sabato 19 settembre 2015

Risalendo il voto e il Loch Lomond - Indyref

LA STRADA PIU’ BREVE SUL LAGO (19 settembre 2014 - pomeriggio)
And I’ll be in Scotland ‘afore ye
Bonnie Banks of Loch Lomond
(Loch Lomond means friendship and beauty to me. From an old song to modern travelling through roads works in one of the most wonderful place in the world)

La mia tappa a Balloch è di amicizia. L’ho scoperto per caso, nel 2001, questo villaggio, e per caso una splendida coppia diede una mano a un bed and breakfast per non lasciare senza tetto a una sperduta italiana. Da allora, il filo delle nostre famiglie è sempre rimasto saldo: siamo cresciuti, invecchiati insieme, abbiamo condiviso gioie e momenti dolorosi con un contatto, una foto, una messa e quando si poteva un abbraccio.
Chiamano questo villaggio l’ingresso del Loch Lomond e da qui devo risalire l’intero specchio d’acqua verso le Highlands. Consulto i dati: qui il sì ha vinto, siamo nel West Dumbartonshire, con il 53,96%, che è seconda sul podio dell’autonomia, stretta tra Dundee e Glasgow. Risultato capovolto nell’East, dove il no si è arrampicato fino al 61,20%.
E qui, per ironia della sorte, incontro i primi, dichiarati no voters: soddisfatti del risultato, perché non sposavano le idee, le persone del Partito nazionalista. Sì, mi fanno soprattutto nomi, mi indicano volti. Salmond? No, non si fidano. Darling è una brava persona. Mi ricordano che in fondo questo sono e siamo: non sigle, non ruoli, ma uomini e donne che possono fare la differenza.
E’ giusto restare nel Regno Unito e qui il senso di vergogna è capovolto: dispiace che nella loro area sia stato vincitore il sì, per fortuna in modo ininfluente, proprio non lo possono capire.
LA CAPITALE DEI DISOCCUPATI
La città più vicina è Glasgow: lì sono atterrata in passato, quando la mia prima meta era il Loch Lomond. Ma l’ho esplorata poco, perché ammetto un senso di disagio la prima volta che ci arrivai. E dire che è una città splendida, ricca di cultura non meno che di tradizione industriale.
Solo che, ormai diciotto anni fa, quando vi giunsi, mi trovai sperduta. Dopo giorni nella natura incontrastata, non ci trovavamo più e io vagavo senza troppa consapevolezza. Soprattutto, riportai una drammatica impressione: incontrai tanti mendicanti, tanti giovani senza lavoro, nel centro. Forse è la città che più mi ha lasciato questa lacerazione, anche se le metropoli offrono spesso uno spettacolo simile.
Eppure qui era diverso.46.51%
E’ diverso. Torno a due anni fa, quando ci fu un triste sorpasso. A Glasgow arriva un amaro titolo di capitale britannica: quello della disoccupazione. Nell’articolo del Guardian che documenta questo record negativo, c’è una foto che ha le sembianze di una beffa: palazzoni che si ergono verso un cielo, dove arriva uno sbuffo di ciminiera.  Lo studio del 2012 era firmato dall’Office for National statistics e decretava il superamento di Liverpool da parte di Glasgow: una famiglia su tre non ha alcun componente nel mondo del lavoro. E’ questo il taglio particolare che si lega al tema: non disoccupazione generale, ma concentrata sui nuclei familiari. Case intere, dove nessuno riesce a procurarsi un impiego.
Pesante anche l’analisi delle cause effettuata dagli esperti: la mancanza di lavoro, ma anche le condizioni sanitarie (ricordate la preoccupazione di Fiona?) e gli elevati livelli di “lone parenting”, quindi sempre più genitori soli ad allevare i figli.
Interessante un’altra considerazione dell’articolo, duplice per così dire. Ci sono i ministri del Regno Unito che affermano come la situazione sia migliorata, nonostante tutto. Ma il Partito conservatore invita ad andare nel più prosperoso Nord Est.
Confronto in cifre: ad Aberdeen famiglie a terra senza lavoro sono soltanto il 12%, contro il 30,2% di Glasgow.
Nella città più popolosa della Scozia si spendono decine di milioni di sterline per iniziative a favore del lavoro, come si indica nell’articolo.
La classifica cupa scatenò anche le reazioni del Comune, che affermava come dopo l’onda lunga della deindustrializzazione gli investimenti fossero sulla via del ritorno. L’effetto nelle vite delle persone? A quanto pare, non pervenuto.
It’s just the economy: così parla nell’inchiesta una vedova, da vent’anni senza lavoro e con problemi di salute, con i due figli che hanno perso negli ultimi due anni le loro occupazioni, molto diverse, vale a dire chef d’hotel e uomo delle pulizie da un macellaio.
Diventi disoccupato, poi ti abitui e ti trovi in un circolo vizioso. La sentenza di questa signora, che la vive nella sua pelle, mi resta impressa come immagine da scrollare via da Glasgow, città che ha mostrato tanti segni di vitalità in un’epoca nuova e insofferente al suo passato.
La città di Glasgow dove hanno votato in 486.219: il 53,49% per il sì.
Tutta colpa della disoccupazione? Guardando il tasso vero e proprio (7,7% quello della Scozia), l’area più colpita con un 13,5%, North Ayrshire, ha optato per il no, seppur di misura. La seconda e la terza nella disgrazia – East Ayrshire e Dundee – hanno scelto sì. Parliamo di pochi punti di distanza per il referendum e la stessa, malasorte sul fronte del lavoro.
BORN IN THE USA
Balloch aiuta a riporre le ombre, anche in un giorno dove il sole si fa ancora desiderare. Mucche e fiori sembrano ugualmente dipinti, nel gettare uno sguardo distaccato ai forestieri di passaggio.

Uno scenario di meraviglia quello che attende al Loch Lomond, il lago più ampio, eppure non il più famoso nell’immaginario collettivo dei turisti, più attaccati al Loch Ness e alla sua improbabile creatura. Un mondo di colori e suoni, che si sprigiona senza lasciarsi condizionare dal meteo.
Mi ricordo il primo impatto qui: dalla stazione mi spostai verso l’acqua, incorniciata dal verde e vidi un uomo impegnatissimo. Aveva le borse cariche di pane, borse gialle della spesa, di plastica e senza alcuna poesia. Ma da lì tirava fuori bocconi per cigni e anatroccoli, che accorrevano in quantità. Non si stancava mai, il loro benefattore, ed era concentratissimo, come se quello fosse lo scopo della sua vita.
Anch’io mi trovai a condividere quella concentrazione e a non riuscire a staccare lo sguardo. Quando dovetti lasciare quel luogo, mi sentivo come se mi potessero portare via una favola. Il giorno dopo, quell’angolo fatato era vuoto e i cigni disincantati.
Bisogna ripartire. Luss, paese dei sogni e resa famosa dalla serie televisiva High Road: Take the High Road, il nome originario, che ci riporta alla melodia del Loch Lomond. Anche se la fiction – che si svolse a partire dagli anni Ottanta – assegna un nome immaginario alla sua sede. Tarbet. I nomi si rincorrono e il lago sta per congedarsi. Le strade si stringono e poi si allentano, ma i lavori in corso per cercare di ampliarle ci obbligano in coda con i nostri pensieri.

Risalendo rapidamente, si arriva a Inveruglas e le nuvole si scostano come per provarlo. Un bar alle quattro sta già chiudendo i battenti e non è una metafora, perché ci ospita per l’ultimo caffè, ma intanto le persiane vengono rigorosamente serrate, come a mandarci il messaggio forte e chiaro che non attenderanno a lungo. Devo inviare un articolo prima di perdere l’ultimo filo di connessione, perché tutto qui sembra così fragile, anche la linea. Solo quando ho finito, riprendo a parlare ad ammirare la natura e a parlare con la gente, aggrappata al contenitore caldo del caffè.
Gli ultimi colori dell’estate stanno svanendo e c’è un pullman carico di visitatori incantati, qui, e li avvicino. Sono nordamericani e mi sto allontanando, ma poi penso che il loro punto di vista resta interessante. Una coppia canadese finge di dividersi sull’argomento referendum, ma in realtà sono o non sono nel Commonwealth?  Una perfetta discussione tra moglie e marito, messa in scena appositamente per deliziarmi, lo intuisco.
Sto indagando con tre cittadini Usa, che mi chiedono di dove sia io. Italiana, rispondo. Uno di loro ha gli occhi che si illuminano prontamente, perché è un immigrato, dalla Toscana. Avrà una sessantina d’anni, Damiano, e prova a esprimersi nel suo linguaggio d’origine, ma non mi segue più quando gli rispondo. Annaspa, guarda le onde finali del lago con un sospiro. E’ simpatico, nel suo rammarico, e torniamo a confrontarci in inglese. Che cosa avrebbe votato un italiano, emigrato negli Usa, a questo referendum? Sì – scandisce lui – perché noi lo abbiamo fatto secoli fa, ci siamo liberati degli inglesi e stiamo bene.
Si ride attorno a lui, ma mi affascina ascoltare quest’uomo, che è originario di una nazione, vive in un’altra eppure, anche solo con impeto di cuore, sostiene il sogno di un aspirante Paese ancora.
Altro che voto “vecchio”, reale o virtuale. A proposito, afferro i risultati della Bbc per un aspetto che mi preme moltissimo, al di là delle differenze geografiche.
Come sapete, mi affascina che sia stato permesso ai ragazzi di sedici anni di votare. Ci vuole coraggio e suona già come una vittoria, in qualsiasi modo la si pensi. Hanno espresso il proprio parere 109.533 giovanissimi tra i sedici e i diciassette anni, alla loro prima volta. Secondo un sondaggio, il 71% di loro ha detto sì all’indipendenza;  ampliando la fascia ai 24 anni, resta il predominio, ma solo al 51%. Ribaltando gli equilibri, sempre secondo un’inchiesta a campione prima del voto gli over 65 erano destinati al no per il 73%.
Guarda caso, la città con più giovanissimi si chiama Glasgow.
Devo lasciare il Loch Lomond, perché le Highlands chiamano sotto un cielo sempre meno grigio. Se devo scegliere una versione della ballata stasera, opto per gli Ac/Dc. Mi piace ricordare che Bon Scott è nativo di Kirriemuir, il paese di Peter Pan: qui infatti è nato l’autore di questa storia immortale, James M. Barrie. 
Anche per questo è piacevole canticchiare una melodia a me nota fin dai tempi della scuola.
LA CANZONE – Bonnie banks o’ Loch Lomond – cover Ac/Dc
La mia generazione del flauto ha scoperto la dolcezza della sua musica e non si stupisce quando sbarca sul Loch Lomond. Se è una giornata di sole, anche timido, può illudersi che “the bonnie banks” sia un canto di innamorati, che celebra la vita. In un certo senso lo è, ma sono i giorni in cui il Ben Lomond nasconde la testa tra le nuvole che ricordano meglio la natura di questa canzone. Qualcun altro ha pensato a scuotere questa atmosfera: il gruppo di hard rock Ac/Dc, ad esempio, australiano per definizione, scozzese in gran parte di origine (i due fratelli Young nacquero a Glasgow), ha eseguito vigorose cover di queste note, che risuonano anche come  un omaggio a Scott dopo la sua morte, secondo alcuni.
Perché una delle band più dure del mondo si inchina a una ballata simile? Il rock estremo spesso ha trovato isole felici in lenti diventati indimenticabili. Qui sicuramente pesano le radici scozzesi, ma non solo.
La strada lunga e quella corta sono accostate nella canzone: nel film che proiettava il centro dedicato al lago, rivivo l’interpretazione legata all’insurrezione giacobita. Si parlano due amici, uno dei quali sarà messo a morte, eppure tornerà per primo lui a Loch Lomond e alle sue sponde meravigliose. Solo che per l’incantesimo crudele della vita non potrà più riabbracciare il suo amore.
Tu prenderai la strada alta, io quella sottostante e sarò in Scozia prima di te.
La strada minore, secondaria, quella che percorrerà il protagonista della canzone: quella spirituale, afferma un’interpretazione. E’ come se l’anima avesse bisogno di meno miglia per arrivare alla meta, così precederà il corpo e la mente stanchi dell’amico, pur libero dalla minaccia della morte. 
Ma Loch Lomond, che sia offerta dolcemente alle vostre orecchie o arrivi con la graffiata di una chitarra, lascerà sempre un dubbio: a chi spetta il pianto, a chi la gioia dei colori; a chi la seconda primavera, a chi le acque tranquille sotto la carezza della luce. Perché le due strade che si sono prese separatamente, conducono sempre allo stesso cuore, in tempi diversi.






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