Caro Angioletto, ho ficcato tanti di quei pensieri e di quelle incombenze in queste 24 ore, per fuggire dal Pensiero, ma la barriera si sgretola ogni volta che infantilmente cerco di innalzarla. Capire che fisicamente non sei più qui, non è solo doloroso: è impossibile. Forse anche perché non è la fisicità che ha delineato questa strada meravigliosa su cui tanti si sono messi in cammino con te. Ancora poche settimane fa, parlavamo e tu certo eri debilitato, ma la fatica sembrava dissolversi piano piano quando toccavi gli argomenti più cari. E c'era una parola che ti illuminava più di altre: era "giovani".
Angioletto, d'accordo, non scappo più. Mi fermo davanti all'evidenza dei ricordi e delle frasi da tenere dentro di me, semi che devono germogliare. Ci sono i fili personali: tu eri il custode anche della classe '23, la classe di ferro, che ha saputo affrontare ogni circostanza, fino a quelle più drammatiche. Mi ricordo quando scherzavi con papà sul '23, e dicevi che tenevi nota tu di quanti ci lasciavano, chiamati ad altri compiti. Papà se n'è andato, e quanti altri bustocchi consapevoli dei propri doveri nei confronti della città e dell'umanità, come - e cito il più recente - Bruno Tosi.
Adesso ti sei sollevato, con le ali che si irrobustiscono quando il resto del corpo perde forza e consistenza - anche tu, il loro custode, e il custode di una fede incrollabile nell'umanità. Anche quando - come si dice - le prove depongono contro, in modo schiacciante. E tu di prove ne hai avute e vissute una miriade, hai appreso nel profondo dell'anima e del corpo quanto questa umanità sappia essere mostruosa. La tua speranza è la nostra speranza, e oggi vedendo ciò che accade in città, con persone di ogni età che rinnovano la veglia al tempio civico per non lasciarti solo, con giovani che solennemente promettono che non lasceranno inaridire i semi da te gettati, non possiamo che darti ancora una volta ragione.
Se ripenso alle tante nostre conversazioni sulla vita della città, al tuo incoraggiamento quando abbiamo fondato Italia-Israele, alla tua commozione vedendo i ragazzi ebrei, musulmani e cristiani che si univano sul palco nella fiducia, radicata come la tua, a quelle volte in cui entrando in consiglio comunale... il tuo sguardo attento mi accoglieva ed era una garanzia: sì, l'Angioletto c'è.
L'Angioletto c'è, tutto a è posto. E può accadere di tutto, ma lui ci mostrerà la strada, ci darà il consiglio giusto, ci spronerà al gesto che dissiperà veleni e superficialità.
L'Angioletto c'è. Ci dev'essere, ancora. La sua voce non sarà fievole, come quando ha detto a tutti noi: prendetevi cura del tempio civico e di ciò che rappresenta. Di ciò che è, luogo dove tanti sanno di doversi fermare, per pregare e per riflettere. Per continuare a seminare. Se tu ci dai una mano, Angioletto, perché la tua forza era dirompente e nessuno può portare il tuo testimone: l'hai sparsa tra tante persone e ora vedi, ti facciamo anche lavorare, perché tocca ancora una volta a te tenere insieme queste piccole gocce perché siano un'onda continua.
Ciao Angioletto.
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