Immagini false. Le segnali alle persone che - ne sei certa perché le conosci, conosci la loro storia - le diffondono attraverso giornali o il classico post social con la vuota scritta "dal web": neanche, tragicamente, fa differenza, visto che la mancanza di controllo è una malattia dilagante. Il risultato alla segnalazione è quasi sempre il silenzio, se non il livore: che importa se la foto è falsa, la tragedia è vera.
Una tale indifferenza
Quindi io, per dimostrare una tragedia vera, devo usare immagini false? Sono autorizzato, anzi è auspicabile?
Falso. Vero. Tutto insieme, con una tale indifferenza, che non mi fa solo male: mi incute timore per la direzione che sta prendendo questo mondo ricco di informazioni, sparse così confusamente da calzare a pennello con verità precostituite.
Dal Medioevo con prudenza
Non posso nascondere un senso di frustrazione e impotenza come persona e come giornalista. Come persona, perché in realtà l'importanza delle fonti mi è stata inculcata molto tempo addietro, dalla scuola e dall'università. Storia della filosofia medievale, mi ricordo all'Università Cattolica un'intera lezione su questo fronte.
L'ho anche esplorato nella mia piccola vita di ricerca. Ad esempio, sono una studiosa dei Plantageneti: da Eleonora di Aquitania in giù. Tutti inchinati davanti a Riccardo Cuor di Leone, di leggenda in leggenda (e anche di fumetto in fumetto), mentre Giovanni Senza Terra era il crudele e incapace. Come se la crudeltà fosse una caratteristica esclusiva del principe eternamente ultimo o eterno secondo (ne ho trattato nel mio libro L'importanza di essere secondi, edito da Nomos). Ci sono voluti secoli e attenzione a fonti differenti per mettere in crisi parziale questo impianto.
Le fonti vanno studiate tutte. Le fonti, non sono tutte uguali. Sembra una contraddizione. Ma le fonti vanno coltivate con l'acqua del dubbio e sboccia il discernimento.
L'uguale credito e l'epilogo
Corro avanti, forse troppo, rispetto ai secoli tutt'altro che bui del bistrattato Medioevo. Gli anni oscuri del terrorismo in Italia, il mio tormento è sempre lo stesso: immagino se i giornali avessero dato uguale credito ai terroristi e allo Stato (anzi magari un po' di più ai primi), come sarebbe stata la narrazione. Ma soprattutto: quale sarebbe stato l'epilogo?
E qual era l'epilogo che sognavo, ma non in maniera ingenua, sul Medio Oriente oltre vent'anni fa? Quando grazie ad Angelica Calò Livné e al teatro di Beresheet LaShalom con i ragazzi ebrei, musulmani e cristiani, vedevo fiorire prove di pace capaci di mettere in fuga l'urlo della violenza?
Oggi, se non mi lascio andare alla disperazione, è ancora una volta grazie a lei. Ad Angelica in Israele, all'amica palestinese Samar, alle tante donne coraggiose che ascolto accanto a loro.
Ho molto pudore a condividere notizie sul dramma che sta scuotendo due popoli, non solo perché cerco sempre di dedicare tempo al controllo, ma perché a volte anche una parola in un contesto giusto può provocare un dolore. E si sta soffrendo già troppo.
Tutt'attorno a me, però, non è così. Vedo calare sulle piattaforme e sui cuori implacabili giudizi, tanto livore, slogan allucinanti che invece di avvicinare due popoli li vogliono nemici per sempre.
Ripenso a quando ho cominciato a fare la giornalista, senza computer, senza un mare di informazioni a cui attingere; avverto la fatica nel reperire dettagli attendibili in quelle condizioni: adesso mi sembra un'operazione in scioltezza, quella che affrontavo in quegli anni. Mi schiaccia molto di più oggi, questa tempesta di notizie, scritte senza dubbi e con l'ombra di una sceneggiatura perfetta, in cui affondano subito artigli e denti famelici seminatori di odio.
Quella fatica mi appare come un gioiello che abbiamo perso, spero non per sempre. Io provo ad accarezzarla ancora, fino a quando farò anche questo mestiere e fino a quando vivrò, e a non lasciarmi opprimere da questo clima di odio seminato da chi parla di pace ma "dimentica" un popolo. Spesso fallisco, ma quando ci riesco invece è grazie alle donne di Luce che nonostante le ferite mi spingono a guardare avanti.
Con gli occhi a volte doloranti per le lacrime, ma non annebbiati dalle false certezze.
La fatica sarà perduta, e così i dubbi, e molto altro. Non può esserlo, del tutto, l'amore.