lunedì 11 luglio 2022

La fine in testa, l'inizio negli occhi

 

Sarò una cittadina, come mi profetizzavano, ma quando mi addentro nella campagna per un servizio, mi devo fermare. Nella strada, strettissima, passa un'auto ogni dieci minuti: ho tutto il tempo di respirare ciò che vedo e ogni particolare mi incatena gli occhi, per poi liberarli in un battito d'ali di airone.

È l'11 luglio, sei mesi fa esatti avevo la fine in testa, anzi sulla testa. Un incidente devastante e pochi istanti dopo capivo ciò che è sotto i nostri occhi ogni giorno: la mia consapevolezza, e con essa la mia vita, poteva finire in ogni istante. Mi rammento il mio ostinarmi a tenere sotto controllo le ultime incombenze: per la mia famiglia e il mio lavoro. Non sapevo quanto sarei rimasta lucida, con la testa aperta, sapevo che potevo avere pochissimo tempo prima di affidarmi - forse arrendermi - totalmente agli altri.

Quando arrivai all'ospedale, proseguii con questa compulsiva azione. Si esaurì solo quando venne il momento del tampone; allora, mi resi conto che avevo finito di distribuire istruzioni a tutti in vista di una possibile mia assenza, anche lunga o definitiva, e potevo prendermi cura della mia presenza.
L'infermiera mi chiedeva di pulirmi il sangue dalla testa e io le risposi stancamente che vi rinunciavo.
Avevo finito. E se fossi rimasta qui, sulla Terra, avrei provato a iniziare.

Una volta tenutemi strette coscienza e vita, da brava umanoide smarrii gli insegnamenti di quelle ore. Ogni tanto, mi percuotevano lampi, ma mai come oggi.

C'era il deserto nella campagna, e io dovevo fermarmi. Ad ascoltare i grilli, a guardare la parte bruciata dal sole e quella incredibilmente verde. Ho voluto tantissimo abitare vicino al piccolo canale, anche se sapevo che si sarebbe inondato alla prima pioggia, al primo grido di vita delle risaie.

La fine in testa, sei mesi fa; l'inizio negli occhi, oggi. E chissà quante volte, ancora.

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