lunedì 26 settembre 2011

Del pane: ama la terra come te stesso

Di alimento in alimento: la festa del pane a Savigliano mi ha svegliato dal torpore, un po' come il profumo delle brioche che sale la mattina dal bar qui sotto. Il tocco speciale viene dalla lettura di un intervento di Enzo Bianchi, che leggerei all'infinito.

Prima di tutto, l'urgenza del comandamento che raccomanda: "Ama la terra come ami te stesso". Un invito forte a imboccare un'altra strada, in questa terra madre più che mai. E più maltrattata che mai. Jim Morrison lo cantava 40 anni fa: che cosa abbiamo fatto a questa terra? Che cosa continuiamo a fare...

Intanto sogniamo un sapore puro e primordiale: avessimo la forza di fermarci un istante a spezzare il pane, e a non ingurgitare sfrontatamente, senza riconoscerne le sfumature, "tanto è pane". No, per fortuna è pane. Prezioso, morbido e raro, perché una marea di persone non ne hanno. Gli stessi che dovremmo amare come la terra, come noi.

domenica 25 settembre 2011

I Pink Floyd e il cuoco della nave

Le canzoni da autostrada si rincorrono: grazie Andrea, grazie Maurizio, grazie Riccardo e ciascuno di coloro che stanno partecipando a questo viaggio musicale. Finito questo round, compilerò un’altra serie con le vostre canzoni e rilanceremo la sfida.

Questa mattina, impegnata nella lettura dei giornali preferiti the very next day, rimango però folgorata da un cuoco della musica, che ha viaggiato a lungo su una nave: quella dei Pink Floyd.

Oggetto, l’opera omnia ovvero “Why Pink Floyd”. C’è già da naufragare dolcemente in questo mare. Sapore ancora più spettacolare, l’intervista sulla Stampa a Nick Mason. Così pacato, quasi dimesso e poi folgorante. Il suo passaggio su Syd Barret: la chiave di ogni domanda nella vita, che deve subito ritirarsi per non affondare nella ricerca di un senso. La resistenza ad affrontare questa opera omnia, salvo poi “eccitarsi” ascoltando le vecchie - che termine maldestro – canzoni.

Infine, la splendida metafora usata da Mason: “Mi sento come il cuoco della nave, quello che comanda di meno ma sfama tutti”.

Quanti cuochi della nave, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle compagnie… Nella musica.
Chi è, secondo voi, il cuoco della nave simbolo della musica? Le mie idee ondeggiano. Nei Beatles è davvero stato George Harrison? E qual è il cuoco dei Doors, ad esempio? Nei Led?

Aspetto le idee degli amici e di chi trae alimento giorno dopo giorno dalla musica.

sabato 24 settembre 2011

Cercasi una canzone da autostrada

Brunello mi sgrida perché "Hey Jude" non è puro spirito beatlesiano, né rappresenta il top dei Fab Four. Però sai come scivola bene sull'autostrada?
Sì, è nella mia compilation delle "better highway songs", perché rende meglio sulle lunghe distanze, piuttosto che nelle concitate strade delle città. Specialmente sul finale: senti la tensione che si allenta.
La supera per me "L. A. Woman". Un po' perché Jim Morrison scorre nelle mie vene più dei Beatles. Ma c'entra il ritmo che si trasforma: prima senti il morbido pneumatico che accarezza freneticamente l'asfalto, poi rallenta, infine si impenna.
Una canzone da autostrada per definizione è "Detroit rock city" dei Kiss, ma finisce male e purtroppo non è neanche inventata: quindi meglio scartare.
Ammetto che "Raised on rock" degli Scorpions induce in tentazione, quasi quanto "Sympathy for the devil", che a me dà più gusto - chiedono perdono - in stile Guns'n'Roses che in pura salsa morrisoniana.
Ma se vogliamo cambiare marcia e ritmo con garbo, che dire della "Bohemian Rhapsody". Ahi, vorrei che questo viaggio non finisse mai, quasi quasi.

giovedì 22 settembre 2011

Tacco e smacco ai fornelli

Relax, il mare si divide nei rivoli dei programmi di cucina.

Provo a osservarti, cara Benedetta, ma cavolo, come posso immedesimarmi in te? L'abito bianco in cucina... Scusa, a me si insozzerebbe in tre istanti con quel sugo, anche soltanto per la legge di Murphy. E il tacco dodici - penso - di quelle scarpe scarlatte? Mi vedo già scivolare maestosamente per terra, con la cena intera. Che smacco: ragazzi, stasera tutti in pizzeria.

Ok, resta lì, sei troppo distante. Sarò fuori moda e non capirò nulla. Ma a questo punto girovagando con il telecomando preferisco lei. Antonella. Guarda che vestitone, guarda: si sta mettendo pure il bavaglino.

Già, siamo donne e il bello dei fornelli è anche sporcarsi. Se possiamo permettercelo.

martedì 20 settembre 2011

Le strane coppie

Va bene, oggi sarò affetta da "ipernaturalismo". Ma stavo osservando le mie due famiglie preferite del giardino, che mi stanno regalando gioie inaudite.
La sorpresa settembrina è l'ortensia. Aveva fatto la bricconcella tutt'estate, rifiutandosi di trascorrere le vacanze con noi. Chiusa nei suoi boccioletti striminziti, quando poi aveva voglia di farseli venire. Con quel caldo, siete matti, brontolava.

A settembre ecco il prodigio: è esplosa con tutta la sua naturalezza, il pervinca superato solo dalla sua morbidezza, roba da stare ad accarezzarla per ore. Sport preferito: fotografarla appaiata con i fiori rossi che riposano sotto il castagno.

L'altro matrimonio è di quelli che dovrebbero insegnare tanto agli umani. Anche l'acero è finalmente esploso, solo che originariamente sotto di lui si era insediata una rosa che pareva aver i giorni contati. Col cavolo. Lei piano piano è risalita e ha messo il crapino fuori. Ha pensato: che vita fantastica, sto con il corpo riparato e posso invece guardare il cielo in piena libertà. Un altro fiore si è affiancato alla rosa originaria. Quando il fulmine si è abbattuto sul cancello, è scoppiato il muro di cemento. A mezzo centimetro c'era il tenero fusto della rosa che non ha mosso neanche mezza spina. L'acero ha accettato questa soave compagnia, e lei l'ha ripagato mettendo certe foglioline strane... quasi rosse. Dal canto suo, l'acero ha qualche sospetta traccia di verde nella sua scarlatta chioma.

Quanto avete da insegnarci, ragazzi.

lunedì 19 settembre 2011

Cento anni da regina

Solo un lampo in un giorno glaciale per abbracciarti e ricordarti che da cento anni sei una regina. La nostra regina.
Non importa se qui sei stata poco, o semplicemente non abbastanza, ammesso che esista un "abbastanza". Non importa se ormai una parte notevole di questo secolo l'hai trascorso apparentemente lontana, con il tuo sguardo color cielo.
Che tu fossi era una regina, era chiaro già dal tuo nome (Argia, scelse tua madre, divoratrice di libri), e quando sei cresciuta, ti sei meritata anche il soprannome di Perla. Poi - più prezioso ancora - l'amore del nonno.
Cento anni fa tu nascevi e io volte cerco in me i tuoi tratti, ma sono solo una principessa degli stracci. Tuttavia ti sento dentro di me, e ti avverto sulla mia pelle chiara; ora sorridi alle mie lentiggini, regina fiera.
Buon compleanno, con il tuo re.

domenica 18 settembre 2011

Fonzie, the book and the cover

Never judge a book by its cover, mi canticchia il mio amico di lunga data (lunga sua) Steven. Sì, Steven Tyler, of course.
D'accordo, Steven, ma guarda un po' Fonzie. Dai te lo ricordi anche tu, io andavo praticamente all'asilo... tu almeno al liceo, non mascherarti dietro le mèches.
Il personaggio sembrava un duro, ma non ingannava nessuno. La sua giacca di pelle era morbida, come il suo cuore. Ok, non riusciva a dire scusa, ma almeno una o due lettere provava a pronunciarle.
That was the cover. E il libro? Meraviglioso, quello scritto in questi anni da Henry Winkler. E ora è pure baronetto! Questa sì è una cover, perché può non significare niente. Ma vedi come si impegna per il sociale, e se pesca, risparmia i pesciolini alla fine. Ah, giorni felici!
Che c'è, Steven, non abbocchi? Dai che hai un cuore d'oro pure tu, dovresti solo mettere la testa a posto.
Intanto prova a ripetere con me: sir Fonzie. Suona quasi meglio di sir Winkler.
Comunque, un libro tutto da leggere e rileggere. Adesso cantami "Full circle", Steven, perché Fonzie è un'eccezione e purtroppo dappertutto si ha la dannata tendenza a nutrirsi di copertine. Canta, per favore, così in qualche modo crediamo che un giorno tutto tornerà.

mercoledì 14 settembre 2011

Pif-finho, meno male che ci sei tu

La mia ammirazione per il Pif è dichiarata, e quando vedo una sua puntata de "Il testimone" e posso fermarmi, lo faccio senza esitazioni. Perché la sua è vera inchiesta giornalistica, con coraggio, con ironia, con leggerezza che non vuol dire fermarsi alla superficie, anzi. Ti rimane tutto sotto pelle, sospeso tra il sorriso e il disagio.
E' poi ancora più raro che avverta questo bisogno di fermarmi, quando la puntata è una superreplica. Ma quei bambini di strada in Brasile, guidati da un pallone che è una speranza, o soltanto un sogno, non vanno solo visti. Vanno rivisti, riascoltati, abbracciati. Li hai conosciuti nelle favelas, li vedi in palestra e poi nel campus della Roma. Ti aggrappi alle loro storie e vorresti sognare, come sembra volere Pif.
Pif-finho o come diavolo si scriverà, non importa. Facci sempre sognare, con quel sottile senso di disagio, finché troviamo la forza di cambiare qualcosa, a partire da noi e dalle nostre illusioni.

lunedì 12 settembre 2011

Nanni e il treno che torna

Due giorni senza televisione sono una delizia, ma va a finire che poi il vero vuoto ti appare quando ritrovi un apparecchio davanti. Per fortuna, viaggi su Raistoria in un'ora socialmente morta, e trovi Nanni Loy. Che in verità in famiglia lo sopportano in pochi, però riguardandolo - sarà il fascino del bianco e nero, suvvia - ti conquista come l'apparizione più interessante di tutta quella fascia serale. Perché dei tg ti sei stufato, il calcio è meglio dimenticarlo (fosse anche andata bene, dei commenti drammatici su una situazione ridicola non sai più che fartene) e i quiz sono così assurdo specchio dell'attualità: adesso ti devi sforzare pure di dare la risposta sbagliata. All'inizio pensavo fosse una gag copiata da "sei uno zero".
Nanni Loy appare e scompare. Prendono sullo schermo il suo posto volti di italiani, dalle Alpi a Lampedusa. E ti fanno venire in mente un treno, quello per Strasburgo, preso una decina d'anni fa. quindici, dai. C'erano tanti, tanti emigranti. Gente che per lo più andava a Mulhouse o Strasburgo. Volti affaticati, voglia di parlare, di ridere sdentati e di riabbracciare figli e nipoti. Gente divisa tra il paese e la città, tra il caloroso vuoto e il freddo correre.
Volti ansiosi di condividere. Oggi li rivedi forse sui barconi, o negli angoli della città. Ma ci sono ancora. Senza Nanny Loy.

domenica 11 settembre 2011

E io difendo Barbie Girl

Ma dai ragazzi, non si può neanche scherzare? Sobbalzo alla classifica delle peggiori canzoni degli anni Novanta, stilata dall'autorevole Rolling Stone. Come, the winner is... Barbie Girl.
No, io non ci sto, sfodero risposta canterina da rapper. Non è solo "per fatti personali", tipo che quella canzone ondeggiava al matrimonio della mia sorellina greca a Parigi, quindi è nella top ten dell'album familiare. No, il punto è un altro. Per quanto danzereccia fosse, era o mi sembrava una parodia. Che andrebbe benissimo persino nel 2011, dove tante si ostinano a fare le Barbie (per non parlare dei Ken), mentre il mondo reale si affaccia sul baratro, affezionato alle involuzioni della finanza e ormai non solo, e anzi ci ha messo anche un piedino dentro.
E noi che facciamo, buttiamo via l'ironia? No, io difendo "Barbie Girl", perché se non altro non si prende sul serio. E perché forse una risata ci seppellirà.

sabato 10 settembre 2011

Patti e l'amore sviscerato

(dedicato ad Andrew)

Il mio vecchio (not talking about age, of course, non è nel mio interesse!) compagno di scuola non ci crederà, ma nel mucchietto di bigliettini scambiati negli anni tosti, ovvero dalle medie al liceo, c'è anche un testo vergato frettolosamente da lui o mano comunque amica: è quello di "Pissing in a river" di Patti Smith. Mi è esploso come un flash nella mente oggi, mentre la strimpellavo al piano. Quella cassetta ce l'ho ancora, dear friend, con il testo rosa infilato dentro.

Ai tempi ero convinta anche che si trattasse della più straordinaria canzone d'amore mai scritta. Sarà stata un periodo sfigato, mi sussurra qualcuno al mio fianco. Comunque l'opinione si è poi ridimensionata sul messaggio in sé, più che altro perché dopo i primi sbandamenti della vita, di piangere tanto per qualcuno che ha levato le tende, non mi è più venuta voglia. Però resta un capolavoro, a partire dal suo coraggio linguistico. Alla faccia del mio presunto maschilismo ammiro Patti Smith per questa canzone. Perché quando ti chiedono "Mi suoni una canzone d'amore", tu rispondi: ok, "Pissing in a river", e ti guardano storto, anche i più alieni alla comprensione dell'inglese.

Accostare un atto di liberazione... idrica all'amore, per quanto si affacci un poetico fiume, è tutto tranne che romantico. Forse perché l'amore, quello reale, non lo è affatto, ma questa è considerazione da cioccolatino per cui me la rimangio immediatamente, con tanto di carta per punirmi.

Certo, decenni prima, concludeva con tale gesto - e sembrava epico - una poesia Arthur Rimbaud. Tra l'altro, era l'"Oraison du soir", preghiera che partiva da una visione quasi angelica e sgorgava - ça va sans dire - in un simile atto liberatorio, approvato dai grandi eliotropi. Ma Patti è una donna, quindi se permettete occorre un pelino di coraggio in più a iniziare una canzone così; persino il movimento in sé è un tantino più complesso. Tra l'altro sì, inizia ed è un pugno in faccia: pissing in a river, e subito dopo la visione "guardandolo crescere". Sorry?

Diventando adulti, o almeno provandoci, non mi sono trovata sempre d'accordo con lei, per fortuna; significherebbe che siamo rimasti quegli adolescenti aggrappati a frasi e fraseggi per navigare nel mondo, costretti a riflettere su Patti, Jim, John e via dicendo, tramite i nostri bigliettini che parevano frettolosi ma erano sempre più precisi degli appunti che in contemporanea cercavamo di prendere durante la lezione.

Tuttavia, Patti è quella visione ribelle, quell'urlo di "Rock'n'roll nigger", quello schiaffo di "We three" e persino il passaggio di devozione totale - sempre più malinconica fino e oltre l' addio - a suo marito. Patti è avere voglia, anche solo un giorno, di danzare a piedi nudi, che sia in corso un inno rock scatenato o una traccia di valzer. E di liberarsi di vani pudori: "Le mie viscere sono vuote, espellendo la tua anima".

venerdì 9 settembre 2011

11 settembre: Rossella, Rudy and I

Dell'11 settembre conservo frammenti di ricordi visivi, uniti da un atteggiamento rosselliano. Sì, quel giorno più che mai mi ispirai a Rossella O'Hara e mi tenni alla larga dalla televisione, troppo dolore. Erano già poco sopportabili gli aggiornamenti delle agenzie. Ci ho messo addirittura qualche mese a guardare un mezzo documentario, sfuggendo come una bambina e fissata a quella morale "Domani è un altro giorno". Certo, dentro di me esplodevano fiamme di emozioni e riflessioni che mi avrebbero anche condotto in un viaggio fondamentale, personale e non solo.

Oggi mi ritrovo ancora a restare lontano dalla sostanza di quella giornata, immersa in una concentrazione di preghiera, e contemplare un piccolo grande episodio da allora celebrato sulla parete di casa. Un vetro semplice, sul cui sfondo c'è la foto di un pompiere che alza la bandiera americana. Lì ho adagiato un messaggio che, appena ricevuto, ho guardato, rigirato, riesplorato con gli occhi incredula, nel novembre del 2001. Avevo mandato, in quei devastanti giorni, un messaggio di cordoglio e di affetto in Comune a New York: mail o fax, non ricordo. Sono una grafomane e tanti hanno compiuto questo gesto, non fa notizia.

Fa notizia invece - tanto più in un Paese come il nostro - che il 27 novembre mi arrivi una lettera a casa. Apro e leggo questo messaggio: Cara Miss Lualdi, grazie per la sua recente lettera. Il suo sostegno è particolarmente significativo per noi in questi tempi difficili, e le sono grato per le sue parole gentili. Spero che presto lei possa visitarci a New York City. I miei migliori auguri". Già era tutto bizzarro, vederci sotto la firma di Rudolph Giuliani, even more.javascript:void(0)

Con tutti i guai che hanno - mi sono chiesta - si sono messi a rispondere a tutti i messaggi? Ero stravolta e ho pensato a tutte le volte in cui scriviamo al settore pubblico per problemi e pratiche che ci affliggono. Scriviamo, in Italia, per ottenere spesso 1) risposte tardive 2) risposte imprecise 3) risposte zero.

E mi sono detta, o my God, Rudy, ma in quel Paese, contraddittorio, folle, dai mille volti gradevoli e sgradevoli, fate sul serio.
Naturalmente, pochi mesi dopo mi sono messa in viaggio verso Nyc. Non vorrete mica scherzare, con Rudy. Obbedisco.

martedì 6 settembre 2011

Hard days without my Talisker

Già, giorni orribili: la bottiglia di Talisker è ancora confezionata, eppure mi avrebbe aiutato - quel dito minuscolo e incommensurabile di whisky - a ragionare per distrarmi. Solo a guardarla mi viene in mente un episodio che si innesta sulla riflessione fatta recentemente dal mio compagno di incursioni musicali. Ma sì, è un tarlo che ho in testa da qualche giorno, ne ho già parlato. Sono musicalmente maschilista? A parte Patti Smith, non ho un mito musicale femminile. E Patti, diciamocelo, è un uomo, e così le faccio un complimento, quindi mi sento in colpa.
Ha ragione il mio amico. Il Talisker, che in questi giorni non posso bere, occhieggia e lo detesto per un attimo, perché mi va venire in mente un episodio di cui andavo pure fiera.
Edimburgo, piovoso - figurati - luglio. Torniamo in albergo, due miei amici e io ci fermiamo al bar. Uno si prepara a ordinare acqua, l'altro cherry dolce. Ma sono cavalieri e lasciano la parola a me. Io prendo un dito di Talisker, per sognare meglio. Il barista mi chiede: with ice? E io rispondo di no, con reale espressione scandalizzata, perché il ghiaccio non mi piace nel mio caro whisky. Il barista mi guarda con ammirazione e dice agli altri avventori: She's a real man. La tragedia è che a quel punto uno degli amici si sobbarca l'acqua con aria umiliata, e l'altro chiede lo sherry. Ma cogliendo l'espressione disgustata del barista, precisa: secco, please.
Non provo più orgoglio, adesso. Penso: sarò mica maschilista davvero, e non solo musicalmente? Proprio io, che mi incavolo come una biscia, quando mi trattano da femminuccia.
Ah, questa riflessione ha bisogno di un Talisker. Vero, non solo da guardare.

lunedì 5 settembre 2011

I wanna be a ZZ Top

Ringo mi spalanca la porta ancora una volta sulla - vecchia - America e mi sento spinta da un impulso irresistibile: I wanna be a ZZ Top.
Il mio compagno di incursioni musicali mi ha lanciato un monito, che ora soppeso. Guarda che sei - musicalmente - maschilista. Magari non solo con le chitarre in mano - concedo - in questo periodo molte donne mi annoiano, perdono.
Però pensa che vita fantastica, se sei un tipo ZZ Top. Hai questa barba che ti copre tutta la noia che puoi provare per il mondo, questi occhialoni che sfidano i segni di notti sfatte o di fastidiosi pensieri (magari anche da sballo, che ne sai) e soprattutto non te ne frega un beato tubo delle vanità attorno. Ma è vero che l'unico senza barba si chiama Beard? Meraviglioso. Ma è vero che hanno rifiutato di radersela, quella barba, di fronte a un'offerta milionaria di una casa produttrice di rasoi? Mi inchino. That's coerenza.
Morale, sono costretta ad ascoltare le loro canzoni, perché da guardare non c'è niente (mica puoi contare tutti i peli della barba, corri pure il rischio di addormentarti), e mi sento una donna di frontiera. Sì, via dalla fiera delle vanità.
Se la vita è una barba, meglio dichiararlo subito. Oppure anche solo fare finta.
It's a life style, baby. Vivi al confine e non inchinarti davanti a nessuno. E se sei una donna e quella barba te la sogni, inventati qualcosa.

domenica 4 settembre 2011

La maledizione di Jersey Shore

Già solo per il fatto che ne sto scrivendo, picchio la testa contro il muro. Oh my God, ci sono ricascata. Per ben due volte in pochi giorno ho sbirciato quell'ammasso di muscoli lampadati, lacca e gel a gogo, indigestioni di cibo e musica che si chiama Jersey Shore. Di più, una volta ho portato inconsapevolmente mamma davanti al video e ho sentito che rideva.
Per disgusto, si intende. Molti di noi si disgustono e poi guardano, anche solo per scuotere il capo. Per salvare la faccia, si pongono profondi interrogativi. Che poi aleggiano nell'aria a lungo.
First of all, le unghie rifatte. Sono nate prima loro o "mi spiace, le pulizie non posso farle?". Nella casa del grande tamarro ce le hanno quasi tutte le girl; poi i maschi si lamentano che le ragazze non puliscano (e non è che ci sia la corsa ai fornelli). Per forza! Già è un casino compiere un sacco di altre operazioni, vuoi che si mettano a lavare? Io adoro lo smalto, ma dovendo ahimé lavare i piatti e fare i mestieri - myself, and I'm proud of it - lo uso raramente. Che fare con quelle unghie finte e intoccabili? Ragazzi, cercate di capirle...
E poi anche voi maschietti, porca miseria. Possibile che contino solo palestra e lampade. Poi mi guardo in giro, nel Northern Italy Shore e vedo che anche mister Radical Chic ha bisogno di una bella abbronzatura artificiale, altrimenti è a disagio.
Per fortuna, ci sono Sam e Ron che si lasciano e si rimettono insieme più veloce della luce. Questa sì che è notizia.
Ragazzi, vi volete decidere una volta per tutte, così cambiamo copione?
Oh my God, sto parlando ai protagonisti di Jersey Shore. Era meglio discutere con il mio amico immaginario.