venerdì 15 febbraio 2019

Accogliere la gentilezza

Prima che io studi come aprire i sacchetti, il ragazzo me li ha già riempiti con la mia spesa. Sto ancora pagando, quando la signora accanto a lui mi chiede: dov'è la sua macchina?

Io le rispondo: qua fuori. Lei afferra le borse, decisa, e si dirige verso la porta, ma io cerco di fermarla: non è il caso e poi guardi che fuori fa freddo.

Ride: non fa freddo.

Io sto per correrle dietro, come già mi è accaduto di fare, con lei o con i ragazzi dentro. Cinesi. Lo scrivo perché la cronaca lo chiede, borbotto dentro di me, ma vorrei cancellarlo.

Anche perché non sto nemmeno parlando di loro, in questo blog, bensì di me. Di come io sia in difficoltà ad accogliere la gentilezza, difatti travesto questa mia testardaggine di mille scuse.

Non è il caso, certo.

E poi per impacchettare, pure mettermi i fiocchetti sul sacchetto, va via altro tempo. Anzi, anche nel ritirare i sacchetti in auto, perché correrei più veloce, li sbatterei su e sarei già in viaggio.

I pensieri vengono placati dalla tosse e il ragazzo, mentre ancora sulla soglia, commenta: eh sì, con questa stagione tutte le persone sono malate. 

Io mi giro di scatto, sentendo quell'innocua parola: persone. E lo sguardo si posa su una parte del negozio che nel loro perenne movimento hanno cambiato ancora. 

- Non state fermi mai.

Lui commenta con un sorriso, prima: è per fare vedere che questo è un posto grande.

Chissà perché posto grande mi fa venire in mente spina bianca. Anzi, spina bianca bianca come la chiamava il mio bimbo. E così mi sembra questo ragazzo, un bimbo. Un bimbo gentile.

Io gli sorrido e corro dietro alla signora, chissà se sua madre. Devo andare ad accogliere la gentilezza, se ne sono capace. E accogliere la gentilezza richiede tempo e capacità di fermarsi, come lo stesso essere gentili.

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