Quando le salite le affronti con le gambe, ti ricordi ogni metro. Io da bambina dal paese contavo le curve della collina, almeno quelle vere, che persino le auto un tempo dovevano sfidare sul serio. Alla terza sapevo di poter contare sul refrigerio di una bibita, un gelato e più ancora un sorriso.
Il Valerio. Il ristorante, il bar, il primo sguardo rubato sul lago, il jukebox che per noi adolescenti era un tesoro.
Però prima di tutto lui, il cravattino, un modo di accogliere che ti sentivi già a casa e la sua famiglia cortese come lui. Un luogo
Quante volte ho percorso la distanza maggiore, scendendo dalla casa della collina: si correva e si scherzava.
Mio padre: "Vai dal Valerio? Salutamelo e portami a casa un gelato". Naturalmente, era un tiro mancino e ci sono cascata solo la prima volta: il gelato veniva consegnato già sciolto a mio padre, perché, risalendo, il tempo rallentava sotto il sole implacabile.
Per farsi perdonare, papà: "Mi hai salutato il Valerio?".
Quanti piccoli gesti, anche quando il ragazzino che mi faceva battere il cuore mi chiamava lì, al telefono a gettoni, perché a casa non voleva incrociare la voce di papà. Arrivavo di corsa sperando di ricevere quella telefonata, arrossivo e sorrideva il Valerio: quanta pazienza, aveva con noi ragazzi.
La terza curva e un sorriso. E io, in questa notte del tempo .- in cui anche il Valerio sembra essere volato via - sento che resterà lì, a dare il benvenuto.
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