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sabato 12 agosto 2017

Dimmi come potrei abituarmi

La tempesta ti ha appena spogliato delle tue esitazioni. Ancora si specchia dentro di te, ma ti sei liberato abbastanza da richiamare scampoli di cielo azzurro.

Sullo sfondo, potrei scorgere ogni volto e finestra.

Invece, vedo solo te, lago.

Dimmi come potrei abituarmi a te. Tanto, non ci crederei lo stesso.

martedì 9 dicembre 2014

Il castello perso nel lago

Sono persuasa che il mio lago non sia mai uguale e sfoggi con discrezione la capacità di sorprendermi. Stupirmi, sempre, come ha fatto in queste ore.

In preda alla nebbia, non l'ha mandata via subito, anzi se n'è rivestito. E la rocca per prima ha spezzato il sortilegio, esibendo una bambagia da cui prendere il volo. Lei solo emersa tra il grigio che si rinfrescava nell'acqua, e anche un po' sperduta, finché ha preso coraggio e tutto ha liberato.

Mentre la natura attorno cedeva all'inverno, il lago è tornato a mostrarsi, grato alla sua sentinella secolare.




martedì 11 novembre 2014

Il mio lago confuso

La panchina che sembra galleggiare, ma voglio ancora pensare che sia per un sogno andato a male. Come quando perdi di vista il confine tra il giorno e la notte. E le montagne che tremano, come se non avessero creduto fino in fondo all'autunno. La mia collina confusa come il lago, il ruscello che saltella come un folletto e non vuole fare del male.

Il mio lago di piccina  e per sempre, che non tradirò mai, neanche per un loch. Morbido quando sta rinchiuso nelle sue frontiere, da amare persino adesso.

Il mio lago confuso da una pioggia che diventa un'ossessione. Ma che non smette mai di sognare, anche quando è un sogno andato a male.

venerdì 15 agosto 2014

Ce l'ho fatta o no

Deviazione di nascosto, dal mio San Carlone. Di anno in anno ho rimandato la salita, per motivi vari.

Quello di fondo, soffro di vertigini. Tanto. È vero, che ho combinato le mie follie. Anni fa un parroco di una valle mi convinse che dovevo assolutamente salire su un campanile per ammirare lo spettacolo: piccolo particolare, c'erano le scale esterne, per i lavori in corso. Non mi ricordo un passo.

Come ho rimosso altre pazzie. Altri tentativi di forzare il limite. Peripezie come salire su una scalinatella lunga lunga, ripida quanto basta per non saper scendere. E tornare poi scendendo gradino per gradino, con la mano a riparare gli occhi dalla tentazione di guardare più lontano e affondare.

Solo in casi estremi come l'Empire State Building non soffrivo: primo, perché arrivavo dall'ascensore, quindi meno consapevole; secondo, perché era troppo alto per essere vero.

Il San Carlone è più proibitivo. Prima, le scalette esterne che ti ricordano a ogni istante dove sei e cosa stai facendo. Quindi, dopo la pausa deliziosa e panoramica, entri nella statua.

A metà strada incontro il gentile custode e per giustificare che sto parlando vistosamente da sola (per incoraggiarmi) spiego: devo superare il mio limite, devo vincere la sfida.

Lui sorride: signora, ma proprio quando ci sono io? E mi mette in guardia su come e quanto sfidarsi.

Mi guardo attorno: il lago morbidissimo come l'erba sotto di me, e sopra la mano di questo santo che tanto è legato al mio territorio. C'è un raggio di sole che ci gioca, mentre sento il ronzio del tagliaerba, perché tutto qui è impeccabile.

Io ho già vinto, perché sono qui da te.

Entrerò nella statua e salirò sulle scale a chiocciola. Fino all'ultimo tratto, in arrampicata: guardo e so non ce la posso fare, ho pure l'aggravante esteriore dei sandali e della borsa.

Esco, felice, perché sono in uno dei posti più belli del mondo.

Al telefono mi dicono: ma dove sei finita. Lo spiego, mentre salgo in auto.

- ma sei matta, con le tue vertigini? E ce l'hai fatta?

Forse no, ma credo di sì.