Quando mi impossessavo titubante della macchina da scrivere di mamma, ci ficcavo dentro idee e scorci di verità ricercata. Come procedere con efficacia? Come farsi guidare? C'erano maestri accanto a me, ma anche uno invisibile eppure presentissimo: Sergio Lepri.
Tanti testi che mi scivolavano via per l'esame di Stato, mentre le sue pagine mi restavano incollate nella vita professionale, le sue indicazioni mi offrivano una nitidezza che mi sfidava senza spaventarmi.
Tant'è che nei dibattiti, ad esempio su come scrivere una sigla, io che sono la principessa del dubbio, non tentennavo mai e motivavo pure: «L'ha detto zio Sergio». Lo dicevo, così con simpatia e ammirazione intrecciate, perché pur essendo lui un'istituzione, lo sentivo parte della mia vita.
Quando le cose erano così chiare da far male, se non stavi attento. Quando meditavi bene una parola, perché cancellarla era un atto impegnativo.
Quando c'era lui, lo storico direttore dell'Ansa, che spazzava via ogni esitazione con una forza rispettosa. Solo ora ho pure scoperto che intimava ai giornalisti prima di assumerli: «Non voglio capire per chi voti da quello che scrivi».
Non lo sapevo, ma per fortuna quello mi è stato insegnato anche dai miei maestri in carne e ossa, i primissimi, Gianni Fusetti e Antonio Porro, così diversi e così ugualmente retti.
Pensa che sono stata così attenta per una vita tanto da non capire più nemmeno io per chi voto, zio Sergio. Dico una battuta scema così, per farmi passare la malinconia mentre ti dico addio.
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