Mi è capitato di scoprire in tempi abbastanza ravvicinati i padiglioni di Marocco ed Ecuador a Expo. Li unisco, in questo cassetto, perché mi hanno innescato una sensazione simile.
Stupenda, per cui non riesco nemmeno a esternare degnamente la mia gratitudine: quella di essere avvolta dalla vita. Oh sì, la tecnologia si presenta puntuale, per trasmettere due Paesi così diversi. Ma lo fa investendo i sensi, a partire dal bistrattato olfatto. Plasmato, quest'ultimo, per sentire troppo o nulla, peggio, tutto uguale, qui si riprende il proprio spazio.
L'Ecuador, l'ho rapidamente visitato, dopo aver ascoltato il racconto di quella signora che una bimba di quel Paese aveva adottato. E forse per questo ne ho tratto dolci conferme a uno stupore crescente. Non ne sapevo niente, ma avevo un alibi.
Per il Marocco, non ne possiedo alcuno. E' un mio vicino. Conosco moltissime persone che provengono da questo Paese.
Visitando il padiglione, ho capito solo una cosa: non ne so niente. Non l'ho mai guardato, odorato, ascoltato, attraversato, neanche con il cuore.
Del mio vicino, non solo non sapevo un tubo, ma nemmeno mi interessava apprendere qualcosa.
Adesso, i miei sensi lo stanno ancora raccontando all'anima.
Non so se Expo servirà qualcosa ai grandi problemi del mondo.
Mi consolo con il fatto che sta qua e là denudando la coscienza di una piccola donna.
Bello e buono, come sintomo e come augurio.
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