venerdì 18 febbraio 2011

Benigni e le corde. Contro me stessa

Patriottismo poco. Zero lo giudicherebbero la maggior parte degli italiani, perché da ragazzina non impazzivo nemmeno per la nazionale di calcio (da romanista la vedevo troppo okkupata dalle squadre nordiche, I beg your pardon), il che è considerata da molti l'unica vera onta. Qualche seme di agitazione affiorava quando coglievo le derisioni all'Italia, magari pensando allo zio Pietro che è sepolto a Redipuglia. Frammenti. Eccezione: (ma da seria ammiratrice dei costumi americana): stavo seriamente pensando di esporre il tricolore per l'intero mese di marzo.
Ieri sera mi sono accostata a Benigni senza aspettative travolgenti. Mi piace spesso, non cado nell'adorazione. Invece, che corde ha toccato, dentro di me. Controcorrente, contro me stessa, perché avvertivo brividi bizzarri. Avvertivo, soprattutto, la mia profonda ignoranza, poiché ogni verso dell'inno assumeva una vita propria e ne faceva nascere tante altre; volti, emozioni, sacrifici. Sì, mi sono sentita così ignorante - nell'aver a lungo ignorato perni della storia verso la nostra Storia - che volevo sprofondare. Ma non potevo. C'era poesia. C'era una nuova vita. E c'era una profonda umanità, che ti fa ripetere, a lungo fino alla notte, la mattina dopo: se la felicità si scorda di voi, voi non scordatevi della felicità.
Un dovere patriottico? No, un dovere di uomo e donna.

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