(dedicato ad Andrew)
Il mio vecchio (not talking about age, of course, non è nel mio interesse!) compagno di scuola non ci crederà, ma nel mucchietto di bigliettini scambiati negli anni tosti, ovvero dalle medie al liceo, c'è anche un testo vergato frettolosamente da lui o mano comunque amica: è quello di "Pissing in a river" di Patti Smith. Mi è esploso come un flash nella mente oggi, mentre la strimpellavo al piano. Quella cassetta ce l'ho ancora, dear friend, con il testo rosa infilato dentro.
Ai tempi ero convinta anche che si trattasse della più straordinaria canzone d'amore mai scritta. Sarà stata un periodo sfigato, mi sussurra qualcuno al mio fianco. Comunque l'opinione si è poi ridimensionata sul messaggio in sé, più che altro perché dopo i primi sbandamenti della vita, di piangere tanto per qualcuno che ha levato le tende, non mi è più venuta voglia. Però resta un capolavoro, a partire dal suo coraggio linguistico. Alla faccia del mio presunto maschilismo ammiro Patti Smith per questa canzone. Perché quando ti chiedono "Mi suoni una canzone d'amore", tu rispondi: ok, "Pissing in a river", e ti guardano storto, anche i più alieni alla comprensione dell'inglese.
Accostare un atto di liberazione... idrica all'amore, per quanto si affacci un poetico fiume, è tutto tranne che romantico. Forse perché l'amore, quello reale, non lo è affatto, ma questa è considerazione da cioccolatino per cui me la rimangio immediatamente, con tanto di carta per punirmi.
Certo, decenni prima, concludeva con tale gesto - e sembrava epico - una poesia Arthur Rimbaud. Tra l'altro, era l'"Oraison du soir", preghiera che partiva da una visione quasi angelica e sgorgava - ça va sans dire - in un simile atto liberatorio, approvato dai grandi eliotropi. Ma Patti è una donna, quindi se permettete occorre un pelino di coraggio in più a iniziare una canzone così; persino il movimento in sé è un tantino più complesso. Tra l'altro sì, inizia ed è un pugno in faccia: pissing in a river, e subito dopo la visione "guardandolo crescere". Sorry?
Diventando adulti, o almeno provandoci, non mi sono trovata sempre d'accordo con lei, per fortuna; significherebbe che siamo rimasti quegli adolescenti aggrappati a frasi e fraseggi per navigare nel mondo, costretti a riflettere su Patti, Jim, John e via dicendo, tramite i nostri bigliettini che parevano frettolosi ma erano sempre più precisi degli appunti che in contemporanea cercavamo di prendere durante la lezione.
Tuttavia, Patti è quella visione ribelle, quell'urlo di "Rock'n'roll nigger", quello schiaffo di "We three" e persino il passaggio di devozione totale - sempre più malinconica fino e oltre l' addio - a suo marito. Patti è avere voglia, anche solo un giorno, di danzare a piedi nudi, che sia in corso un inno rock scatenato o una traccia di valzer. E di liberarsi di vani pudori: "Le mie viscere sono vuote, espellendo la tua anima".
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