Sulla mia panchina sotto il cielo si è disteso l’ultimo giorno d’estate. Tutte le creature si alleavano per strapparlo al sonno. Le capre si avventavano con famelica prudenza sulle foglie, per sottrarle all’aggressione artistica dell’autunno. Il falco accantonava il nobile lamento, calando piano piano per sbirciare la scena, mentre come seguendo una legge di bizzarri equilibri, nubi di moscerini salivano a lambire il cielo. Che rimaneva distante e confuso, rovesciato sull’immensa pancia azzurra, dove si scorgevano macchie di luce biancastre e candide tracce di pneumatici: vuoi vedere che invisibili veicoli l’avevano solcato.
I ricci cadevano di malavoglia, e non regalavano frutti, non ancora, ma pungevano i piedi appena ricoperti dai sandali, come per ricordare di riporli ormai. Gli altri restavano aggrappati ai rami lassù. Lassù. Sopra la panchina ecco il cielo spalancare le ali e sprigionare un abbraccio languido, come l’ultimo giorno d’estate.
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