All'alba, ci inseguiva
una strada percorsa per tanti, troppi anni. Troppi, se consideriamo il limitato patrimonio di tempo a disposizione.
Mi ha commossa quella bellezza, mi ha incatenata la ragione di partire così presto, e in un dì di festa: rinnovare un rito di amicizia.
Ovunque io sia andata, ho imparato; persino dove non ho messo piede, a dirla tutta. Il punto è mettere a frutto, ma questa è sfacciatamente un'altra storia.
Oggi mi metto in strada lungo un anno terrificante, in cui ho dovuto imparare persino a come alzare un braccio daccapo, venire ferita nei sentimenti profondi, trovarmi a terra calpestata, venire lì buttata, vedere tante mani ritirarsi e presentarsi così celermente poche, preziosissime altre.
Imparare di nuovo a muovere il corpo, e persino l'anima.
Un anno in cui i timori e terrori sono stati combattuti dalla visione di chi ben altri timori e terrori aveva dovuto affrontare. Da pochi amici di sempre, da chi è vicino di nome e di fatto, da qualche creatura inaspettata.
Allora userò alcuni sostantivi e aggettivi per concludere quest'anno. Quelli che sotterro vigorosamente, sperando che non spuntino fuori, e quelli che si sollevano con invidiabile energia.
In questo periodo di guerra, fuori e dentro casa - perché casa è l'umanità - non sopporto parole come "evidenza". Tutto ciò che è evidente mi fa orrore. Ho lasciato alle spalle diversi fronti animalisti, che pensavo difendessero i diritti degli animali ma poi mi volevano imporre di scegliere tra i popoli. No, non scelgo tra i popoli, non scelgo tra i fragili, non dico "è evidente" mai, figurarsi se sulla base di dati forniti da terroristi.
Mi fa orrore anche chiamarli dati.
Perché piango ogni vita spezzata, non ho mai celebrato la morte nemmeno di un assassino, figurarsi come mi sento davanti alle vittime.
Evidenza, vai via.
Vieni dubbio, vieni. Mi hai salvato, per tanti anni. Da prima che entrassi nel sacro edificio della filosofia. Io, che ho orrore e pudore nell'accostarmi a una definizione tecnica, quasi tremo a dirmi giornalista anche se ho dato il sangue per oltre trent'anni... però mi piace oggi chiamarmi filosofa, perché dentro c'è la parola "amore". Amore, ricerca, non essere mai arrivati.
Vieni dubbio, vieni. Avevi preso possesso da subito di questo blog, eri entrato nei cassetti con timidezza malcelata e io ora ti ospito volentieri. O forse mi ospiti tu.
Lo so, possono apparire sproloqui di fine anno. E che anno: il centesimo dalla nascita di mio padre, l'incontro con gli atleti paralimpici per un sogno che si fa sempre più acceso, il tutto immerso nel mio stesso limite, l'incidente, le ferite, la riabilitazione che non giunge mai alla fine: il corpo, specchio dell'anima.
La strada ci racconta tutto: i colori possono narrare dell'alba o del tramonto, solo gli occhi più esperti lo coglieranno, eppure forse riusciremo a ingannarli. Stiamo iniziando, stiamo finendo. Stiamo scomparendo o siamo così vivi da sfuggire ai sensi.
Del resto, oggi mi sono trovata a dover affrontare un peso insostenibile. Ho chiesto aiuto a un'amica e lei si è stupita: ma non pesa.
Viva il dubbio, abbasso l'evidenza. Adesso sono in viaggio, davvero.