Nessun rimpianto, né scuse. Con una foto birbante, Paul Stanley mi riporta negli anni Ottanta.
Solo divertimento. No, non era solo divertimento. C'era una fifa boia, io me la ricordo, io la respiro ancora. Ci sparavano negli occhi The Day After e i tg non erano più teneri.
Sono iniziati con l'uccisione di John Lennon. L'81, che disastro, anche di più. La morte - l'uccisione, lo dico - di Bobby Sands. Pochi giorni dopo, l'attentato al Papa. E Vermicino? Chi dimentica Vermicino, quell'angoscia cosmica, quell'essere là tutti impotenti da Alfredino?
Mi fermo qui, per non riesplorare poi tutta la confusione adolescenziale.
Eppure ha ragione Paul Stanley. Eppure c'era quell'energia, pazzesca e da cortocircuito. Per chi aveva la musica, forse un talismano in più era assicurato. C'era la voglia di scappare al concerto rock e di mettersi contro la famiglia.
C'era il dovere, cosmico e solenne, di incazzarsi contro la famiglia, per partire da qualcosa, per sentirsi più grande. C'era l'idea che il mondo era nostro e adesso erano solo squisiti assaggi.
Abbiamo sbagliato, ciascuno come poteva. Ma non mi va di chiedere scusa, perché ho fatto tutto ciò che dovevo. Non sento inclinazione a coltivare rimpianti.
In quegli anni, ho dato tutto. E non ne toccherei neanche un istante, se non per dare un ultimo abbraccio a qualcuno che se lo meritava.
Gli anni Ottanta, senza scuse né rimpianti.
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