giovedì 26 dicembre 2024

La leggerezza di non saper impacchettare

Avevo escogitato un post simpatico per scusarmi. Ecco due parole già sbagliate, una sbagliatissima: scusarmi. 

In un'altra vita ero un'impacchettatrice, dote che ho trasportato dentro quest'esistenza.

Sono un disastro a fare pacchetti, così come in altre arti tipo fare a maglia o disegnare. Sono molto brava a smontare le cose, questo sì; a volte, le rimonto persino. 

Mi perseguita il ricordo dell'oratorio che abbandonai dopo poche settimane, perché dovevo imparare a ricamare. Ma in queste ore di goffo tentativo di riordino ho scoperto sul mio diario un'affermazione proprio ereditata da suor Silvana (che non rammento, io ho in testa solo suor Adriana, mitica figura dell'asilo) durante quelle settimane estive in cui avrei voluto calpestare la terra dei giochi con la palla, altro che tenere l'ago in mano.

Non bisogna sciupare la propria vita.

Sciuparla, significa anche ostinarmi a confezionare un ottimo pacchetto, operazione che non mi vede - solo - incapace, bensì pure poco interessata.

Soprattutto, non mi va di intestardirmi su ciò che so fare oppure no.

In questi mesi di lotta silenziosa, ho maturato più che mai il desiderio di capire chi sono, non ciò che faccio. Di fuggire da capacità, ruoli, funzioni. 

Il bello di non saper impacchettare è saper fare tante altre cose oppure nessuna. È guardarsi dentro e prendersi per mano, non con una definizione facile in mano di se stessi, ma almeno un placido tentativo di essere, più che esserci. 

È una leggerezza indicibile, una delle liberazioni che maldestramente sto imbastendo o mi stanno donando (probabilmente, entrambe le cose) in questi ultimi anni: lasciar cadere ciò che non ci caratterizza, nel proprio cammino, nelle scelte, nelle relazioni.  

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