochi minuti dal mondo e tu salti via. Scusa l’espressione sciocca, sgrammaticata, Eddie.

Nel mio mondo rock, poche certezze. Non ero un ultrà dei Van Halen, ma 1984 mi scolpì il cuore. Forse perché era l’anno più bello, il batterista gentile che mi restituiva fiducia in me stessa, le vacanze in libertà, il primo concerto da scappata-di-casa-con-permesso. E poi voi mi stringete forte alla mia migliore amica, la nostra parola segreta.

E tu, con che permesso sei saltato via. Eddie, con la tua chitarra.

Mi trovo ribelle tra le lacrime, come tanti anni fa.

https://www.lastampa.it/spettacoli/musica/2020/10/06/news/e-morto-il-leggendario-chitarrista-eddie-van-halen-1.39389694

domenica 4 ottobre 2020

Volere è volare

Che cosa accade, quando una farfalla e un muratore si incontrano? 
Nell’Alto Vergante, non di rado si celebrano i mestieri. Ciò che si sa fare, che si è sempre saputo fare nel tempo, tramandato con spontaneità.

A Fosseno si va fieri dei muratori, come racconta il monumento. Anche la bambina che poi crescendo un poco ha scritto “Chi ha bisogno di Willy” conosce la loro bravura.

Papà fece il progetto della piccola casa con la creta che portavo a scuola, poi mi teneva con lui quando i mattoni crescevano. Io restavo accanto ai muratori e uno in particolare mi raccontava i segreti.

Lo rividi pochi anni fa, al tavolino di un bar. Mi dissi che era impossibile, era trascorso troppo tempo. Eppure non mi sbagliavo, mi confermarono poi.

Non potendo incontrarli, nel libro li ho fatti ringraziare da una farfalla. Insieme, mi ricordano una delle lezioni più antiche del mondo: volere è volare. Piccoli grandi sogni, si costruiscono con un battito d’ali che non sempre è visibile. Ma non sfugge agli occhi di una bambina.

CHI HA BISOGNO DI WILLY

 

sabato 3 ottobre 2020

In fondo in fondo

 Scortata da creature e pensieri, non riesco a non respirare sprazzi di solitudine.

Il cielo combatte per non essere ingrigito, un velo di cipria verde sulla terra, mentre cerco di mettere a fuoco l'orizzonte.

Che cosa c'è, in fondo, una domanda così antica. 

In fondo in fondo, forse c'è proprio una domanda che ci aspetta. E le risposte sono tutte qua, passo dopo passo.


Il mondo è fatto a scale

Solo a Milano ho avvertito l'insofferenza, perché con bastone ed esitazioni forse intralciavo la corsa. Ma devo dire che quando sono stata costretta ad affrontare le scale nelle stazioni in Veneto e Trentino in questi giorni, ho svolto un'attività supplementare: rispondere a tutti coloro che si offrivano di aiutarmi.

- Ha bisogno? 

- Vuole che le portiamo la valigia?

- May I help you?

No grazie, ho detto a tutti. Ma con un sorriso doppio, per la gentilezza naturale che continua a sgorgare e che vince anche le diffidenze create dalla pandemia.

Meno idillio sul treno regionale che ho dovuto ugualmente prendere di questi tempi. Affollato, e già questo non è cosa buona anche se tutti indossavano le mascherine (qualcuno, al massimo, meno impeccabile), ho viaggiato più di un'ora in piedi, con il mio simpatico bastoncino. Quando la folla si è un po' sciolta, ho visto che i posti a sedere erano occupati anche da qualche zaino. Non mi sarei più mossa dalla mia posizione e del resto ero ormai vicino alla meta.

Tuttavia, mi ha messo un po' di malinconia e mi ha fatto pensare: il mondo è davvero fatto a scale, ma quelle difficoltà possono essere smussate dall'umana solidarietà che nella corsa della vita è capace di fermarsi. A volte, quando sei comodo su quello che consideri il tuo posto,  è più facile distogliere lo sguardo. 


venerdì 2 ottobre 2020

Il mio amico carissimo

 Questa sera, nel cassetto, infilo un messaggio di un’altra creatura, la mia cagnolina.

Lei ama molto gli umani, li guarda adoranti. Ma per qualcuno l’adorazione cresce. Come per il suo amico carissimo.

Dicono che le dava i biscottini, è vero, ma altri di più. Fanni l’ha sempre considerato speciale, perché guardava dentro di lui e lo vedeva, in tutta la sua gentilezza: il suo amico carissimo.

Nel giorno degli Angeli Custodi, lui li ha raggiunti. 

 

Eppure resti sempre qui, amico carissimo, e io ti correrò incontro. 

Fanni 

giovedì 1 ottobre 2020

Ogni tanto devi fidarti di te stesso



Mi arrampico per la mia terra e la vita. Anche quando non ci arrivo, scorgo come l’uomo possa vivere oltre la natura ed essa completare il suo lavoro.

Assaggio sfumature e pensieri, ascolto in modo ossessivo. Un enologo parla di tecnica ed emozioni e dice una frase, una provocazione deliziosa.

Ogni tanto devi fidarti di te stesso.

Ecco che mi prende questa voglia irresistibile di fidarmi di me, creatura del niente, perché la natura da quel niente incredibilmente molto farà. Con la pazienza che oggi persino io penso di provare.


Foto Giardino dei Ciucioi, Lavis 

 

sabato 26 settembre 2020

Mettiamo la bambola a dormire

 Troppi pensieri ci assalgono, lampi della scorsa primavera.

Troppe cose sono cambiate, come noi.

Poi arriva una bambina a tavola e subito avvisa: prima, devo mettere a dormire la bambola.

Così c’è qualcosa che non cambia mai e ti fa addormentare con un sorriso.

giovedì 24 settembre 2020

Non ci fosse stata la tecnologia

Nei giorni immobili, agguanto facili soluzioni: un clic e ti consegnano tutto a casa o risolvi la tale pratica.

Nei giorni immobili, mi chiedo, un po’ sgomenta: non ci fosse stata la tecnologia?  

Chiudo gli occhi e scompaiono tutti i pigri messaggi di whatsapp, con i loro vuoti. Riaffiora un pieno di umanità, volti, mani. Come le amiche scese implacabili a portarmi fuori, il mio fratellino che ha lavorato in auto per me, l’amica saggia alla quale oso chiedere aiuto.
 
Non ci fosse stata la tecnologia, forse sarebbero traboccati quei lampi di umanità. 

mercoledì 23 settembre 2020

Mille giorni, ai miei occhi

 Il telefono impazzito mi rimanda messaggi di mille e più giorni fa: mi attraversano come brividi.

Proprio mentre il salmo mi ricorda: cosa sono mille anni, ai tuoi occhi. Un lampo fissato con morbidezza nel cielo, una scala tra le nuvole che percorri con un gesto.

Io, non mi so trovare in mille giorni. Non so fissare, lungo quel tragitto, un momento che mi ha cambiato, che mi ha fatto gustare amare verità, che mi ha fatto ridere.

Mi resta da guardare quella scala tra le nuvole e sfiorarla con le dita del pensiero: troppo grande per me, come mille giorni, mille istanti e forse anche uno.