Vicino a casa, ci scivola via l'inverno. Diventa come una carezza di una mano rugosa, che all'inizio punge; poi ammorbidisce il cuore.
Le strade tutt'attorno lo racchiudono e poi lo sprigionano ingentilito, mentre noi camminiamo senza più avvertire l'esigenza di chiuderci nelle nostre debolezze. Domiamo il passo, sorridendo sia al sole titubante sia alle nuvole stiracchiate. Intanto, il campanile e gli alberi scrutano questo cielo pensieroso e forse anche noi che passeggiamo.
È piacevole l'inverno, quando sappiamo che tra pochi passi avvertiremo il tepore domestico. È gentile, quando ti avvicini a casa. Eppure quando siamo immersi nel calore domestico, una fitta mi percuote.
Piomba addosso l'inverno a tutti coloro che non hanno un tetto, che dalla loro casa sono stati strappati con il terrore e a nulla è valso stringersi l'uno all'altro. A chi l'ha tolta la povertà, o l'indifferenza: spesso, tutte e due. A chi non l'ha mai avuta, davvero.
Sono giunta a casa e una parte di me sente un gelo che non si può placare.
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