Avevo poche ore di vita, quando sei venuto a trovarmi. Non so dove tu abbia trovato il tempo, ma gli uomini che vivono per gli altri - come scolpisce questa lapide - probabilmente lo rintracciano sempre, in pieghe di respiri, lacrime e sorrisi.
Ero un esserino urlante, ci ho messo un pochino ad aprire gli occhi e non so e i nostri sguardi si siano potuti incontrare. C'era mio padre, quando sei arrivato tu, don Angelo: lo so di certo, perché lui mi riportò on orgoglio la tua esclamazione.
Sei venuto a condividere la gioia di un amico e ad accogliere una creatura minuscola. L'hai guardata, poi hai detto a mio padre: questa sarà una belva, come te.
Ci abbiamo sempre riso su, anche perché i nostri caratteri all'inizio sembravano così differenti. Ancora oggi, la sua forza è irraggiungibile persino al mio sguardo, eppure a volte vengo accostata a lui, immeritatamente. Quando compio un gesto di cui io non mi sento capace, anche se gli altri lo danno per scontato, io stessa mi sorprendo a pensare così.
Oggi ti guardavo negli occhi, all'inizio del porticato, e mi è parso di captare la tua voce, di sentirtelo dire ancora una volta. Dopo un "solenne forza Pro Patria" - adesso che sai che la penso come te - io mi sono sentita la tua piccola belva. Quella che non sa e non vuole sbranare nessuno, ma che parte per il mondo fingendo di crederlo una pianura fiorita e soffocando le lacrime e i pensieri perché vede la giungla.
Una piccola belva, che strilla di paura e c'è chi scambia quell'urlo per ardire.