sabato 31 luglio 2021

Dialoghi reali - Oltre il mio controllo (sconosciuti fratelli)

 A caccia di un parcheggio, blandamente, rallento per far attraversare uno sconosciuto. Il tempo di guardarlo meglio e non posso farne a meno: è oltre il mio controllo.

Riparto, con lentezza, abbasso il finestrino e lo chiamo.

- Signore! 

- Sì?

- Lei è un mito. 

Indeciso se potersi prendere rapidamente questo attributo oppure ritenere che il caldo mi stia colpendo, l'uomo chiede: «Perché?».

Io neanche rispondo, a voce. Indico la sua maglietta: Kiss, la copertina di Dynasty, 1979.

Non c'è più bisogno di parole, né di maschere. Lui mi risponde con il segno del pollice.

Riparto, serena. Gli sconosciuti fanno in fretta a diventare fratelli, grazie rock.

venerdì 30 luglio 2021

La prima firma e l'ultima lettura (addio, Gigi)

- Ciao, ho qui il tuo contratto articolo 1: vieni a Varese a firmarlo?

La voce del mio direttore di allora: la sento ancora nitida nelle orecchie, al telefono. Uno di quei telefoni massicci, oggi da museo, ma mi appariva la tecnologia del futuro in quel momento. Con l'incedere del tempo, tuttavia, la voce di Gigi Gervasutti mi è rimasta dentro per un'altra ragione.

Era stato un anno non facile, in cui mi misuravo con il mondo da poco più che ventenne, tra euforia e disillusioni. Offrendomi quel contratto alla Prealpina, dove stavo crescendo da tre anni, Gervasutti insomma mi porgeva il mondo e ringrazierò sempre lui, come Roberto Ferrario. Le meravigliose persone che ho avuto modo di conoscere in quegli anni, umanamente e professionalmente grazie a Gigi: una su tutte, Nicoletta, la mia cara Thelma, e il suo Gianluca.

Ora, baldanzosa io dico «Gigi», ma nei miei primi dieci anni di lavoro non sono mai riuscita ad applicare la regola giornalistica del tu ai miei superiori e ciò ha rafforzato affetto e stima. Adesso glielo sussurro, perché lui non c'è più.

Eppure c'è. Perché Gervasutti parlava poco, ma c'era sempre, e soprattutto quando doveva. Una volta, un politico che aveva tanto potere da non esserne sazio, gli mandò un plico con una serie di miei articoli sottolineati con diversi colori: una richiesta variopinta della mia testa. Io non vidi quella scena, ma da qualche pennellata che sfuggì, oggi me la immagino così: aperta la busta, sguardo fugace, scuotimento di testa, sbuffare rapido o forse neanche quello, busta recapitata nel cestino. 

La sua voce, però, mi ha lasciato un segno più profondo in un'altra circostanza. Parlava a un incontro pubblico, Gervasutti e del nostro mestiere. Affrontava il tema  con rispetto, realismo e senza mai sminuire nessuno o usando luoghi comuni. In quell'occasione raccomandò agli aspiranti giornalisti: «Date sempre un'altra lettura, un'ultima e cambiate una parola che avete scritto, più banale, generica, con un'altra». Ad esempio: avevo battuto in questo cassetto,  "disse agli aspiranti giornalisti" e ho sostituito con "raccomandò". 

Da allora, non posso affermare sempre, nella corsa perenne, ma spesso do un'ultima lettura a un articolo, a una frase di un libro che sto scrivendo, a qualcosa che consegno agli altri o a me stessa con questo scopo: mi serve a rimpiazzare una parola, che è troppo generica, banale.

(anche) questo mi ha consegnato Gervasutti. La prima firma e l'ultima lettura: così resterai con me.

"Mandi", Gigi. 

domenica 25 luglio 2021

Niente quanto l'odore della pioggia della collina


 Ho ancora negli occhi le variazioni sul tema delle ortensie e la sensazione sotto le dita pensierose. Sento l'erba sotto i piedi che sembra voler giocare, quanto me. Il cinguettio insistente di chi vuole assolutamente vivere. 

Tutto mi manca della mia collina, eppure niente quanto l'odore della pioggia. Quando esco sotto scrosci di vento e acqua della città, il cielo imbronciato più per dovere, a meno che si incavoli davvero, c'è quell'aroma umido che mi porta lontano. O meglio, più vicino a cosa conta.

Allora, darei molto per camminare là, incerta se non apertamente tremante. Ma così felice da non accorgermi delle mie paure, respirando profondamente l'odore della pioggia della collina.

sabato 24 luglio 2021

Le parole alle donne che non dicono tutto. O troppo

Non tollero e non tollererò più le parole rivolte alle donne che hanno subìto una violenza, di diverse forme, e non dico livelli. Perché non ci sono livelli: ci sono un dolore, un'angoscia, un'incredulità che ti restano addosso, per sempre, quando un uomo alza le mani. E un senso di colpa: quello che cercano di trasmetterti con alcune espressioni.

Quelle che minimizzano, quelle che scherzano, quelle che ammiccano, quelle che ci girano attorno.

Non c'è niente da girare attorno. Non c'è niente da scherzare.

«Il tuo amico...».  Chi alza le mani su di me, non è mio amico.

«Se ci sono problemi tra voi...». No, io non ho problemi. Io non sono un problema. Rinfrescatina di memoria: il problema è l'uomo violento. Il problema sono quelli che non lo capiscono o fingono di non farlo.

Ci sono parole, sguardi, espressioni, gesti che sono bastardi. Complici delle violenze. Non dicono tutto, ma in realtà rivelano anche troppo: che per troppi, ancora, uno schiaffo alla donna non è una violenza. Non sanno che spesso dietro, dopo uno schiaffo la violenza continua, magari cercando di fare terra bruciata in altri modi. Non sanno che dopo uno schiaffo, quando quella persona ti si avvicina come se niente fosse, tu senti il sudore sulla pelle, la nausea che ti afferra lo stomaco, uno stordimento come se ti obbligassero a rivivere quel film ancora, e ancora. 

Anche quando il mostro che hai davanti, ormai lo vedi com'è: vuoto. Non ti fa più paura. Ma ti fanno paura gli uomini - e le donne - che minimizzano, scherzano, ci girano attorno. Quelli sì. Perché sono complici delle violenze che accadranno e perché sono complici della paura che avranno le donne di denunciare.

Perché sono complici e basta.

Mi scorrono lontano, perché io adesso so cosa fare, se uno alza le mani. Ma intanto, in questo mondo assurdo pieno di giornate antiviolenza - in cui parlano tutti, a volte anche qualche carnefice e una platea di complici - io mi sento proprio libera.

Canticchiando con il mio vecchio amico, Umberto Tozzi.

«Così libero di essere sincero, se mi va un po' un po' eh no...».

Eh sì, Umberto, mi va, moltissimo.

E dico che no, non tollero più.

La magia è uno specchio che vede di più

 


Una confessione iniziale: ho messo prima quella foto, perché a me le immagini diagonali piacciono tantissimo. Una di quelle cose che facevano magari scuotere un po' la testa a mio padre, quello stupore, anche sconcerto, che si scioglieva poi nell'affetto.

Adesso, mi sembra ancora più potente, questa angolazione, perché so che appartiene ai gusti di una straordinaria ragazzina, conosciuta venerdì sera alla presentazione di "La Ricompensa - seconda parte" di Stefano Ferri.  Lo sussurro a lei, e vado oltre per timidezza, perché quella sera mi è parsa, per una serie di circostanze, quasi una fiaba e dentro una fiaba sta bene uno specchio.

Uno specchio di quelli che non vogliono darsi arie o attirare l'attenzione. Uno specchio che può rivelarti tanto di te.

Il libro di Stefano, avrei dovuto presentarlo nella stessa cornice l'anno prima a settembre. Prima che ci ri-chiudessero. Mi stava offrendo - come ho avuto modo di dire alla tappa di "Luglio col libro che ti voglio" organizzato da e20Dversi all'interno del calendario culturale del Comune di Samarate - la duplice forza della storia, tornando indietro di oltre 400 anni: il tormento e il sollievo che essa si ripeta. Pandemie, e reazioni, comprese.

Poter dialogare con l'autore su questo libro è stata una liberazione, ulteriore. Primo elemento della fiaba, perché c'è quasi sempre qualcuno che viene liberato, no? Poi certo il luogo è un altro elemento chiave. Una villa dove da ragazza venivo a sentir parlare di filosofia e sbirciavo quei bei locali, un giardino fatato dove l'estate scorsa ho avuto anche la gioia di presentare il mio "Chi ha bisogno di Willy". Samarate poi mi evoca altri legami, una persona buona che mi ha aiutato a ripartire e il mio bimbo adorato, il mio piccolo topo ora laureato, che andava a trovare i nonni nella "Broken House".

Ma ci sono le persone, i protagonisti delle fiabe. A partire da Stefano, certo. Un fratello ritrovato, come se l'avessi cercato tutta la vita. Noi, nati lo stesso giorno con due anni di differenza, ci siamo conosciuti perché lui era stato chiamato da un'amica a parlare di "Willy" e l'ha capito prima di tutti, compresa me. È sempre l'effetto di quello specchio, che guarda dentro di te molto più profondamente di quanto faccia tu. La sua meravigliosa famiglia, che quindi è anche un po' mia. E queste persone coraggiose che nell'estate 2020, quando non avevamo ancora l'ombra di un vaccino ma solo tanta voglia di vivere, con rispetto e prudenza, avevano organizzato questi incontri. Incontri letterari, stavo per scrivere, ma forse è riduttivo. 

Sono proprio incontri. Di persone, storie, coraggio, timori, curiosità, oltre che di pagine, pur bellissime e rese ancora più fiammanti dalla lettura di Maria Paola.

Ogni fiaba ha un magia, e qui c'è uno specchio che vede di più. Ho incontrato persone che non conoscevo, che conoscevo anni addietro, che ho sempre conosciuto: ma tutte insieme mi hanno dato moltissimo per affrontare questo periodo terribile.

Sono grata.

Perché è stato terribile, anche per me. Anche se non faccio post di sfogo, anzi non mi sfogo tanto, se talvolta sorrido quando cammino, l'ho fatto anche quando mi faceva molto male, se tengo dentro il mio cuore tutto ciò che mi è costato e mi costerà, questo anno. Lo specchio, però, lo legge benissimo e me lo restituisce. Con una carezza, con un "coraggio", con una piccola magia. Come quella di una sera d'estate, che potrebbe non finire mai. Anche grazie al dono di una foto, a un’altra ricompensa.

martedì 20 luglio 2021

Ti ho abbracciato davvero

 Nel caos quotidiano, che di te una volta ingurgitata se ne frega, ti capita di stare per correre via, quando una persona con la quale  hai condiviso meno di mezz'ora ti dice: vorrei abbracciarti.

Sarà questa dannata nostalgia, questo sentirsi perennemente disincarnati, ma tu senti quella voce che ripete e accentua: sei dolce, vorrei abbracciarti.

E vi guardate, imbambolate. Vorresti compiere il mezzo saluto in voga nei tempi di pandemia, ma non riesci.

Devi inventarti sguardi e gesti, prima di renderti conto.

Ti ho abbracciato davvero, perché l'hai chiesto, voluto. 

mercoledì 14 luglio 2021

Non facciamo a gara


Da piccoli si faceva a gara a misurare chi cresceva di più, tra bambini. Con te, ho smesso da un pezzo. Donatomi da un uomo al quale devi il tuo nome, hai finto di assecondarmi per un po', quindi sei schizzato su verso il cielo. Oggi ti lasci abbracciare. Mi piace avvicinarmi e respirare il tuo profumo, alzo lo sguardo ma non vedo la tua cima. Allora tendo le dita e le stringo alle tue. Non ti posso chiamare mio, ma molto più mi sento tua, pino Bruno. 

Non facciamo a gara, se non nell'essere grati di questo tempo trascorso insieme, che qualcuno ci ha donato. 

 


lunedì 12 luglio 2021

Il rifugio nella tempesta


 Ti rifugi nella tempesta, perché la conosci a fondo e vi siete guardate negli occhi, in silenziose circostanze. Il tuo cuore che rincorreva la sua furia, lo sentivi solo tu.

Perché ne ammiri la bellezza o ci sei finita per caso.

Più facilmente, perché non ci va nessuno di solito. Sei lì immobile in confronto a lei e per quanto tu possa gridare, nessuno farà finta di sentirti. Ti scorgono per un attimo, un bagliore di luce, poi scappano dalla pioggia.

domenica 11 luglio 2021

Il momento in cui lo sai: il calcio può restituirti qualcosa

 Non succede, ma se succede dovrò fare la diretta dei festeggiamenti: il che vuol dire risalire dalla periferia al centro con estrema difficoltà. Purtroppo, però, il problema non si pone nel primo tempo. Seguo preoccupata la partita degli azzurri contro l'Inghilterra, ma nella ripresa la rivedo, quella squadra che mi aveva sbalordito e dato sollievo nei pensieri. Il gol di Bonucci e più tardi all'80': vado. 


Vai dove, mi chiedono in casa? In piazza, così sono già là per i festeggiamenti. Da quel momento alla vittoria ci passano i supplementari e i rigori, ma io in auto, al buio con la partita sul pc, aggrappata alla mia certezza della mia diretta aspetto fiduciosa, come se quel libro lo avessi già letto. Sono solo indecisa se l'assassino si scopre al penultimo o ultimo capitolo.

All'ultimo, conferma la regia. E scivolo giù dalla macchina a condividere questi attimi folli e bellissimi. Riesco a infilare in fondo l'emozione e la ripesco da questo cassetto, che si chiude sempre male per cui non riesco a trattenerla.

Un groppo alla gola, perché penso a quelle volte in cui il calcio (non) assomiglia alla vita o le fa da sponda. Chi è più europeo tra noi e gli inglesi? Eh be', queste domande retoriche. E poi non per fare la gara della sofferenza, ma chi è caduto per prima nella pandemia e per un po' si è sentito maledettamente solo? 

Non c'entra con il calcio, che di solito gioca la sua partita. Eppure all'80' sono uscita perché ero convinta non proprio che avremmo vinto e basta. No, che il calcio ci avrebbe restituito qualcosa.

Così ripenso alla frase di un amico scozzese che ieri ha scritto sotto un mio post: coraggio Italia, c’è tempo per fare due gol. Dopo pochi istanti ha segnato Bonucci. Non potevo non avere fiducia nella rete della vittoria, sotto qualsiasi forma o tempo.

martedì 6 luglio 2021

Scivolando dentro un perché

 

Scivolando dentro un’alba come in un perché: io lo so che sorgi, allora lascia che resti io sul filo d’acqua a guardarti. 

Un mondo intero si dischiude solo per me e io non riesco che a incatenarmi al suo bagliore. Le onde del Garda  sono più ruggenti di quelle di un lago, come piaceva alla mia fonte di luce.

Adesso, riesco appena a sentirle mentre respiro il suono della pace. 


lunedì 5 luglio 2021

Spiegando un abbraccio

Sulla rocca, il tramonto non osa alzare la voce: ha altro di più importante da fare. Ci giriamo lentamente sulla torre e sentiamo tutto quello che ci è mancato. Il lago, le mura orgogliose e quelle fragili, i contorni delle montagne, le tracce di umanità e di creature silenziose.
Ci è mancato un abbraccio. E come lo posso spiegare un abbraccio, se non da qui, da questa rocca gentile che ti spinge a guardarti tutt'attorno, in preda alla meraviglia.
Il lago di Garda si attarda nel cammino verso la notte, forse perché vuole sentirci ridere ancora o vederci commossi al balenare della musica.
Siamo meno soli, spiegando un abbraccio.

 

domenica 4 luglio 2021

Le nuvole a filo d'acqua

Le nuvole a filo d'acqua, quasi a controllare che tutto vada bene oppure volevano solo giocare. Io resto a contemplare il canale, da sempre affascinata da tutto ciò che scorre lentamente e a volte ti fa credere che neanche si muove.
Tutto attorno si è fermata ogni cosa e anch'io procedo malvolentieri, perché ero convinta di aver trovato la mia meta.

Pia illusione di chi non sa rassegnarsi a essere sempre in cammino. Bisogna continuare, ancora, abbandonando i pensieri a tener compagnia alle nuvole, a filo d'acqua. Forse, tornerò a prenderli.