Bon Jovi, due parole, tre sillabe, un mistero. Sì, mi rivolgo direttamente a te, Jon, rivedendo il concerto al Madison Square Garden.
Ti ho visto la prima volta nel 1984 a Losanna e sotto i capelli non avrei scommesso proprio su di te, sorry. Alle mie orecchie provocavi solo un gran rumore, e oltre tutto ritardavi l'ingresso dei Kiss in scena. Acquistai il tuo "Runaway" perché mi sembrava doveroso. Al secondo disco, ti bollai come troppo molle. Fine della storia. Invece, furbacchione, con "Slippery when wet" mi hai preso per le orecchie e questa volta me le hai tirate sonoramente. Fatto sta che più di 15 anni fa tu piombasti con la band a Milano e quando un collega si lamentò che era stato costretto ad andare, perché nessuno dei brillanti giornalisti attorno a lui voleva muoversi per quel capellone, mi strappai i capelli tipo fan dei Beatles alla prima maniera.
Poi, confesso, "Wanted dead or alive" per me è un manifesto rock delizioso. Solo per questo sarai assolto a vita se cambierai, Jon. Non sei nella mia top ten del rock, ma ti guardo con grande benevolenza.
Hai un difetto terribile: sei troppo bello. Ma proprio bello, capisci, hai un volto inossidabile e persino simpatico, un sorriso nato per conquistare il mondo. Non hai neanche un'ombra di maledizione rock e sei sposato con la ragazza che risale dai tempi di scuola. Non fosse stata per quell'ombra dell'attrice che non nomino, saresti stato davvero impeccabile.
E fai pure del bene, Obama ti ha chiamato... Ah, ecco il bello di Bon Jovi, tutto quadra alla perfezione. Roba da rimuoverlo dall'attenzione immediatamente.
Invece no, perché quel sorriso da ragazzo cresciuto (ma non troppo) aiuta far innamorare della vita, ogni giorno.
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