Pallide gocce attraversano l'aria e rallentano appena due bambine allo scivolo. Riesce, invece, a distoglierle la voce di un'altra ragazzina che arriva da un palazzo.
Una delle due amiche scivola via e corre fin là sotto. Si e le chiede se non venga a giocare e la malinconia nella voce della bimba al balcone anticipa la conclusione della risposta: non si può, piove.
Ma l'altra ragazzina non ci sta. Alza le mani come ad accoglierla, quella pioggia, e assicura: «Dopo, smette».
È già un po' vero, sarà vero. La pelle umida non sta a contestare, ma mi fa correre indietro a quelle estati di gioco interrotto dalle tempeste. Come detestavo la pioggia, eppure adesso quando ne sento il rumore, il mio pensiero si precipita in quei cassetti di memorie, vi fruga dentro e ne respira il profumo.
La pioggia, come nient'altro nella vita, posso fermare o domare. Scorre senza chiederti il permesso, ti bacia o ti tradisce, ti benedice o ti travolge. Ma intanto grazie alla saggia bambina, mi stringo nelle spalle e forse in un abbraccio con altre creature sotto gocce più insistenti, con la convinzione: dopo, smette.
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